Nuovi disegni del Cigoli
Anna Forlani Tempesti
da: Prospettiva
No. 93/94, Omaggio a Fiorella Sricchia Santoro: Volume Il (Gennaio-Aprile 1999)
Centro Di Firenze
Agli inizi degli anni cinquanta il nome del Cigoli non godeva certo la fortuna critica che, forsanche eccessiva, gli è stata elargita dal decennio seguente in poi, facendone una sorta di geniale portatore di meriti e novità difatto proprie anche ad altri artisti toscani più o meno della medesima generazione.
Fiorella Sricchia è stata fra i primi ad inquadrare in modo chiaro la situazione della pittura fiorentina fra Cinque e Seicento, con le sue aperture e le sue chiusure, gli interessi naturalistici e luministici (agganciati a spunti della sua tradizione, individuati dal Longhi fin dal ’27, più che di effettiva adesione alla rivoluzione caravaggesca), la componente religiosa controriformata, la normalizzazione pur essa richiamantesi alla tradizione dei racconti e dei gesti, la ricerca di impasti e accordi cromatici alla veneta, le tangenze e l’anticipo rispetto al ‘nuovo corso’ carraccesco: tutte nozioni oggi scontate, ma non altrettanto allorché la Sricchia le condensò nel saggio preliminare alla sua tesi di laurea su Lorenzo Lippi, pubblicata solo nel 1963 ma discussa nel ’52 con Roberto Longhi.1
1) Molte delle tesi di laurea affidate da Roberto Longhi ai suoi allievi fiorentini furono dedicate alla Pittura locale fra Cinque e Seicento e fra le prime fu quella esemplare di Fiorella Sricchia sul Lippi, discussa nel 1952 (ricordo che me la fece leggere ancor fresca di battitura, mentre preparavo la mia su Andrea Boscoli), Purtroppo poté venir pubblicata, insieme con altre, soltanto più di dieci anni di distanza in un articolo che, spesso ingiustamente dimenticato da voci bibliografiche posteriori, andava ben oltre il mero intento monografico e riassumeva con angolature nuove i problemi della pittura toscana del tempo: Lorenzo Lippi nello svolgimento della pittura fiorentina della prima mela del seicento, in ‘Proporzioni’, IV, 1963, pp. 242-270.
Fra i comprimari di quella situazione, inaugurata da Santi di Tito, ella citava più volte il Cigoli, ne sottolineava fin dagli affreschi nel Chiostro Grande di Santa Maria Novella la “stesura pittorica già più intensa” e ne presentava il ‘Martirio di San Lorenzo’, allora “confinato nei depositi di San Salvi… gravemente offuscato ma sorprendente” per la “confidenza con la materia cromatica… l’attenzione di passaggi d’ombra”; finché all’apertura del nuovo secolo le opere del “più pronto Cigoli portano nella loro legatura tradizionale i segni della presenza ai grandi fatti artistici di Roma” — Caravaggio e i bolognesi — e un nuovo “far grande” nella cupola di Santa Maria Maggiore.
Raccontato in modo che sarà esemplare per certi aspetti del secolo successivo, il ‘Miracolo della mula’ di Cortona del’97 mostra il Cardi “intento ai suoi problemi di stesura cromatica alla veneziana appoggiati a uno schema compositivo schiettamente controriformat0″.2
2) Sricchia, Giovanni Martinelli, in ‘Paragone’, 39, 1953, p. 31, dove il dipinto del Cigoli viene messo a confronto con il ‘Miracolo della mula’ del Martinelli in San Francesco a Pescia, di quasi quarant’anni dopo.
È una lettura ponderata, che tiene in giusto conto le novità ma anche le remore dell’artista, uno fra i tanti che a Firenze cercavano modi più moderni e aperti, certo “più pronto” di altri e semmai più libero a esporre una “fluida materia pittorica” e quel ” fiorito accomodamento di temi naturalistici”, che tanto piacerà nel primo Seicento al Bilivert o al Rosselli o a Cristofano Allori.
