UN AUTORITRATTO GIOVANILE DEL CIGOLI
di Anna Matteoli
da:
Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 24. Bd., H. 3
(1980)
Un quadro del Cavaliere Tiberio Tinelli, entrovi una Testa al naturale, con collarino aperto d’avanti, vestito di nero, capelli neri, con basette e pizzo simile, alto Soldi diciassette, largo tre quarti scarsi [di braccio], con suo adornamento dorato.
Questa la descrizione, particolareggiata e chiara a sufficienza, con cui il “Ritratto d’ignoto” della Galleria Palatina di Firenze contraddistinto dal N. 301 Inv., viene catalogato in uno degli antichi Inventari manoscritti dei quadri appartenenti alla Collezione Granducale di Palazzo Pitti.1
1) ASF, Guardaroba Medicea, Registro 1185 Quadri del R. Palazzo Pitti, N. 4 codd., 1700-1710 c. : cod. II, c 611A.
Oggi il Ritratto (Fig. 1)2 — esposto nella Sala d’Apollo — è creduto da tutti della mano del Cigoli, com’è giusto.
2) Olio su tela, cm 55 x 42; le misure dell’Inventario corrispondono a cm 49,6 x 43,8 c.
La precedente attribuzione — motivata, è plausibile, dalla fama di buon ritrattista del veneziano Tinelli (1586-1638), del quale per giunta altri ritratti virili figuravano (e figurano) nelle Raccolte Medicee3 – fu sostituita da quella attuale fino dallo scorso secolo quando, nel 1834, uscì la quarta edizione della Guida della Palatina composta da Francesco Inghirami.4
3) Anche il “Ritratto di gentiluomo” del Cigoli, dat. 1594, della Palatina — N. 226 Inv., Sala di Flora, olio su tela cm 78 x 62 — ha avuto in passato l’attribuzione al Tinelli, che solo ai primi di questo secolo gli fu tolta dal Giglioli: O. H. Giglioli – Notiziario R. Galleria Pitti, in: Rivista d’Arte 6, 1909, p. 153: idem, Una pittura inedita del Cigoli nella R. Galleria Palatina, in: Bollettino d’Arte 7, 1913, pp. 104-06.
4) La Galleria dei quadri esistente nell’Imp. e Reale Palazzo Pitti descritta dal Cav. Francesco Inghirami, Fiesole 1834: scheda 301 a p.49 (Sala d’Ulisse). Nelle tre edizioni precedenti della Guida – I ed., Firenze 1819; II Ed., Fiesole 1828; III Ed., Fiesole 1832 – il quadro non viene citato perchè evidentemente non esposto nelle sale accessibili ai visitatori. Né esso è citato nelle descrizioni precedenti della Galleria, inserite da Gaetano Cambiagi nella sua Guida di Firenze, che cominciò a uscire nel 1765 e fu edita più volte: cfr. VI ed., Firenze 1793 ; VII ed., Firenze 1798; VIII ed., Firenze 1804; nelle edd. dalla I alla V manca la descrizione della Galleria.
L’attribuzione al Cigoli ricevette solenne conferma di lì a pochi anni nell’opera poderosa del Calcografo Regio Luigi Bardi, contenente, in quattro volumi in folio di carta imperiale editi tra il 1837 e il 1842, stampe tratte da dipinti della Palatina.5
5) L’ Imperiale e Reale Galleria Pitti illustrata per cura di Luigi Bardi Regio Calcografo, N. 4 voll., Firenze 1837-42 (pp. non numer.): vol. I ed. alfab., 1837 ; vol. II ed. non alfab., 1838.
Nella didascalia apposta in calce al Ritratto, inciso da Francesco Rosaspina a bulino su rame mm 121 x 95 e presentato con una nota sommamente laudativa dallo Scolopio Padre Tanzini, si legge infatti:
Cigoli dip. M. Orsi dis. F. Rosaspina inc.
