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RELAZIONE DEI LAVORI ESEGUITI NELLA CHIESA DEL CARMINE

DI FIRENZE PER LA RICERCA DI ANTICHI AFFRESCHI

 

Nell’agosto dello scorso anno dalla Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna per la Toscana e dall’Ufficio d’Arte del Comune di Firenze furono intrapresi dei lavori nella chiesa fiorentina del Carmine per poter stabilire se esistessero ancora alcuni degli antichi affreschi, che documenti da poco venuti alla luce 1) provavano esser stati risparmiati dal famoso incendio della chiesa del 1771 ed esser scomparsi invece dopo nella ricostruzione della nuova chiesa. Si sperava infatti che, durante i lavori per tale ricostruzione, gli affreschi fossero stati rispettati almeno in parte e che quindi potessero esser ritrovati sotto lo scialbo o nascosti da qualche soprastruttura. Ricerche analoghe si dovevano poi svolgere nel primo chiostro della chiesa per vedere se nulla fosse rimasto della celebre Sagra di Masaccio, scomparsa negli ultimi anni del XVI secolo, e la cui ubicazione, da tanto tempo ricercata, si era potuta definitivamente stabilire in base ai documenti. 2)  I lavori, diretti dall’ing. Eugenio Campani del comune di Firenze e dallo scrivente, 3) ebbero inizio nella prima cappella del transetto di destra, già detta della Passione (cfr, nell’art. cit., il n. 5 dello schema a pag. 151), nella quale si dovevano ricercare gli affreschi di Lippo fiorentino (id. alle pagg. 16o-161, 187 e 192-1 194). Che questa cappella fosse stata ristretta dalla primitiva forma, almeno nella parte sinistra per chi in essa entra, appariva evidentemente, poiché quivi si era ricavato uno stanzino ad uso di ripostiglio; per il lato destro le misure fatte lasciavano supporre che esistesse ugualmente un vano, ma che esso fosse stato chiuso fra le muraglie senza possibilità di comunicazione (cfr. nello art. cit. la pianta riprodotta a pag. 193 alle lettere T e B).

 

 

Le nostre ricerche si volsero da prima a ritrovare questo supposto vano; saliti sul tetto della chiesa e scoperchiatolo nel punto corrispondente, si potè verificare dallalto che le supposizioni erano state giuste; calatici nella profonda buca si vide come nella parte più bassa delle pareti antiche gli affreschi fossero conservati indiscrete condizioni: nella parete di fondo, adiacente al chiostro, era la figura di S. Cirillo quasi intatta (fig. 2); in quella laterale la scena della Flagellazione conservata almeno nelle parti essenziali (figure 1, 3, 4), e più a destra una Santa acefala e tre personaggi, evidenti ritratti: quest’ultimi però non contemporanei agli altri affreschi ma ridipinti di nuovo nel Quattrocento avanzato. Nel pilastro all’entrata della cappella non restavano che frammenti di una figura di un Apostolo in prigione, forse S. Pietro. Cosi solo pochi frammenti insignificanti rimanevano degli affreschi della zona superiore: di un S. Atanasio sopra il S. Cirillo e dell’ Ultima Cena al di sopra della Flagellazione. Della terza zona solo, molto in alto (m. 8,25), un frammento con la testa di un vecchio Santo barbuto. Fatte queste scoperte si provvide a togliere il confessionale dal muro moderno che divide questo vano dalla cappella e, abbattuto al di dietro un sopramattone, si rese in tal modo intercomunicanti questi due ambienti.

Passati alla parte opposta della cappella, si procedette a fare degli assaggi nello stanzino di cui si è già detto, ma si vide purtroppo che rintonaco v’era stato del tutto rinnovato. Si notò tuttavia che l’altezza di questo ripostiglio era relativamente piccola (m. 5,20), e che, non corrispondendo sopra ad esso alcun ambiente, era da supporsi che anche da questo lato la parte alta della cappella restasse chiusa fra le muraglie senza possibilità di comunicazione.