Come hanno evidenziato i tanti studi che dal 1959 in poi si sono accavallati sul Cigoli, uno e forse il suo più compatto punto di forza è la ricchissima produzione disegnativa, smaliziata e versatile nello stile, nei tipi, nelle tecniche e nei temi più di quella di ogni altro toscano contemporaneo (ma il Boscoli non è da meno), spia e specchio coerente delle sue “studiose” sperimentazioni sul piano culturale e su quello operativo.3
3) Non è questo il luogo nemmeno di riassumere la lunga vicenda critica dei disegni del Cigoli, che nel secondo dopoguerra ha preso abbrivio dalla Mostra del Cigoli e del suo ambiente, San Miniato 1959, per approdare alla più recente fatica dello studioso che ne sta preparando il corpus globale: M. Chappell, Disegni di Lodovico Cigoli, catalogo della mostra, Firenze 1992, cui si rimanda (semplicemente come Chappell) per la bibliografia generale e per le notizie sui fogli che via via qui citeremo; se ne veda la densa recensione di R. Contini, in ‘Master Drawings’ 2, 1995, pp. 169-175, dove è però da segnalare l’improbabilità del riferimento al Cigoli per lo ‘Studio di donna’ in collezione privata milanese, fig. I , p. 1 che pare piuttosto veneto e seicentesco. Molti disegni in relazione ai dipinti sono stati illustrati nella monografia di F. Faranda, Ludovico Cardi detto il Cigoli, Roma 1 986, cui pure faremo riferimento a proposito delle di pittura (come Faranda tout court).
Tanta è la varietà dei suoi modi, che fogli di sua mano possono ancora celarsi sotto le collocazioni più diverse, anche in collezioni ben indagate, come gli Uffizi o l’Albertina, dalle quali appunto provengono gli esempi che qui si propongono, azzardando una probabile scalatura cronologica.
Il primo è un disegno degli Uffizi n. 9105 S (fig. l), assegnato anticamente al Cavedoni, ma pubblicato fin dal 1913 dal Di Pietro e anche di recente riproposto come Barocci, per il fatto che la figura, un ‘Vecchio vescovo inginocchiato’, è uguale a quella del San Nicola che compare in alto a destra nel baroccesco ‘Perdono’ in San Francesco a Urbino.4
4) Gabinetto Disegni e Starmpe degli Uffizi, n. 9105 S, ‘Vescovo in ginocchio’, matita nera, carboncino e tracce di gessetto, carta bianca, mm. 388×250, in basso a destra a penna in grafia sei-settecentesca “Cavedone”. Con tale nome è registrato nel Catalogo della raccolta di disegni… donati dal prof Emilio Santarelli alla Reale Galleria di Firenze, Firenze 1870, p. 619n. 11. Venne pubblicato come Baroccio, preparatorio al San Nicola nella pala del ‘Perdono’ in San Francesco di Urbino, da F. Di Pietro, Disegni sconosciuti e disegni finora non identificati di Federico Barocci nel Gabinetto dei Disegni della R. Galleria degli Uffizi, Firenze 191 3, pp. 36, 1 74, fig. 43, e come tale accettato da H. Olsen, Federico Barocci, Copenhagen 1 962, p. 160. Nella scheda della catalogazione ministeriale, D 09/00077916, 1976, a cura di S. Noferi Gaeta è ritenuto copia da Barocci, forse proprio di mano di Cavedoni. pubblicato come Barocci, senza commento, da A. Emiliani, Federico Barocci, Bologna 1985, fig. 201.
La figura del disegno corrisponde in tutto a quella dipinta, ma sul libro non ci sono le tre palle d’oro, emblema del Santo, e manca il pastorale che questi tiene nella mano sinistra. Le varianti potrebbero essere una prova che si tratta di uno studio preparatorio, e come tali sono state interpretate, ma possono anche indicare una meditazione sul tema da parte di altri e in vista di un vescovo diverso da San Nicola.
Comunque non collima con quelle cosi tipiche del Barocci questa figura, più atticciata e naturalistica e avvolta di più grevi e non sfaccettati panni (sovrapponibili invece a molti di opere cigolesche), trattata da un segno lungo, strisciato e sfumato a piatto, a matita nera e carboncino con tocchi di gessetto su carta bianca: una tecnica che il Fiori usa in modo assai più deciso, sprezzato e vaporoso, sulla carta cerulea.
