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UN’ “ANNUNCIAZIONE” GIOVANILE DEL CIGOLI

 

Anna Matteoli

 

Da: Mitteilungen Des Kunsthistorischen Institutes in Florenz 26, n. 3

(1982)

 

Se è vero che una quantità cospicua di pitture del Cigoli, non datate dall’artista né databili sulla base di appunti documentari, origina dei problemi di assetto cronologico talora di notevole gravezza, per cui le soluzioni offerte dalla critica non sempre collimano tra loro e in taluni casi sono anzi fortemente discrepanti, lo stesso non dovrebbe accadere a proposito di un’ “Annunciazione“, dipinta su tela, che qui si presenta per la prima volta (Fig. 2).1

1) Olio su tela, 200 x 150 cm. In un tempo non sappiamo quanto posteriore all’esecuzione della pala, sulla testa della Vergine è stata messa un’autentica corona d’oro e gemme. Ho già schedato l’opera nella mia monografia sull’artista: A. Matteoli, Lodovico Cardi-Cigoli pittore e architetto, Pisa 1980, sch. 12 A alle pp. 325-326.

Infatti un’elevata pluralità di rispondenze, oltre che culturali e stilistiche, anche grafico/formali, la affiancano chiaramente ai due affreschi del Claustrum Maximum del Convento fiorentino di S. Maria Novella, documentati al 1581-84, a cui dovrebbe essere coeva o di poco anteriore.2

2) Matteoli (n. 1), sch. 100-101 alle pp. 236-239. Ambedue gli affreschi, staccati circa venticinque anni fa dai lunettoni dell’ex-Chiostro, si trovano ora nei Depositi della Soprintendenza.

La pala, con la sua cornice in legno dorato decorata di un leggero intaglio a serpentina doppia, è inserita nell’apposito vano dell’unico altare, in pietra serena, della Cappella del Convento di Francescane di Maria SS. Annunziata annesso all’ Ospedale Serristori — oggi “Ospedale di Zona” — di Figline Valdarno (Firenze).

Ospedale e Convento, ora a Villa S. Cerbone, ebbero sede dall’origine al secolo scorso (1399-1890) in un ambiente eretto allo scopo da Ser Ristoro di Ser Jacopo Ristori nella piazza che più tardi avrebbe ricevuto il nome di Marsilio Ficino; il titolo dell’Ospedale era allora “dell’Annunziata”.3

3) Magherini-Graziani, Memoria dello Spedale Serristori in Figline, Città di Castello 1892 ; Idem, Lo Spedale di Ser Ristoro 1399-1899, Città di Castello 1899. Di Ser Ristoro fondatore dell’Ospedale esiste un ritratto a tre/quarti di figura a Firenze, Palazzo Serristori, proveniente dall’Ospedale di Figline: probabilmente un’opera giovanile del Passignano. Si tratta infatti di un ritratto postumo e, non si sa fino a che punto, ideale. Nella Farmacia dell’Ospedale se ne conserva una copia minore — olio su tela, 90 X 75 cm — di un pittore tardo/barocco, come fa supporre la larga cornice in legno dorato, a grandi intagli di fogliami e volute. Cfr. Matteoli (n. 1), nota 12 a p. 107. È molto probabile che committenti dell’ “Annunciazione” siano stati i Serristori, allora patroni dell’Ospedale e dell’annesso Convento.

La pala non ha mai avuto un’attribuzione ufficiale specifica e nell’ultima schedatura della Soprintendenza di Firenze (1978) è data a Ignoto fiorentino sec. XVI.

Mi risulta tuttavia che un tempo almeno localmente era creduta del Cigoli, in forza suppongo di una tradizione perpetuata dalle Suore dell’Ospedale4; in epoca recente (1964), in un libro sulla storia di Figline è stata riferita, sia pure con dubbio, a sua scuola.5

4) Lorenzoni, Figline e il Valdarno Superiore, Milano 1929 (N. 265 della Collana ” Le cento città d’Italia illustrate ed. Sonzogno), p. 12.

5) A. Bossini, Storia di Figline e del Valdarno Superiore, Firenze 1970, p. 273 (II ed.; I ed. Firenze 1964, p. 274).