 

 

Praticato anche questa volta un foro nella parte corrispondente del tetto, si ritrovò, secondo la supposizione, un vano e si vide che la parete antica di esso era tutta ornata da un solo grande affresco rappresentante la Crocefissione (alt. m. 5,95, largh., m. 4,86) (fig. 5); affreschi frammentari erano pure nelle due pareti più strette verso il chiostro e verso il transetto della chiesa (qui la figura in discrete condizioni, nella parte superiore, di un Santo Evangelista), pareti ben conservate dal lato architettonico, sì da mostrare chiara l’antica struttura della cappella. Quel che recò una certa sorpresa fu che il muro nuovo di divisione verso la cappella presentava pur esso tracce di fuoco; ciò venne a dimostrare che era già stato costruito avanti l’incendio, se pure i documenti non ne facessero parola. Nell’ambiente ritrovato era una gran quantità di materiale di scasso che si elevava per circa 65 centimetri dal livello del pavimento nascondendo così parte dell’affresco fino all’altezza della testa della Maddalena ai piedi della Croce. Fatta un’apertura nel muro verso il chiostro, si procedette alla remozione di questo materiale e si liberò così tutto l’affresco. Questo apparve esser stato interrotto nella costruzione del pavimento, cioè del soffitto dello stanzino sottostante, subito sotto le teste delle persone in piedi, alla base delle croci: quindi una sola grande scena pittorica occupava questa parete, contro la quale va ricordato che era posto l’altare. Risultò chiaro inoltre, anche da un primo sommario esame, che il maestro di questa Crocifissione era diverso da quello che aveva affrescato, nella parte opposta della cappella, il S. Cirillo e la Flagellazione. Ma di tale problema come dell’altro, strettamente a questo collegato, delle particolarità costruttive architettoniche della cappella, non è qui il caso di parlare, e rimando chi possa avere a ciò interesse, a un mio prossimo studio che pubblicherò sulla questione di Lippo fiorentino. I lavori alla cappella della Passione si conclusero con assaggi, che ebbero esito negativo, nella parete di fondo e dietro il gran quadro dell’attuale cappella settecentesca.

Alla cappella già di San Girolamo (cfr. nell’art. cit. lo schema a pag. 151 al n. 38), miravano ora tutti i nostri sforzi e i nostri desideri, poiché si sperava che tornassero in essa alla luce gli affreschi dello Starnina che una volta la ornavano, affreschi che sarebbero stati di grande interesse per la Storia dell’Arte (cfr. art. cit., pagg. 171-172, 187-194). Era logico infatti supporre che tali pitture, ricordate dai documenti come ancora intatte dopo l’incendio, fossero state, durante la rico­struzione della cappella, rispettate almeno in quella parte dove nessun lavoro era stato fatto, cioè dietro il quadro dell’altare maggiore. Ma una volta rimosso questo, si vide purtroppo che gli affreschi erano stati scalpellati senza alcuna ragione o necessità e solo per quello spirito di distruzione iconoclasta che animò i brutali costruttori della fine del Settecento, privi anche del minimo senso di rispetto per l’arte del passato. Solo, a provare tale distruzione, restava un frammento in cui si vedevano rappresentati alcuni libri in uno scaffale, i libri della biblioteca di S. Girolamo nella scena della sua morte; frammento piccolo, quasi insignificante, ma che valeva a far rimpiangere ancora di più la perdita dell’opera, tanta era la bellezza dei suoi colori e il senso prospettico dei volumi posti in disordine entro lo scaffale.