Il tipo di testa del vecchio, con le sopracciglia aggrontate e le palpebre forti, il naso pronunciato con le narici incavate, la soffice barba e i capelli svolazzanti, è invece frequentissimo nel Cigoli, nell’intero arco della sua attività, cosi come lo sono le mani, grandi e con le nocche evidenziate, anche quella sinistra inguantata, ben diverse dalle eleganti dita studiate dal Barocci per il suo San Nicola.5
5) Per le notizie sul dipinto, i disegni e la relativa acquaforte di Barocci, si rimanda a Olsen, op. cit., 1962, p. 160; si veda pure Emiliani, on cit., 1985, pp. 104-1 17: in particolare, il ‘San Nicola’, lo studio per la mano sinistra a Berlino, KdZ 20346 (4191), fig. 200, e quello la testa a Besançon n. 3053, fig. 199. Sui disegni il dipinto cfr. inoltre A. Forlani Barocci infinito, in Hommage au dessim Mélanges offerts Roseline Bacou, Rimini 1996, pp. 59-71.
Confronti tipologici convincenti si possono fare con vari fogli cigoleschi, come le ‘Teste senili’ del Louvre nn. 897, 899, 900, 901, che la Viatte ritiene collegate alla ‘Adorazione dei Magi’ per San Pier Maggiore del 1605, o lo ‘Studio di vecchio’ degli Uffizi n. 8964 F, che pare ritrarre lo stesso modello del nostro: un modello usato più volte anche in dipinti, dal vescovo nella ‘Madonna del rosario’ di Pontedera del ’95, al Santo papa della pala ora in Notre Dame de la Bonne Nouvelle a Parigi databile al 1601, al San Giuseppe e al vecchio re nella suddetta ‘Adorazione’.6
6) I disegni di ‘Teste senili’ del Louvre sono illustrati da E Viatte, Inventaire général des dessins italiens. Musée du Louvre. Dessins Toscans XVFxvme siècles, 1, Paris 1988, nn. 157-160. Il foglio degli Uffizi 8964 F è discusso da Chappell, n. 58. per le pale di Pontedera c di Parigi, cfr. Faranda, nn. 18 e 52; per I”Adorazione dei Magi’ per San Pier Maggiore, ora a Stourhead (Faranda, n. 66), e una sua replica in collezione privata a Fiesole, cfr. pure Lodovico Cigoli 1559-1613 tra manierismo e barocco. Dipinti, catalogo della mostra, Firenze 1992, n.
Sul piano dello stile tuttavia, nonostante la diversità di tecnica e di tema, è utile il confronto con un disegno giovanile, quello degli Uffizi n. 965 F per la testa del ‘Cristo al limbo’ nel Chiostro Grande di Santa Maria Novella della prima metà degli anni Ottanta, una delle prime prove del basilare accostamento del Cardi alla pittura del Barocci, prima di quello così esplicito nella perduta ‘Ultima Cena’ di Empoli del 1591.7
7) Il disegno 965 F è stato studiato da Chappell, n.2. Nella pala perduta già in Sant’Andrea a Empoli (Faranda, nn. 18 e 52;) sono da notare cadenze di panneggi e tipologie di teste che hanno molte affinità col disegno qui discusso 9105 S.
Si sa dalle fonti di viaggi del Cigoli ad Arezzo col Pagani, per vedere, forse appena collocata, la ‘Madonna del popolo’ del 1 579, e a Perugia col Passignano per ammirare la ‘Deposizione’ posta nel Duomo fin dal ’69, non si sa invece di una gita ad Urbino per lo stesso scopo; ma il ‘Perdono’, già finito nel ’76, venne inciso dallo stesso Barocci nel 1581 in un’acquaforte che ebbe immediato successo.