Il riferimento erroneo trova sufficiente giustifica nel livello assai inferiore di questa coserella giovanile6  rispetto ai capolavori dell’età matura del maestro, quali il “Martirio di S. Stefano” (1597), l’ “Ecce Homo” (1606 c.) , la “Deposizione” (1607), e anche rispetto ad altri dipinti di levata minore: le due “Giaèle e Sìsara” (1595-96 c.) , il “S. Pietro da Verona” (1598), il “S. Pietro Apostolo che cammina sulle acque” (1599), l’ “Abramo e Isacco” (1604-05 c.) etc.

6) Havea gia fatte alcune coserelle nel castello di Figline nel quale dovendosi dipigner’ due tavole una ne fu ordinata ad esso per farvi il Martirio di S. Lorenzo. Così G. B. Cardi nella biografia dello zio: Matteoli (n. 1), p. 23. Il “S. Lorenzo”, oggi nei Depositi della Soprintendenza di Firenze, è datato 1590.

Sono facili per converso gli accostamenti con dipinti del decennio 1580-90, ovvero con quei pochissimi dipinti dei molti che il Cigoli fino da allora eseguiva, secondo l’attestato dei biografi e dei documenti, oggi a nostra conoscenza: la “Diana col Satiro” (1585-87 c.) , il “Martirio di S. Sebastiano” (1587-90 c.) e, determinanti in primis, i due affreschi citati del Convento di S. Maria Novella.

Si confronti nel “S. Vincenzo” (Fig. 1)7: La mano d. di Gabriele ripete, con poca più scioltezza, la mano d. della madre; quella d. della Vergine, piegata a croce sulla s., concorda con la mano d. della donna in primo piano.

7) Per un’ill. dell’intero affresco v. Mostra del Cigoli e del suo ambiente S. Miniato 1959 — Catalogo a cura di varii, S. Miniato 1959, sch. 1 alle pp. 39-40, ill. I (M. Bucci). V. anche U. Baldini e L. Berti , II Mostra di affreschi staccati — Firenze, Forte di Belvedere, 1958 — Catalogo, Firenze, 1958, sch. 195 a p. 82 (L. Berti).

La medesima donna tiene sollevato il manto in uno sviluppo artificioso di pieghe che si riflette con puntualità nella veste della Vergine ricadente sul gradino del leggio. Il panneggio lineare e solenne degli astanti sulla s. si rivede nel manto della Vergine la cui posa, innegabilmente un po’ goffa, riecheggia in controparte quella di Vincenzo, mentre l’avvenenza fresca e spontanea del giovane ha il corrispettivo nell’Angelo/putto che versa fiori dall’alto.

Sono presenti infine nell’affresco come nella tela dei brani architettonici e altri ingredienti di vario genere dettati da quel gusto, sobrio invero, della cura dei particolari visibile nella produzione posteriore del Cigoli: per esempio, ivi la cortina del baldacchino guarnita di squisiti ricami monacali a fili di seta colorata, argento e oro, qui il leggio ligneo finemente intagliato a grottesche in bassorilievo e culminante in una testa di ariete a tutto tondo, secondo diffusi stilemi buontalentiani.

 

 

È invece nell’affresco compagno col “Limbo” (Figg. 3-5)8 che si rispecchiano sia le linee disegnative scabre, angolose, sprezzanti delle parti nude del corpo dell’ Arcangelo — un’anatomia esente dalle puntuali, fastidiose, seppure perfette muscolature ostentate dal manierismo locale contemporaneo sia il panneggiare oltremodo fratto della sua veste percorsa dal vento, che il ghirigoro terminale ricollega a quella dell’Annunziata e della donna nel “S. Vincenzo”.

8) Baldini e Berti (n. 7), sch. 194 a p. 82, ill. XXXI X (L. Berti).

E le “testine dei Cherubini” presso Cristo — visibili a stento per le non buone condizioni dell’affresco: anzi è supponibile la totale scomparsa di qualcun’altra — sono le stesse che affiorano nel cerchio di nuvole colpito dalla luce della Colomba.

Rispondenze culturali si affiancano a quelle disegnative e stilistiche. Perché se Andrea del Sarto ha suggerito, per il “S. Vincenzo” il drappeggiare verticalizzante degli spettatori sulla s., lavorato in profondità dalle ombre e, col fresco della “Natività della Vergine” all’Annunziata, la grazia imponente della figura femminile in primo piano, il Bronzino alcuni nessi compositivi del “Limbo” con la tavola omonima per la Basilica di S. Croce, il Correggio la leggiadria scherzosa delle testine angeliche ancora nel “Limbo” apporti dei medesimi maestri si ritrovano nell’ “Annunciazione“.