 

 

Ben poche probabilità d’altri ritrovamenti nella cappella sembravano ormai sussistere, dato che gli affreschi eran stati distrutti anche là dove non ve ne sarebbe stato alcun bisogno; e gli assaggi nelle varie pareti mostrarono infatti che il rintonaco era stato dappertutto rinnovato. Quasi senza più speranza si tolsero i due confessionali che ornavano le pareti laterali: quello verso la navata della chiesa era stato scavato nel grosso del muro; per l’altro invece si vide che, nel vano da esso occupato, tanto i brevi muri laterali (B e C della pianta alla fig. 6) quanto il soffitto, erano semplici sopramattoni; abbattutili, si scoprì con gioia l’antica parete laterale davanti alla quale ne era stata costruita un’altra (A) 4) così che tra i due muri restava una breve intercapedine. L’antica muraglia appariva tutta ricoperta dallo scialbo, ma al di sotto si vedevano spuntare qua e là pezzi di affresco. Nei giorni seguenti si procedette alla loro scopritura e si vide allora che la parete, addossato alla quale era originariamente l’altare (cfr. l’art. cit., pag. 171), aveva al centro un lungo finestrone gotico e che lateralmente a questo la decorazione pittorica consisteva in figure di santi entro edicole architettoniche: tutte queste figure erano però purtroppo in condizioni deplorevoli e frammentarissime. Fu facile tuttavia notare che dal lato destro si era scoperta solo una parte dell’antica parete, tanto è vero che due figure di santi venivano ad essere spezzate dal muro di fondo (D); questo non era altro che un semplice sopramattone che nella parte bassa metteva in comunicazione con una piccola stanza ripostiglio (E). Esplorate le pareti antiche di questa si ritrovò entro il muro un piccolo tabernacolo gotico, del tipo di quelli che usualmente stavano accanto agli altari per riporre i sacri oggetti d’uso per la messa; il soffitto basso della stanzetta faceva tuttavia ancora sperare che nel vano che doveva essere al di sopra, potesse trovarsi qualche avanzo importante di affresco. Abbattuto il sopramattone D al di sopra della volta, si ritrovò che tale vano era ripieno di calcinacci e rottami per un’altezza di oltre tre metri; dopo più di tre giorni di lavoro per rimuovere tale materiale si poterono finalmente vedere gli affreschi esistenti in questo ambiente che, se pur sempre frammentari, erano tuttavia meglio conservati e potevano finalmente dare un’idea di quale fosse stata l’arte del grande maestro.

 

 

Do qui una breve descrizione degli affreschi tornati alla luce: lateralmente alla finestra v’erano in doppio ordine due figure di santi per parte: a sinistra di chi guarda, nell’ordine superiore, S. Lorenzo, mancante purtroppo della testa; dell’altra figura più vicina alla finestra non restano che pochi frammenti di panneggio. Più in basso S, Agnese coll’agnello in braccio, pur essa dal volto quasi interamente perduto, e vicino alla finestra la testa di un’altra Santa molto svanita e consumata specialmente nel colore. Dal lato destro in alto S. Antonio Abate conservato solo a mezzo, ma dallo sguardo di straordinaria forza penetrativa, pur così frammentario (fig. 8) e S. Bernardo, ben conservato ma purtroppo acefalo; in basso, S. Reparata, pur essa conservata solo a mezzo, e la frammentarissima figura di un’altra santa. Nel pilastro d’entrata alla cappella (G) un bellissimo S. Benedetto quasi completamente conservato (fig. 9). Al di sopra di questo, entro un quadrilobo, la mezza figura di un evangelista e, ancor più su, parte di un festone che ornava all’interno l’arco d’entrata alla cappella, nel quale eran rappresentati (e ne restan due frammentari) paffuti putti, sul tipo di quelli della Porta della Mandorla. Nell’angolo fra il pilastro e la parete resta ancora l’impostare delle volte con una ricca decorazione ornamentale e, in un unico tondo in essa conservato, la testa di un uomo visto di faccia in prospettiva, di grande importanza per gli studi storico artistici. Lateralmente, sulla parete nella quale eran tutte le figure di santi e sopra a queste, si vede l’inizio di una grande lunetta in cui è impossibile sapere quale scena fosse rappresentata.