Da allora il nome del Cigoli ha sempre accompagnato il Ritratto senz’alcuna contestazione attraverso le Guide successive della Palatina dovute al Chiavacci I ed. 1859), al Pieraccini (aggiornamento di quella del Chiavacci, (I ed. 1893), al Tarchiani (1934), al Jahn-Rusconi (1937), alla Francini-Ciaranfi (I ed. 1956), al Cipriani (1966), fino all’ultima del Chiarini (I ed. 1973).6
6) E. Chiavacci, Guida dell’I. e R. Galleria del Palazzo Pitti, Firenze 1859: scheda 301 a p. 137; idem, Guida della R. Galleria del Palazzo Pitti… riveduta e aumentata da Eugenio Pieraccini, Firenze Roma 1893: scheda 301 a p. 136; N. Tarchiani, La R. Galleria Pitti in Firenze, Roma 1934 : scheda a p. 17 ; A. Jahn-Rusconi, La R. Galleria Pitti in Firenze, Roma 1937: scheda 301 a p. 97; A. M. Francini-Ciaranfi, La Galleria Palatina (Pitti) — Guida per il visitatore e catalogo delle opere esposte, Firenze 1956: scheda 301 a p. 49; N. Cipriani, La Galleria Palatina nel Palazzo Pitti a Firenze — Repertorio illustrato di tutti i dipinti, le sculture, gli affreschi e gli arredi, Firenze 1966: scheda e ill. 301 a p. 92; M. Chiarini, Palazzo Pitti — Arte e Storia, Firenze 1973 : scheda e ill. a p. 18.
Raramente edito — in bianco e nero nel Catalogo della “Mostra del Cigoli e del suo ambiente” tenutasi a San Miniato nel 1959, dal Lotti nel 19647 e dal Cipriani nel 1966, a colori dal Chiarini nel 1973 — il discorso più importante che sia stato scritto in proposito resta tuttora la schedina compilata dal Bucci per il Catalogo della Mostra cigolesca.
7) Rispettivamente: Mostra del Cigoli e del suo ambiente — Catalogo a cura di varii, San Miniato 1959: scheda 34 alle pp. 91-92 e ill. 34 alla tav. X a cura di Mario Bucci; D. Lotti, Un ritardatario in anticipo, in: Bollettino dell’Accademia degli Eutelèti 45, N. 36, 1964, pp. 22-33: pp. 28-29 e ill. XX.
Fu quella, ch’io sappia, anche l’unica volta in cui venne affrontato il problema della datazione: che è un problema in genere difficoltoso se si ha davanti un ritratto di cui s’ignora l’identità del soggetto, diversificandosi, com’è risaputo, nel ritratto — e specie nell’autoritratto, il quale è ancora più sciolto di quello da certi vincoli esterni — la maniera abituale di un pittore.
Fu proposta una data vicina a quella dell’ “Ecce Homo” anch’esso alla Palatina, il quale è ascrivibile con sicurezza quasi matematica al 1606: l’estensore della scheda lo voleva erroneamente del 1607, con una differenza comunque non rilevante.
E come il Tanzini aveva fatto notare le austere ma graziose e regolari sembianze nonché la simpatica malinconia dell’ignoto, analogamente lo studioso moderno che ebbe a compilare tale scheda mise in evidenza, magari sforzando un po’ la misura, l’ “aspetto scavato, sottolineato, come di persona malata… l’aria intenta, dolorosa” , definendoli ” i caratteri di una persona nervosa, sensibilissima”.
Ma penso occorra fare un rilievo non tanto riguardo all’interpretazione che è in quel Catalogo dell’espressività psicologica del Ritratto, quanto piuttosto riguardo alla cronologia supposta, invero eccessivamente avanzata.
Secondo la mia opinione il Ritratto è invece da porre, per le sue rispondenze o meno di stile con la superstite oeuvre pittorica del Cigoli, nell’ambito del quinquennio 1585-1590.
Tenendo nel debito conto la differenza di tecnica, esso appare ancora abbastanza prossimo, se pure già partecipe di una sfera culturale più matura, alle nobili testine — false sculture a tutto tondo in monocromia, entro falsi loculi conformati a nicchia — che pausano la larga striscia di margine, imitante la parte intradossale di un arco impostato su pilastri, nell’affresco con la “Discesa di Cristo al Limbo” un tempo nel Claustrum Maximum del Convento fiorentino di S. Maria Novella, ora staccato e presso la Soprintendenza; e anche a qualche testa delle figure all’interno della scena dell’affresco compagno con la “Vestizione di S. Vincenzo Ferrer” due opere documentate al 1581-1584.8
8) Per le ill. v. risp.: U. Baldini e L. Berti, ” Il Mostra di affreschi staccati ” — Firenze, Forte di Belvedere, 1958 — Catalogo, Firenze 1958: scheda 194 a p. 82 e ill. X XXIX (a cura di L. B.) Mostra del Cigoli (v. nota 7), scheda alle pp. 39-40 e ill. 1 alla tav. I a cura di M. Bucci.