E cioè il sentito panneggiare di Andrea, gli Angeli/putti correggeschi, la tipologia classicheggiante della testa in profilo di Gabriele, la quale ricalca scrupolosamente salvo la chioma a piccoli ricci, – come in un Naldini – quella dell’Arcangelo nell’ “Annunciazione“/pendant del Bronzino a Palazzo Vecchio, Cappella della Duchessa Eleonora.

È invece da un modello reale la ripresa della Vergine: rivedremo questa giovane, un po’ più matura, nei panni di S. Lucia nel “Rosario” a Cortona, del 1597-98 c.9

9)Arte in Valdichiana dal XIII al XVIII secolo” Catalogo della Mostra a cura di varii, Cortona 1970, sch. 82 alle pp. 53-54, ill. 82 (L. Bellosi); Matteoli (n. 1), sch. 47 alle pp. 178-179.

Un grande disegno per la testa della Santa al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, 8861 F, concorda esso pure con l’identificazione: perfino l’acconciatura dei capelli usata dalla donna (o cosi impostale dal pittore), raccolti in una sciarpa serica — che nell’Annunziata si addensa in piegoline di colore lucido e cangiante, in un virtuosismo di panneggio caro al Naldini — corrisponde, fatte le debite differenze, nelle tre versioni.10

10) 8861 F: 538 X 418 mm, matita nera, pastelli in varii colori, biacca, c. verdastra. Senza alcuna identificazione il fog. 110 è stato edito da G. Chelazzi-Dini, Aggiunte e precisazioni al Cigoli e alla sua cerchia, in: Paragone, 167, 1963, pp. 51-65: p. 53, ill. 49 b; e in: “Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquecento — Il primato del disegno —” Firenze, Palazzo Strozzi, 1980, Catalogo della Mostra a cura di varii, Milano-Firenze 1980, sch. 174 alle pp. 104 e 106, ill. 174 a p. 106 (A. M. Petrioli- Tofani).

Ma l’ “Annunciazione“, nella maggior duttilità espressiva offerta dal mezzo pittorico — è indubbio che il Cigoli dette in genere prove migliori nell’a olio che nell’a fresco — palesa anche apporti di altri pittori più “moderni”.

Un’ ingente ricchezza di spunti si vede desunta dall’ “Annunciazione” del maestro Alessandro Allori, ora nei Depositi della Soprintendenza di Firenze, già sull’altare laterale s. della Chiesa dell’ex-Convento fiorentino dell’Annunziata, detto ” di Montedomini ” (Clarisse), databile al 1579 per documenti.11

11) N. 8662 Inv. 1890, olio su tavola, 445 X 285 cm; per molti anni è stata esposta alla Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Ne fornisce la data l’artista stesso nel suo Diario: I. B. Supino, I Ricordi di Alessandro Allori, Firenze 1908, p. 10. Già all’Accademia e ora nei Depositi anche una replica con varianti, firmata e datata 1603: N. 494 Inv. Villa di Castello, olio su tela, 162 x 120 cm; fu presente nel 1940 alla “Mostra del Cinquecento Toscano” tenuta a Firenze, Palazzo Strozzi: cfr. Catalogo, sch. 3 a p. 53.

Si comparino: il cerchio di luce delimitato da nuvolette tondeggianti, la collocazione s./d. dei due personaggi, il loro rapporto distanziale coi primi piani e proporzionale con l’ambiente, il gruppo degli Angeli/putti, tuttavia più corposi e invadenti nell’Allori, così com’è più ricco l’arredo della stanza e più abbondante la pioggia di fiori, mentre le tarsie marmoree del pavimento diventano più sofisticate nel Cigoli.

Indipendente dall’Allori è pure la positura delle braccia e delle mani della Vergine, in cui si rinunzia alla diffusa e importante tradizione iconografica seguita da quel pittore e risalente a esemplari quattrocenteschi, tra i quali le celebri Annunziate di Alessio Baldovinetti, Lorenzo di Credi, Leonardo da Vinci, nelle tre tavole oggi esposte agli Uffizi.