Terminati così i lavori nelle due principali cappelle, per quanto l’aver notato ormai che nella ricostruzione dopo l’incendio era stato ovunque rinnovato rintonaco rendesse assai poco probabile il ritrovare quegli antichi affreschi che i documenti ricordavano esser pur rimasti intatti nell’incendio del 1771 (cfr. art. cit., pagg. 190- 191), si procedette tuttavia a fare vari assaggi, che dettero però ovunque risultati negativi. Così nulla si ritrovò nei piccoli stanzini in corrispondenza della cappella di S. Giovanni Battista (cfr. art. cit., schema a pag, 151 al n. 1, e pagg. 191-2, 215 alla nota 1); nell’altro stanzino che occupa la parete destra dell’antica cappella di S. Andrea (cfr. schema cit., al n. 3 e pag. 193): in quello che prende la parte sinistra della cappella dei Ss. Cosimo e Damiano (cfr. schema cit., al n. 40 e pag. 198), e in altro sul luogo della cappella dell’Assunta (cfr. schema cit., al n. 43); infine, nelle pareti della cappella maggiore dove erano gli affreschi di Agnolo Gaddi (cfr. schema cit., al n. 44 e pag. 199). Risultati nulli dettero anche le ricerche dietro i confessionali della navata (art. cit., pag. 191) dove il muro era stato ugualmente ringrossato; dietro la grande tavola del Vasari sul terzo altare a destra (art. cit., pag. 191 in nota) dove la parete apparve esser stata scalpellata, e dietro la chiusura del coro. Così pure, niente di positivo dettero i tentativi di ritrovare le due antiche cappellette di S. Niccolò di Bari (cfr. schema cit. al n. 20 e pag. 165 e 191) e dell’Annunciata (cfr. schema cit. al n. 22 e pagg. 166 e 191); i saggi fatti dove era quest’ultima fecero venire alla luce dopo 20 centimetri un intonaco rozzo senza traccia di decorazione: al di là di questo, nient’altro per quanto ci si approfondisse per 65 centimetri. Infine, vane furono le ricerche per ritrovare all’esterno dei pilastri della cappella di S. Gerolamo, dove presumibilmente si trovavano, le due celebri figure di S. Pietro e di S. Paolo, dipinte da Masolino e da Masaccio e già sparite molto tempo prima dell’incendio (cfr. art. cit., pagg. 116-118); come pure vani furono i saggi fatti nelle lunette della cappella Brancacci, mentre per la volta di quella cappella risultò che l’attuale settecentesca era l’unica esistente e che quella antica era stata distrutta (cfr. art. cit., pag. 192).

Le ultime nostre ricerche si volsero, fuori della chiesa, nel chiostro; come si è detto, un più attento esame degli antichi documenti e delle fonti aveva permesso di fare una nuova ipotesi circa l’ubicazione del celeberrimo affresco di Masaccio rappresentante la Sagra, che sarebbe stato non nel lato del chiostro lungo la parete della chiesa, come si era in generale creduto, ma nel lato subito seguente, in corrispondenza della cappella della Passione (cfr, art. cit., pag. 199 seg. e la pianta a pag. 193). Se questa ipotesi fosse stata giusta si sarebbe dovuta ritrovare la porta di comunicazione fra la chiesa e il chiostro, ricordata da tutte le fonti; questa porta, secondo quel che era stato da noi supposto, doveva aprir-si in corrispondenza del centro della cappella della Passione ed essere di dimensioni piuttosto piccole (art. cit., pag. 207-8 e in nota); più a sinistra, quasi in angolo, si doveva trovare “ rotto il muro … e fatto un uscio „ secondo quanto asseriva il documento del 1524, cioè quell’altra porticciuola aperta dai frati per poter entrare nello stanzino in servizio dell’organo, che avevano costruito riducendo di grandezza la cappella della Passione dalla parte verso la chiesa (art. cit., pagg. 160- 161 e 208 in nota).