Anzi il fatto che questo foglio, unico fra quelli rimastici del Cigoli, sia ripreso in modo quasi puntuale da una precisa figura baroccesca, fa pensare a una meditazione a tavolino dalla stampa piuttosto che a una copia dalla pala, tanto più che la testa del Santo risulta più perentoria nell’acquaforte che nel dipinto, proprio come nella trasposizione cigolesca.
Il doppio studio dell’Albertina n. 13162 (figg. 2, 3) con la ‘Madonna col Bambino e San Giovannino’, ora fra gli anonimi, ma con una vecchia scritta attributiva a Francesco Vanni,8 per composizione, tipo dei personaggi e tecnica — nonché per il metodo di replicare in controparte sul verso, a puro tratto di penna, la stessa scena studiata con acquerellature sul recto — trova molteplici riscontri nei fogli del Cigoli.
8) Albertina 13162 (SD 174. Div. 3), r. e v. ‘Madonna col Bambino e San Giovannino’, penna, sul r. anche acquerello e matita rossa, carta bianca, mm. 204×158, sul in basso a destra a matita nera “Vanni Senese” in a ottocentesca; l’attribuzione tradizionale al Vanni è sostituita con quella ad anonimo da V. Birke-J. Kertész, Die Italienischen Zeichnungen der Albertina, III, Wien 1995, pp 1776-7. Ringrazio le autrici e la direzione dell’Alberlina per avermi fornito le foto, e l’autorizzazione a riprodurle, per questo e gli altri fogli della collezione qui pubblicati.
Fra le tante esercitazioni sul tema della Madonna eseguite intorno alla metà dell’ultimo decennio del secolo, il gesto della Vergine del recto e l’inquadramento generale richiamano sia 10 studio dal vero a matita rossa n. 8931 F, sia le due varianti di ‘Madonna con San Francesco’ a penna acquerellata n. 980 F (recto, e tre degli schizzi sul verso) e n. 1023 F, mentre il San Giovannino richiama il medesimo tema schizzato sul n. 8880 F, tutti degli Uffizi;9 analogo a questi ultimi è anche il trattamento delle guizzanti, decise acquerellature e dei contorni filanti a penna.
9) Lo studio di ‘Madonna col Bambino e San Giovannino’ degli Uffizi 8931 F — scheda della catalogazione ministeriale, D 09/0001316 a cura di G. Chelazzi Dini, 1971, come seguace del Cigoli — è citato da Chappell, p. 51, quale possibile pensiero perla pala di Pontedera; i fogli 980 F, 1023 F c 8880 F sono stati esposti da Chappell, nn. 32, 33, 34, rispettivamente.
Questo modo di contornare, personalissimo, è ancora più esplicito nelle figure sul verso, dove la posizione frontale della Vergine ricorda quella nella pala di Pianezzole del 1593 e le varianti studiate per la pala di Pontedera del 1595.10
10) La pala con la ‘Madonna e Santi’ in san Michele Arcangelo a Pianezzole (Faranda, n. 14) è stata esposta a Firenze Ludovico Cigoli cit., 1992, n. 7; per quella con la ‘Madonna del rosario’ nella chiesa dei Santi Jacopo e Filippo a Pontedera e i disegni relativi, cfr. Faranda, n. 18 e 18a-c, e nn. 29-31.
Il modulo del recto sarà usato anche più tardi, nelle varie repliche e nei disegni preparatori della su citata ‘Adorazione dei Magi’ del 1605, tanto che lo studio per il Bambino al Louvre n. 90211 sembra una rimeditazione diretta di quello del nostro foglio.
11) Lo studio di ‘Gesù Bambino’ del Louvre 902, Viatte, op. cit., 1988, n. 161, con bibliografia, è considerato in connessione con i pensieri la ‘Adorazione dei Magi’ già in San Pier Maggiore anche da p. 132 (che al n. 79 discute altri disegni per il dipinto).
Di esso non si conosce una redazione dipinta che, se mai ci fu, dovette essere eseguita verso lo scorcio del secolo e destinata alla devozione privata.
Non si conosce il dipinto relativo nemmeno per un altro foglio dell’Albertina n. 1669 (fig. 4) raffigurante la ‘Flagellazione’, tradizionalmente attribuito al Palma Giovane e ora ad anonimo,12 ma chiaramente di mano del Cigoli e legato ad altri suoi pensieri per lo stesso tema.