A un gestire dettato da grande stupore misto a riverenza, il Cigoli preferì un’umile posa di devota preghiera, simile exempli causa a quella delle altrettanto celebri Annunziate di Benozzo Gozzoli, Filippo e Filippino Lippi, ma soprattutto delle numerose Annunziate del Beato Angelico (Cortona, Firenze, Madrid, Montecarlo presso Arezzo, Parigi, Perugia).

Ancora all’Allori e al manierismo si confà il senso vivace di moto, ottenuto in primis con le linee conduttrici ora tortuose ora lambiccate delle vesti, un moto di cui il Cigoli forse fino da allora dovette avvertire l’artificio e la scarsità di euritmia.

Nel cromatismo invece l’ex-allievo, certo già reduce da qualche pellegrinaggio di studio nell’Alta Italia, si distingue nettamente dall’ “Annunciazione” dell’Allori, e alle gamme freddine degli azzurri polverosi, dei viola verdi rosa spenti, dei gialli grigi seppia biancastri, sostituisce poche tinte ma intense, unite in forti contrapposti, ovviamente in una libertà di tavolozza in parte limitata dalla tradizione: il bianco madreperlaceo della luce, il rosa cremisino degli abiti, il blu profondo con riflessi verdastri del manto della Vergine, cui rispondono le tenere tonalità azzurre del cielo, mentre i colori inesprimibili delle corolle floreali appaiono riflessi dell’incarnato dei volti.

Un fondale scurissimo valorizza e pone in equo risalto la naturalezza e la semplice armonia dell’innovazione cromatica, a cui il pittore si manterrà fedele, in sostanza, anche nelle due repliche più tarde.12

12) Matteoli (n. 1), sch. 13 alle pp. r 31-134 per l’opera nel Convento dei Cappuccini di Montughi, a Firenze, olio su tela, 296 X 186 cm, 1600/01 c. , doc.; sch. 13. A alle pp. 326-328 per quella a Marano presso Castenaso (Bologna), Coll. Molinari-Pradelli, olio su tavola, 98,5 x 74 cm, 1597 c. V. anche, per la prima, “Mostra del Cigoli” etc. (n. 7), sch. 17 alle pp. 63-64, ill. XVII-XVIII (M. Bucci); per la seconda, Chelazzi-Dini (n. 10), pp. 54-55, ill. 5 r, dataz. 1592 ; M. Gregori, 70 pitture e sculture del ‘600 e ‘700 fiorentino Firenze, Palazzo Strozzi, 1965 Catalogo della Mostra, Firenze 1965, sch. 3 a p. 42, ill. 3, dataz. 1592; ” Firenze e la Toscana… (n. 10), sch. 172 a p. 104; dataz. 1610-12, con dubbio (A. M. Petrioli-Tofani).

Altri elementi il nostro attinse dall’ Annunciazione allogata a Santi di Tito intorno all’ anno ’75 dalla Confraternita di S. Salvatore a Scrofiano presso Sinalunga (Siena) e tuttora in loco, di ascendenza bronzinesca e alloriana, ovvero da quella, per me anteriore (’64 oggi alla Walters Art Gallery di Baltimora13, che gli suggerirono i particolari del leggio con decori a intaglio e della loggia a balaustri che si profila, nell’elegante geometria delle modanature, contro il più chiaro fondale.

Il motivo di Gabriele che entra nella stanza come portato da un ammasso di nubi spinte dal vento — un motivo visibile anche nell’Allori — e la struttura del suo abito che, aprendosi di lato e offrendosi con maggiore agevolezza (anche se solo apparentemente) alla presa dell’aria, mira a rendere più evidente l’idea del volo discensionale, vengono essi pure dal Correggio, di cui il Cigoli doveva avere veduto la lunetta a fresco (1524-26 allora nella Chiesa dell’Annunziata a Parma, dal 1875 nella GalIeria Nazionale di quella città.

Ancora il panneggio delle vesti, a linee nervose e intersecantisi quella di Gabriele, di un ritmo più calmo e sostenuto quella di Maria, risente in parte dell’omonima scena affrescata dal Pontormo nella Chiesa fiorentina dl S. Felìcita.

