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Questa volta vi racconto di un poeta che ho avuto la fortuna di conoscere: Jan Vladislav. Jan è scomparso nel 2009, nella sua Praga. Nel 2004 lo incontrai per la prima volta e fu un incontro di quelli che non si dimentica. Mi concesse una lunga intervista, pubblicata su “Cartevive”, Anno XVI, n. 1 (37), giugno 2005.
Si parlò della sua traduzione dei Canti Orfici,  di Dino Campana.
Eccone alcune parti.
Paolo Pianigiani:
Jan, come hai conosciuto Dino Campana?
Jan Vladislav:
Intanto ti dico subito che Dino Campana è fra i miei poeti preferiti. Quando ho deciso di tradurre i Canti Orfici non avevo riferimenti di altre traduzioni, sapevo di essere il primo ad avventurarmi in quella impresa. Ho letto le prime notizie su Campana nella Storia della Letteratura Italiana di Francesco Flora, in quattro volumi, nel 1942, nella Biblioteca Nazionale di Praga. In questo libro Campana viene avvicinato ai due maggiori poeti italiani contemporanei, Montale e Ungaretti, che poi ho avuto la fortuna di conoscere. Ho anche tradotto, in lingua ceca, alcune delle loro opere. Ho visto le prime poesie del poeta di Marradi sull’Antologia della Poesia Italiana Contemporaneadello Spagnoletti, nel 1960. I Canti Orfici, che ho letto nella edizione del 1962, quella curata dal Falqui, mi hanno colpito subito per la loro novità, per le immagini allucinate, per le visioni, per il ritmo dei versi e delle brevi prose.
P.P.:
Sei uno dei maggiori traduttori del tuo paese, oltre che poeta e saggista. Hai tradotto i sonetti di Shakespeare, le poesie di Verlaine, Butor, i classici italiani… Come ti sei avvicinato alla poesia?
Jan V.:
 La poesia fa parte della mia vita. Quando avevo 11 anni mi è capitata fra le mani una rivista che conteneva corsi di tre lingue diverse. Da lì, probabilmente, è nato il mio interesse per la traduzione.Portare ai lettori del mio paese poesie e romanzi scritti da scrittori lontani: questa è stata la mia, difficile, missione. Ho sempre letto poesia, in particolare tedesca e francese. I francesi erano molto letti, ai miei tempi, in particolare Rimbaud e Verlaine, naturalmente, ma anche Apollinaire, che aveva vissuto a Praga. La lingua italiana l’ho imparata da solo, quando lavoravo come assistente in una biblioteca. C’era un solo libro in lingua italiana, il Canzoniere del Petrarca. Ho cominciato ad imparare l’italiano su quel libro. Inoltre, come scrittore non allineato, l’attività di traduttore era la sola che poteva consentirmi di lavorare. La censura era più tollerante verso le mie traduzioni, che verso i testi originali. Almeno finché non mi hanno impedito di pubblicare, dal 1970 in poi, anche le traduzioni.
P.P.:
Parlami della pubblicazione dei Canti Orfici a Praga, in quell’anno che nessuno può dimenticare, il 1968, l’anno dei carri armati.
 
Jan V.:
Certamente era un periodo di grande curiosità e interesse per la cultura occidentale, nel mio paese.
L’apertura, non solo politica, della Prima vera di Praga, permetteva di avvicinare autori in precedenza non permessi dalla censura. Tutto finì, come tu sai, con i carri armati russi. Dopo fu ancora peggio. La piccola edizione in lingua ceca dei
Canti Orfici, “Šílený Orfeus”, (letteralmente: Orfeo Pazzo) uscì nella collana di poesia Květy Poezie della casa editrice praghese Mladá Fronta, in 3.000 copie, che furono esaurite in 2 mesi. Ricordo che ebbi un premio per quella traduzione,
dall’editore.
Avevo già pronta anche la traduzione di una antologia di Montale, ma dopo l’arrivo dei russi, pubblicare per me era diventato impossibile. È uscita recentemente, nel 2001, a Praga, con il titolo Anglický roh, (Il corno inglese).