12) Albertina 1669 (SV 255, V 78), ‘Flagellazione di Cristo’, penna, acquerello e tracce di matita nera, carta bianca, mm. 103x 163; in basso a matita nera in grafia antica “Palma”. L’attribuzione tradizionale a Palma il Giovane, mantenuta dubitativamente da H. Tietze-E. Tietze Conrat, The Drawings of Venezian painters, New York 1944, n. A1188, è sostituita con quella ad anonimo da Birke-Kertész, op. cit., II 1995, pp. 884-6 (cerchia del Boscoli secondo Konrad Oberhubert).
La scena, ma in formato verticale, con molte varianti nei manigoldi e col Cristo posto in controparte, è studiata a puro tratto di penna sul verso di un foglio già nella collezione Rudolfe a penna ed acquerellature su quello n. 918 del Louvre (un’alternanza tecnica per una medesima composizione, che abbiamo visto anche precedentemente), entrambi riferiti al Cigoli.13
13) Il disegno già della collezione Rudolf, ‘Cristo davanti a Pilato’, v. ‘Flagellazione’, e quello con la sola ‘Flagellazione’ n. 91 del Louvre (Viatte, op. cit., 1988, n. 148) sono stati discussi da M. Chappell, On Some Drawings by Cigoli, in ‘Master Drawings’, 3, 1989, pp. 202-3, e p. 63, che li data verso il 1607.
Sempre con varianti e in verticale, ma con il Cristo collocato come nella nostra composizione — la posa è cara all’artista, che la usa anche nel San Sebastiano di collezione privata databile alla metà del primo decennio del Seicento, e nel relativo disegno all’Ermitage14 —, il tema compare sul verso del foglio del Gabinetto Nazionale delle Stampe F.C. n. 125619 e sul n. 2006 S degli Uffizi, anticamente attribuiti al Cigoli ma più giustamente considerati derivazioni da lui.15
14) II dipinto ‘San Sebastiano’ di collezione privata pubblicato da G. Chelazzi Dini, Aggiunte e precisazioni al Cigoli e alla sua cerchia, in ‘Paragone’, 167, 1963, p. 57, insieme con il disegno dell’Ermitage 16520, è considerato copia dal Faranda, n. 93, ma accettato da Chappell, p. 28.
15) Il foglio del Gabinetto Nazionale delle Stampe F.C. 125619, raffigurante la ‘Flagellazione’, con una scritta seicentesca “del Civoli nella comp.a di S. Beniditto” (forse San Benedetto Bianco), che tuttavia non corrisponde a nessuna altra notizia delle fonti, è Stato discusso da S. Prosperi Valenti Rodinò, Disegni fiorentini 1560-1640 dalle collezioni del Gabinetto Nazionale delle Stampe, catalogo della mostra, Roma 1977, n. 80, con un ipotetico riferimento al Bilivert, cfr. pure R. Contini, Bilivert. Saggio di ricostruzione, Firenze 1985, p. 158, e Chappell, op. cit., 1989, p. 213. Questi studiosi inseriscono in tale anche il disegno degli Uffizi n. 2006 S, ‘Flagellazione’, matita nera, carta bianca, mm. 138x 1 1 2, attribuito al Cigoli in Catalogo.. Santarelli cit., 1870, p. 149, n. 78, e alla sua scuola dalla Chelazzi Dini, Catalogazione ministeriale, D 09/00013829, in stretto rapporto con il n. 2007 S, ‘Ecce Homo’, cfr. Chappell, p. 63. Il gruppo, tutto della stessa mano, è troppo debole per il Bilivert e pare di un mediocre seguace del Cigoli, che o copia delle sue composizioni ora (probabilmente dei disegni, date le varianti fra la redazione romana e quella fiorentina, che dovevano già essere negli originali, come vedremo anche alle note 18 e 19), oppure fa egli stesso delle variazioni e collazioni su temi cigoleschi.