In parallelo a detti affreschi per le tendenze dello stile ma logicamente meglio suasive per l’identità della tecnica e anche per i toni cromatici più intensi e scuri, alcune tele a olio ritenute posteriori a essi di pochi anni, quali la “Diana col Satiro” e il “S. Sebastiano” l’una e l’altro in collezioni private fiorentine.9
9) V., anche per le ill.: M. Gregori, postilla ritardata a due Mostre (con codicillo), in: Bollettino dell’Accademia degli Eutelèti 42, N. 33, 1961, pp. 97-110: pp. 99-101 e ill. 32 (Diana); G. Chelazzi-Dini, Aggiunte e precisazioni al Cigoli e alla sua cerchia, in: Paragone 14, N. 167, 1963, pp. 5165: pp. 53-54 e ill. 50 a (Diana); pp. 57-58 e ill. 57 a e b (S. Sebastiano).
In questo Ritratto, anteriore di qualche anno al ’90, appare in modo inequivoco come, sull’educazione di stampo manieristico ricevuta da Alessandro Allori, stiano ormai prevalendo le opzioni personali determinate da quei viaggi di studio nel Nord Italia di cui i biografi parlano pur senza fornirne l’attestato preciso.
Il Ritratto è, per cosi dire, un primo indubitabile attestato della revisione delle teorie alloriane — revisione che già s’intravede debolmente, insieme agli influssi del Sarto e di Agnolo Bronzino, negli affreschi di cui sopra, purtroppo malridotti — e anche della simpatia per la ritrattistica dei veneti: del fatto insomma che il giovane artista intende mettersi al passo coi tempi.
Un fatto simile si verificava in contemporanea anche a Bologna, presso i Carracci, la loro scuola, i loro seguaci. Né per questo si deve credere che la pittura dei Carracci possa essere stata il tramite tra la pittura veneta e quella cigolesca.
E anzitutto per i riflessi copiosi e di vario tipo, riscontrabili nell’operato giovanile del Cigoli, di dipinti delle Scuole del Nord Italia i quali allora (e in gran parte tuttora) si conservavano in altre città dell’Emilia, nella Lombardia e nel Veneto.
In secondo luogo perché non si possono concepire senza presupporre un’acquisizione personale e diretta, le sottili e continue rispondenze tra la teletta della Palatina e certa ritrattistica dei grandi veneti di poco o molto anteriore e massime del Tintoretto.
Costituiscono dei punti di contatto con un’infinità di ritratti del Tintoretto e sua scuola: il voluto semplicismo dello schema, il taglio a tre/quarti della faccia, l’espressione lievemente malinconica e, si direbbe, romantica ante litteram, la sinteticità del colorismo dove il nero della veste, che appena rileva sui toni scuri del fondo amorfo, in un’ostentazione di austerità cara al Tintoretto come a molti altri ritrattisti veneti, offre esaltante complemento al candore del collare, di un’eleganza artatamente negletta — si osservi il bordo di pizzo, ridotto al minimo, la spiegazzatura della stoffa — e all’avorio rosato delle carni.10
10) per le ill. dei ritratti del Tintoretto o a lui attribuiti, nonché dei seguaci v. C. Bernari e P. De Vecchi, L’opera completa del Tintoretto, Milano 1970: in particolare le tavv. l, XVIII, XIX, XLVI, XLVII e la fig. 62 b a p. 83, un autoritratto.
Tuttavia il genere della ripresa, improntata a semplicità e disinvoltura — quasi un’istantanea a persona còlta a sua insaputa mentre per un attimo si volge di lato, la testa inclinata perché la posa naturale è ancora scomposta dall’atto del volgersi — presente solo sporadicamente nella pur vasta produzione di ritratti tizianesca e tintorettiana, compresa quella di dubbia autenticità e pertanto di bottega o di seguaci, sembra piuttosto desunto dalla contemporanea ritrattistica dei Carracci, ovverosia da prototipi di uno spirito più vivace e moderno.