Testi:
La memoria delle cose
Empedocle d’Agrigento diceva,
che il mondo si compone 
di quattro elementi primordiali,
di terra, d’acqua, 
d’aria e di fuoco.
Ma piuttosto aveva ragione un vecchio poeta cinese,
quando ha scritto che la primavera 
si divide in tre parti: 
la prima parte si trasforma in humus,
la seconda parte si trasforma in polvere, 
la terza in acqua, 
che scorre.
Tu la vedi, l’acqua, che trascina
l’humus rosso della sua terra,
tu la vedi, l’acqua, che porta via
le sabbie bianche del mare,
tu la vedi, l’acqua, che
leviga i sassi del tuo paese, che attraversa,
che scorre nelle vene dei tempi.
L’ acqua che scorre
si ricorda di tutto:
delle lacrime, del sangue, dell’urina
dei tuoi padri e delle tue madri, 
del latte che hanno bevuto loro, 
che hai bevuto tu, 
di lei,
ogni volta quando nuda si lavava davanti allo specchio, 
di tutte le fragili membra,
di te e della tua morte che arriva.
Con ogni tuo sorso, 
avido, tu la bevi, 
con ogni tuo respiro, 
avido, tu ti soffochi,
e lei ti porta nella sua memoria, 
come un fiume solare 
il suo annegato.
Empedocle d’Agrigento dice 
ma piuttosto ha ragione Su Tung-p’o,
la primavera non è che humus,
humus, polvere e acqua 
che scorre.
Da Vety (Frasi), 1962 – 1972, PmD Monaco, 1981. Traduzione di Alena Fialová, in collaborazione con l’Autore.
 
Nota biografica
Jan Vladislav (1923-2009) è stato poeta, saggista e traduttore sopratutto di poesia classica e moderna: Dante, Tasso, Michelangelo, Shakespeare, Ronsard, Rilke, Campana, Ungaretti, Montale, Reverdy, Michaux, Machado, Eliot, oltre che della poesia popolare tedesca, russa, ucraina, rumena, ecc… Ha tradotto dall’italiano anche romanzi, come la Coscienza di Zeno di Svevo, libri di arte, come le Vite del Vasari e testi teatrali, come i Sei personaggi in cerca d’ autore  di Pirandello. Nato da genitori cechi il 15 Gennaio 1923, trascorre la sua infanzia nel paese di Hlohovec nella Slovacchia occidentale. Nell’autunno del 1942, Jan Vladislav si trasferisce a Praga. Durante i primi tre anni del dopoguerra, Jan frequenta la Facoltà di Lettere, prima presso l’Università Carlo, poi a Grenoble in Francia. Pubblica le sue prime raccolte di versi: Il quadro non finito  e  Il regalo,entrambe nel 1946. Dopo la presa del potere da parte dei comunisti, nel Febbraio del 1948, viene espulso dall’Università (potrà laurearsi solo nel 1969). La sua terza raccolta, L’uomo di fuoco, edita in quello stesso anno, viene quasi completamente distrutta. Gli viene ritirato il passaporto. Per esprimersi e per vivere, come altri scrittori non graditi al regime, si dedica al lavoro più discreto della traduzione. La “Primavera di Praga” gli permette di essere integrato fra le istituzioni culturali ufficiali: nel 1969, anno di una straordinaria (e paradossale) libertà culturale, che ha preceduto il regime della “normalizzazione”, ricopre per sei mesi la carica di redattore capo della rivista “Svetova Literatura” (Letteratura Mondiale), ma ritorna al suo posto di oppositore, con la caduta definitiva di Alexander Dubcék e la presa del potere di Gustáv Husák. La sua ferma opposizionealla politica culturale del regime comunista, lo impegna naturalmente in nuove forme di resistenza,in particolare attraverso la pubblicazione di testi suoi e di scrittori che non potevano pubblicare, in tirature limitate e distribuite clandestinamente. Con l’aiuto di Jiří Kolář, fonda infatti nel 1975 la casa editrice Kvart, dove pubblicherà artigianalmente, e spesso in tirature limitate a una quindicina di esemplari, più di centoventi libri (principalmente traduzioni e saggi). È fra i firmatari della Carta77, atto di nascita della dissidenza organizzata cecoslovacca al regime comunista. Viene sottoposto a ulteriori controlli da parte della polizia, che rendono la sua posizione molto difficile: nel 1981 è costretto all’esilio in Francia, a Sèvres. Le sue opere, proibite in patria, vengono pubblicate dalla casa editrice PmD di Monaco: Frasi, poesie scritte negli anni 60, escono nel 1981, Soliloqui  nel 1986 e Sogni e poemi in prosa, nel 1989.
Dopo la Rivoluzione di velluto del 1989, ritorna a pubblicare a Praga: nel 1991 escono: Libro di poesie, Ritratti e autoritratti  e il  Diario pariginoMuore a Praga nel 2009.

La prima traduzione integrale del Canti Orfici di Dino Campana in lingua ceca

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