È stato supposto che l’artista abbia fatto questi studi in vista di “alcuni quadretti della Passione di N. Signore dei quali due ne tiene il Sig. Jacopo Giraldi”, citati dal nipote Cardi e andati perduti; tuttavia poiché il Baldinucci ne precisa i soggetti come il “Signore mostrato al popolo” e la “coronazione di spine”, quest’ultima in tutto corrispondente a un disegno del Cigoli e a un discusso dipinto nella collezione Corsini,16 è più probabile una diversa destinazione: per esempio il Cristo “flagellato e coronato di spine” che egli esegui per il principe Doria verso il 1604.17
16) I quadretti in mano a Jacopo Giraldi sono citati dal nipote G.B. Cardi, Vita di Lodovico Cardi Cigoli, 1628,ed. Firenze 1913, p. 22,e daF. Baldinucci, Notizie dei Professori del disegno da Cimabue in qua, ed. Firenze 1845-47, III, p. 246. n disegno degli Uffizi 903 5 F, che raffigura non il ‘Cristo flagellato come spesso detto, ma il ‘Cristo deriso coronato di spine’, è di indiscussa autografia, cfr. Chappell n. 38, e corrisponde a un dipinto nella Galleria Corsini di Firenze di più incerta attribuzione all’artista, anche comunque derivato da lui (Faranda, n. 99).
17) Solo il Cardi, op. cit., p. 28 ricorda eseguiti per il principe Doria un “Christo glorioso et un altro flagellato e di spine “, mentre più numerose sono le citazioni delle fonti relative alla mera coronazione di spine, cfr. Chappell, Missing Piectures by Lodovico Cigoli, in ‘Paragone’, 373, 1981, p. 64. Almeno due ‘Misteri della Passione’ vennero studiati da Cigoli per una serie di arazzi tessuti nel 1600 per Palazzo Vecchio in formato orizzontale (Faranda, n. 51; cfr. pure A. M. Matteoli, Lodovico Cardi Cigoli pittore e architetto, Pisa 1980, n. 133 A. e Chappell, n. 49), ma non risulta che fra essi fosse Stata prevista la scena della flagellazione.
Ai pensieri noti, originali e repliche, questo dell’Albertina si aggiunge con una formulazione più dilatata in orizzontale, che prevede la presenza in basso a destra di un giovane in atto di affastellare le verghe.
Tale figura conferma la proposta del Chappell che sia connesso con queste scene il foglio degli Uffizi n. 8983 F sul cui recto (fig. 5) sono due varianti dal vero a matita rossa per un ragazzo in giubba cinquecentesca inginocchiato a legare una fascina, mentre sul verso lo stesso ragazzo è ripreso da tergo.18
18) Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi n. 8983 F, r due varianti di ‘Ragazzo inginocchiato frontale’, v. ‘R da tergo’, matita rosa, carta bianca, mm. 388×258, sul a in grafia seicentesca “del Cigoli”, scheda della gazione ministeriale, D 09/00013926, 1971 a cura di G. Chelazzi Dini, come seguace del Cigoli; è considerato autografo da op. cit., 1989, pp. 203 e 213, nel contesto di cui quianota 15, cfr. pure Chappell, p. 29.
In tale posa esso compare nel citato disegno del Gabinetto Nazionale delle Stampe, che si è supposto variazione di scuola sul tema cigolesco; le varianti studiate sul recto invece hanno servito per l’inserviente della redazione dell’Albertina, un po’ più in isbieco e con le opportune modifiche di abbigliamento.