Fu appunto nel riprendere in esame questo Ritratto d’ignoto, cosi essenziale e privo di lusinghe, alla luce dell’etica carraccesca, portata ancora una volta alla ribalta dalla Mostra tenutasi nel 1975 agli Uffizi, che mi occorse di domandarmi se, com’è per molti ritratti dei Carracci, non si trattasse anche in questo caso di un autoritratto.11
11) Pittori bolognesi del Seicento nelle Gallerie di Firenze ” — Catalogo della Mostra a cura di Evelina Borea, Firenze 1975. Si osservino i ritratti frontali delle tavv. 4, 5, 7, 9, 96 e anche quelli in profilo delle tavv. 8, 100. Ma sul carraccismo del Cigoli si è talvolta calcato troppo la mano. Ciò è avvenuto anche di corto in occasione di una Mostra di grafica tenutasi a Firenze. Nel relativo Catalogo – “Disegni dei Toscani a Roma (1580-1620)” Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Catalogo a cura di varii, Firenze 1979 — Miles L. Chappell parla di rapporti corsi a Roma tra il nostro e Annibale (pp. 111-13). Ne sarebbero la prova alcuni disegni del Cigoli agli Uffizi di attribuzione antica: l’8998 F, che sarebbe copia del Cristo dalla “Pietà” di Annibale alla National Gallery di Londra (repliche altrove), l’8868 F, che sarebbe un Satiro ispirato ai Carracci, il 2060 S, un Cristo benedicente, che sarebbe stato eseguito dal Cigoli per inserirlo in una tela incompiuta di Annibale col Battista nel deserto. In realtà: l’8998 F — mm 258 x 403, sanguigna su carta bianca — è una derivazione di Annibale stesso dall’ “Antiope” (o “Venere”) del Correggio al Louvre, da inserire tra i disegni preparatori per quel Cristo; l’8868 F — mm 422 x 288, sanguigna su carta bianca — è un Nudo virile con qualcosa di satiresco, ancora della mano di Annibale e certo eseguito in vista della scena con “Il Satiro Marsia scorticato da Apollo” da dipingere a fresco in uno dei finti medaglioni bronzei che ornano la vôlta della Galleria di Palazzo Farnese; il 2060 S — mm 395 x 206, sanguigna su carta bianca — è esso pure di Annibale per il suo perduto Battista di cui restano una copia al Ringling Museum di Sarasota e un’incisione (invertita) di Pietro Del Po. Tuttavia, su una traccia del Bellori (ed. 1672, p. 85), pare si debba concludere che il disegno servì al Cigoli, invitato da Corradino Orsini a completare il Battista che Annibale aveva lasciato da finire alla sua morte.
E infatti il confronto con l’Autoritratto del Cigoli nella Collezione Medicea degli Uffizi12 mi parve calzante sotto ogni rispetto: per l’esatta corrispondenza fisionomica, come per la datazione (Fig. 2).
12) 1729 Inv., olio su tela, cm 58,5 x 44; da alcuni anni è esposto nel Corridoio Vasariano. Numerose le riproduzioni di questo autoritratto sia antiche che moderne — a incisione, ad affresco, a olio su tela o tavola — il quale è stato anche esposto a varie Mostre e sul quale mai sono stati avanzati dubbi di nessuna sorta. Discusso è invece un Doppio ritratto del Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, olio su tela cm 33 x 56, attribuito al nostro per la prima volta in una Guida della città del 1951 e presente come Cigoli anche alla Mostra del 1959. L’identificazione “Cigoli col suo allievo preferito, Giovanni Antonio Bilivert” suggerita dall’estensore della scheda — op. cit. (v. nota 7), scheda alle pp. 53-54 e ill. 20 alla tav. XI — fu accettata da tutti finché M. Chappell, Portraits and pedagogy in a painting by Cristofano Allori, in: Antichità Viva 16, 1977, N. 5. pp. 20-34, passò la teletta all’Allori, che vi avrebbe ritratto sé stesso col maestro Cigoli intorno al 1600. Il fatto che l’autografia cigolesca viene messa sotto accusa in quell’articolo, mi ha spinta a rivedere l’opera ma ho concluso che devono ancora ritenersi corrette sia l’identificazione in Cigoli e Bilivert, sia l’autografia del Cigoli, proposte nel 1959 e da me riprese: A. Matteoli, Una biografia inedita di Giovanni Bilivert, in: Commentari 21, 1970, pp. 326-66. Tuttavia preferisco non sostenere con l’esempio della teletta cortonese la presente mia identificazione perché ivi lo strano cappello molto calato sulla fronte è causa di una svisatura affatto trascurabile, la quale infirma un pronto riconoscimento della fisionomia dell’artista. Riguardo alla medesima teletta, non è da tacere che di recente S. Meloni-Trkulja, La Collezione Pazzi (Autoritratti per gli Uffizi): Un’operazione sospetta, un documento malevolo, in: Paragone 29, N. 343, 1978, pp. 79-123: p. 84 e ill. 79 a, ha avanzato dubbi tanto sull’autografia del Cigoli quanto sull’identità del più anziano come Cigoli, mentre il più giovane potrebbe essere Andrea Commodi: il che mi pare in netto contrasto con ambedue gli autoritratti noti del Commodi, cioè quello degli Uffizi, in età adolescente, quello di Casa Buonarroti, in età adulta.