 

 

Iniziati i lavori, ai lati della finta porta del 1617, proprio nei punti precisi dove erano state supposte, furono ritrovate le due porticciole (fig. 7); a destra, quella più antica con i suoi scalini in pietra forte, resa celebre perché ricordata da tutte le fonti in relazione con la Sagra di Masaccio; a sinistra quella aperta dai frati del 1524, più che porta vera rottura, alla quale si doveva accedere dal chiostro mediante una scala di legno. 5)

Il rinvenimento delle due porte, se dava l’assoluta sicurezza che si era identificata la precisa ubicazione dell’affresco, faceva purtroppo anche ben capire che ormai della Sagra più niente si sarebbe ritrovato; infatti, nella porticciuola più antica, lo scalino più basso in pietra forte appariva esser stato scalpellato per diversi centimetri, come mostravano non solo i segni dello scalpello sulla pietra, ma anche il minor aggetto di questo scalino rispetto agli altri. Ciò provava che, durante la costruzione di quest’ala del chiostro il muro era stato scalpellato e scarnito per diversi centimetri, e che quindi l’affresco di Masaccio era stato purtroppo distrutto; i saggi che furono fatti in varie parti dell’intonaco e anche sull’affresco seicentesco della prima lunetta dettero una triste conferma alla sacrilega distruzione; e invano si spinsero le ricerche anche oltre le volte del chiostro forando le vele e scoperchiando il pavimento dell’ambiente corrispondente nel loggiato superiore; fu ritrovata solo una tegola in pietra con smusso, in più parti spezzata e scalpellata, tegola che doveva una volta soprastare, come uno sgocciolatoio, alla tettoia del vecchio chiostro al di sopra dell’affresco della Sagra.

In tal modo avevano termine i nostri lavori che purtroppo dovevano togliere ormai ogni speranza del ritrovamento del grande capolavoro di Masaccio.

 

Ugo Procacci

 

Note:

  1. Ugo Procacci, L’incendio della Chiesa del Carmine del 1771; La Sagra di Masaccio; Gli affreschi della Cappella di S. Giovanni in Rivista d’Arte, 1932, pag. 141 e seguenti.
  2. Art. cit., pag. 199 seg.
  3. Desidero ringraziar qui in modo particolarissimo l’ing. Campani, e ricordare l’opera preziosa, da lui svolta con rara perizia, durante i lavori del Carmine. Rivivo le giornate di entusiasmo trascorse insieme, quando, ancor avanti degli operai, ci calavamo nelle profonde buche dall’alto dei tetti scoperchiati, e ci si spingeva negli stretti vani tra le moderne soprastrutture e i muri antichi, per esser sempre i primi a godere dell’affresco che riappariva ancor coperto dai calcinacci e dai materiali di scasso. Nè posso dimenticare l’opera utilissima e sollecita dell’assistente della Soprintendenza, sig. Gino Biagiotti.
  4. Si noti che questa parete era stata costruita prima dell’incendio del 1771, probabilmente durante uno dei restauri della cappella nel 1636 o nel 1746. Al tempo del Richa infatti le pitture di questa parete più non si vedevano (cfr. per la questione art. cit., pagg. 194-196). A questa fortunata combinazione si deve se qualche salvata dalla furia devastatrice dei costruttori settecenteschi.
  5. Quest’apertura, che dava dunque accesso allo stanzino fatto “in servitio delli orchani” con ” parte della cappella della Passione,, (art. e loc. cit.) immette ora in quell’ambiente già completamente chiuso fra le muraglie, dove furono ritrovate le prime pitture di Lippo; quest’ambiente corrisponde dunque alla stanza degli organi, ma è un poco più stretto di quella, poiché il muro di divisione con la cappella viene a cadere sopra la volta dell’apertura, che era quindi in realtà più grande di quello che non appaia nella fotografia. Nell’ambiente in parola era, come negli altri vani chiusi senza comunicazione, grande quantità di materiale di scasso: questo non era stato portato via subito, poiché essendo qui le pitture abbastanza alte da terra non venivano ad esser ricoperte come negli altri casi. Una volta fatta l’apertura verso il chiostro, si procedette a trasportare via tutti questi rottami attraverso a questa. Durante tale lavoro si ritrovò, sotto il livello del pavimento, una tomba, già profanata in passato, entro la quale non erano che pochi frammenti d’ossa; dopo essere stata vuotata del materiale che l’aveva riempita, venne ricoperta con grossi tabelloni.

 


 

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