Un nudo virile alla ‘accademica’ studiato sul verso del foglio degli Uffizi n. 9007 F è atteggiato come il fustigatore a destra della composizione viennese — che fra l’altro compare anche nella su citata copia n. 2006 S — e potrebbe esser chiamato in causa come preparatorio, ma la sua fattura fusa e ondulata fa piuttosto pensare alla esercitazione sulla figura cigolesca da parte di un seguace, forse Cristofano Allori.19
19) II foglio degli Uffizi 9007 F, r. ‘Mezza figura virile e braccio’, ‘Nudo virile’, carboncino e gessetto, carta tinta grigio matita rossa, carta bianca (v), mm. 406×265, di tradizionale attribuzione al Cigoli, e considerato della sua scuola da G. Chelazzi Dini nel 1971, scheda della catalogazione ministeriale, D 09/00013942, reca una nota manoscritta di Annamaria Petrioli Tofani, che lo da dubitativamente al Bilivert e una di Chappel, che lo pensa piuttosto di Cristofano Allori; il nome del Bilivert sembra confermato dal tipo degli studi sul r. Nel foglio 2006 S, già su citato alla nota 15, il manigoldo di destra ha delle varianti rispetto alla redazione del Gabinetto Nazionale delle Stampe, mentre manca la figura del ragazzo che raduna le verghe.
Di diverso genere ma altrettanto caratteristico del Cigoli è un foglio con schizzi per l’ ‘Addobbo di un catafalco’, che si trova fra i disegni del Volterrano all’Albertina n. 2391 1 (fig. 6).20
20) Albertina 23911 (R 690), ‘Studi di apparato funebre’, matita nera, matita rossa (lo schizzo centrale), acquerellature azzurre, carta bianca, mm. 277×381, dal controfondato traspare una scritta, per quanto possibile dettagliatamente ri tata da Birke-Kertesz, op. cit., IV 1997, p. 2M: attribuito tradizionalmente a Volterrano.
La scritta forse autografa sul verso controfondato, malamente leggibile, riporta, insieme ad alcuni dati tecnici relativi alle parti architettoniche, l’indicazione “So Giovanni de fioren…”, che conferma quanto i confronti stilistici già di per sé suggeriscono, e cioè che si tratta di studi per l’apparato funebre organizzato dalla nazione fiorentina a Roma il 22 giugno 1609, in San Giovanni de’ Fiorentini appunto, in occasione della morte del granduca Ferdinando I de’Medici.
Il granduca era morto a Firenze il 7 febbraio, ma per sua disposizione in città non vennero celebrate esequie solenni, che invece furono allestite a Roma e affidate all’ormai collaudata esperienza del Cigoli in materia; esse sono documentate da descrizioni a stampa e da alcuni disegni dell’artista e della sua scuola,21 fra i quali quello degli Uffizi n. 2602 A, relativo all’alzato definitivo del catafalco e alla sua pianta, è probante per l’identificazione di questo dell’Albertina.
21) Per le notizie sulle esequie di Ferdinando I de’ Medici, la relativa documentazione a stampa e disegnativa e la bibliografia, si rimanda a A. M. Petrioli Tofani-G. Gaeta Bertelà, Feste e apparati medicei da Cosimo I a Cosimo II, catalogo della mostra Firenze 1969, pp. 128-133. cfr. pure Matteoli, op. cit., n. 128, e Chappell, pp. 173-5. Vi sono discussi fra gli altri lo studio definitivo degli Uffizi 2602 A (Chappell, n. 103), la sua copia 2615 A e la variante per il solo alzato del baldacchino 2655 A.
Esso ne documenta i primi pensieri con interessanti ed inedite varianti, riguardanti soprattutto i sostegni del baldacchino, che nella soluzione finale erano costituiti da colonne lisce con capitello corinzio intersecate ciascuna da tre galere alludenti in modo alquanto lambiccato alle glorie marinare del defunto, mentre nelle due versioni sul nostro foglio i sostegni sono dei pilastri (scanalati nello schizzo di sinistra, lisci ma con capitello e pulvino più articolati in quello di destra), ai quali stanno addossate delle ‘morti’ dolenti avvolte in ricchi panneggi.
Nello schizzo di sinistra e in quello appena accennato al centro è ventilata la variante di far sedere le morti sulla base del pilastro, con gesti accennanti verso l’esterno: una soluzione pensata dal Cardi, ma più timidamente, anche in occasione delle esequie di Filippo II di Spagna celebrate in San Lorenzo a Firenze nel 1 598, per le quali ci restano dei fogli di schizzi dl una tipologia simile a questo.22
22) Si tratta in particolare dei fogli degli Uffizi n. 2653 A, con schizzi per l’addobbo delle navate di San Lorenu, e n. 2654 A, che reca sul r. studi l’addobbo della facciata e per il catafalco, sulla cui. base compaiono scheletri seduti simili agli schiz.i mentre sul v. gli studi per la navata e il catafalco sono affatto diversi; anche questi disegni e la documentazione delle esequie di Filippo II di Spagna celebrate a Firenze, cfr Feste e apparati cit., pp. 86-95, e Chappell, n. 47.