Questa è da ipotizzare, in forza dell’età dimostrata dal soggetto e delle vicinanze stilistiche già vedute in precedenza, all’incirca tra il 1585 e il 1588, quando il Cigoli era sui ventisei/ventinove anni: ciò è in armonia con l’Autoritratto degli Uffizi, a cui si addice una collocazione cronologica intorno al 1606, epoca dell’ “Ecce Homo” quando il Cigoli aveva quarantasei/quarantasette anni.
Infatti un intervallo di una ventina di anni può ben frapporsi tra le due effigi, casualmente fissate dall’artista pressoché a equidistanza dall’inizio e dal termine della propria attività.
Ma, nonostante il forte distacco temporale, l’Autoritratto degli Uffizi mi pare rappresenti una prova assolutamente sufficiente di per sé stessa ai fini dell’identificazione. Si comparino nelle due tele: l’occhio lucido e di taglio largo, reso più luminoso dall’arco sopraccigliare che si assottiglia mentre si solleva lievemente verso la tempia; il naso pronunciato, che s’ingrossa di più in prossimità della punta, per terminare con una piccola smussatura; la guancia asciutta, tenera nel giovane, quasi petrigna nell’adulto; la bocca grande e carnosa, dal contorno marcato.
Ambedue questi Autoritratti rivelano concordemente: dal lato fisico, dei lineamenti assai regolari e in esatte proporzioni, salvo il leggero accentuarsi del naso; dal lato spirituale, il carattere di persona solita indagare, con occhi affettuosi e intelligenti, forme e cromie, vaIori e rapporti, cause ed effetti, com’è proprio del pittore.
Il curriculum artistico del Cigoli è punteggiato da una quantità di ritratti che direi cospicua, non trattandosi di un ritrattista di mestiere; di essi però pochissimi sono giunti fino a noi: dei più rimane solo la testimonianza dei biografi antichi e dei documenti d’archivio.
L’elenco che sono riuscita a mettere insieme, forse ancora incompleto, annovera quelli di: Cosimo I de’ Medici, Francesco I de’ Medici (ambedue sia a figura intera che a mezza figura), Ferdinando I de’ Medici, Eleonora di Toledo, Giovanna d’Austria (tutti documentati al 1588), Doppio ritratto (1592-93) Gentiluomo ignoto (dat. 1594), Don Giovanni de’ Medici (doc. 1596), Carlo III Duca di Lorena (doc. 1598), Baccio Valori (doc. 1599), Cosimo I de’ Medici (doc. 1603), Un Frate (1605 c.) , Concino Concini (1608 ? ).
Di questi sono oggi emersi solo il Doppio ritratto (Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca), il Gentiluomo (Galleria Palatina), il Cosimo I del 1603 (Museo Mediceo), il Frate (Firenze, Collezione Capponi-Farinola13), nonché il presente Ignoto il quale, grazie all’identificazione in un’ “Autoritratto giovanile” viene ora ad acquisire, in aggiunta al suo pregio di raro esemplare di ritratto nel corpus superstite cigolesco, un significato indubbiamente particolare.
13) Per le ill. v. risp.: Mostra del Cigoli (v. nota 7), scheda 11 alle pp. 53-54 e ill. 20 alla tav. XI; scheda 10 alle pp. 52-53 e ill. 10 alla tav. X a cura di M. Bucci (per il mutamento di attribuzione Tinelli/Cigoli v. qui alla nota 3); K. Langedijk, A new Cigoli: the State Portrait of Cosimo I de’ Medici, and a suggestion concerning the Cappella de’ Principi, in: Burl. Mag. 113, 1971, pp. 57-59; e ill. a p. 577; U. Ojetti, L. Dami e N. Tarchiani, La pittura italiana del Seicento e del Settecento alla Mostra di Palazzo Pitti [1922], Milano/Roma 1924 : p. 59 e ill. 96 (a cura di N. T.) Per notizie approfondite su questi ritratti v. le schede relative nella mia monografia: A. Matteoli, Lodovico Cigoli pittore e architetto. Fonti biografiche – Catalogo delle opere – Documenti – Bibliografia – Indici analitici, Pisa 1980.