Proprio tale variante e la piccola morte con le gambe accavallate, schizzata isolata in basso, confermano fra l’altro la destinazione a questo apparato romano, come da alcuni ipotizzato, del disegno degli Uffizi n. 1992 S, dove sono studiati quattro scheletri drappeggiati seduti in pose affatto analoghe»23
23) Sul foglio 1992 S degli Uffizi compaiono in alto a sinistra una morte ‘pensosa’ con le gambe incrociate, simile al piccolo schizzo isolato in basso nel foglio viennese, e a destra una morte col braccio piegato, simile a quella seduta alla base del pilastro nello schizzo di sinistra dell’Albertina. In Feste e apparati cit., n. 83, si accetta il riferimento alle esequie di Ferdinando già proposto dalla scrivente, in Mostra del Cigoli cit. n.82, mentre Chappell, pp. 80 e 174, dubita dell’attribuzione al Cigoli, invece in Scienza e miracoli nell’ arte del ‘600. Alle origini della medicina moderna, catalogo della mostra di Roma. Milano 1998, c. 18, dove tuttavia si riferisce lo studio ai su citati apparati fiorentini per Filippo di Spagna.
Anche nella soluzione definitiva le morti staranno sedute, ma meno gesticolanti e all’interno del baldacchino, sulla base del catafalco vero e proprio. La forma di quest’ultimo corrispondeva alla soluzione indicata nello schizzo di sinistra; la sommità del baldacchino era invece più simile alla variante di destra, con gli stemmi medicei sopra i pilastri e gigli portafiaccola sulla trabeazione, sulla quale però c’era un timpano con una tabella per le iscrizioni celebrative (ce n’è traccia nello schizzo di sinistra).
Il tetto a ripiani per il collocamento delle candele era non a piramide tronca, come qui, ma a cupola ribassata; invece i tre gradini di base sono già previsti in tutti i nostri schizzi. Essi ci documentano come il Cigoli, per questo apparato da eseguire a Roma, avesse cercato di rinnovare il proprio repertorio di pretta tradizione fiorentina e buontalentiana, studiando soluzioni che coinvolgessero più retoricamente gli spettatori e si adeguassero al “far grande” di moda nella capitale papale.
Le nuove proposte attestano, se ce ne fosse ancora bisogno, l’importanza dei disegni per capire la cultura e la genesi delle opere cigolesche. La copia dal Barocci è un esplicito, timido approccio a un artista, del quale il Cardi assimilerà in profondità i modi, più che i moduli, traendone, fra i primi a Firenze, stimoli alla conoscenza del Correggio. Ormai assimilato, il baroccismo compare nelle due varianti della ‘Madonna con il bambino e San Giovannino’, non a caso già attribuita al Vanni: l’impostazione in diagonale, la frasca mossa dell’albero, le ombreggiature sfaccettate, il tipo festoso del Gesù denunciano la conoscenza non solo dei dipinti ma anche dei disegni del fiori, unitamente certo all’esperienza del composto comporre di Santi di Tito, del fluente segno di Federico Zuccari e dell’acquerellare denso e mosso dei veneziani, particolarmente Tintoretto e Palma Giovane.
A quest’ultimo era infatti attribuito il terzo dei nostri fogli, libero nella articolata impostazione scenica, liquido nel ductus delle linee e delle ombreggiature, con la sprezzatura di chi è assolutamente sicuro dei propri mezzi e, disegnatore toscano, può permettersi di schizzare alla veneta. Libertà e tradizione felicemente fuse nell’ultimo studio, tanto ricco di vivaci invenzioni scenografiche e tanto sciolto nella fattura da poter restare confuso fra i fogli del barocco Volterrano.