 

6 Lodovico Cigoli, Annunciazione, Uff. 962 F.

In un disegno del Cigoli agli Uffizi con un’ “Annunciazione“, 962 F (Fig. 6)14, non riferito finora a nessuna sua opera ma quadrettato per l’ingrandimento e quindi con molta probabilità tradotto in pittura press’a poco in questa guisa, credo sia da vedere una fase dell’allestimento grafico di un’operetta giovanile se non coeva certo poco posteriore alla tela di Figline (Fig. 2): il biografo Cardi mette appunto, tra i primi lavori dello zio, una tavolina dentrovi una Nonziata.15

14) Dis. 962 F: 200 x 147 mm, penna a inchiostro bruno, acquerello seppia, ceruleo, azzurro e turchino, bistro, quadrettatura a sanguigna per l’ingrandimento, carta bianca. Sul cartoncino di supporto una scritta a lapis di S. Prosperi-Valenti-Rodinò vorrebbe il disegno di Agostino Ciampelli per una perduta ( ? ) “Annunciazione” di cui esiste all’Ashmolean Museum di Oxford un suo dlsegno con la sola Vergine, N. 946 Inv., che il Parher schedò con qualche dubbio al Sassoferrato. Ma per me è evidente trattarsi di un riferimento erroneo perché, se è vero che è del Ciampelli il disegno a Oxford — riprodotto dalla Prosperi in: Storia dell’Arte 36-37, 1979, p. 272, ill. z è tuttavia del Cigoli quello agli Uffizi. Il Carman lascia al Cigoli il disegno 962 F però lo fa derivare dall’ “Annunciazione” dell’Empoli datata 1599, dipinta per la Chiesa Vecchia di Pontedera (Pisa), e lo pone tra l’opera a Bologna e quella a Montughi, pur senza definirlo preparatorio per questa: C. H. Carman, Cigoli ‘s Annunciation at Montughi: A new iconography, in: Art Bull. LVIII, 1976, pp. 215-224: nota 10 a p. 217. Che ci siano delle coincidenze tra questo foglio e la tavola dell’Empoli è innegabile: il tipo del tendaggio in alto a d. , Gabriele che sta arrivando in volo, la Vergine inginocchiata etc. , ma, a parte lo stile giovanile del disegno, è più semplice ipotizzare che l’Empoli abbia veduto a Firenze ( ? ) questa (perduta) “Annunciazione” del Cigoli che non il Cigoli quella del collega a Pontedera.

15) La citazione del Cardi fu poi ripresa dal Baldinucci: Matteoli (n. 1), pp. 21 e 59 risp.; sch. 12 alle pp. 130-131.

Presumibilmente completo come addendi compositivi ma forse ancora distante dalle ultime definizioni formali, il disegno affine come stilemi grafici all’8865 Fr. Uffizi per il “Limbo“, ed è tracciato con gli stessi mezzi tecnici.16

16) Dis. 8865 F: 285 x 207 mm; r. : penna a inchiostro bruno, acquerello seppia, ceruleo e azzurro, scritte a penna, carta bianca.

Tuttavia non è possibile che venga addotto come prima e determinante prova di autenticità della tela di Figline, date le forti discrepanze iconografiche con essa, ed è bensi vero che può solo fare parte del materiale dimostrativo complementare. Di esso ritroviamo nella tela: la collocazione s./d. dei due personaggi, i loro volti in rigido profilo, la veste spaccata di Gabriele, la posa — leggermente goffa — e il gesto della Vergine, la struttura del balaustrino dell’inginocchiatoio, trasferito però nella balaustra della loggia.

 

Particolare della Fig. 3.

 

Mancano invece la corona gemmata e stellata di Regina Caelorum in mano a Gabriele e il vaso con gigli e rose: avranno ambedue una seconda (?) realizzazione nell’esemplare a Firenze.17 (Sul v. del foglio, in alto a penna, la Colomba raggiata; in basso, rapidi schizzi a matita nera delle due figure, di cui Gabriele è collocato più in alto che sul r.)

17) Alcuni anni fa è stata avanzata dal Carman (n. 14) l’interessante ipotesi che la corona in mano all’Arcangelo nella tela a Montughi denunzi una commessa non estranea alla volontà di Maria CIC’ Medici: la corona sarebbe allusione alle sue nozze col Re di Francia Enrico IV di Borbone (1600), le quali avrebbero sancito un’alleanza tra Francia e Granducato di Toscana simile al patto tra Dio e l’uomo ottenuto mediante l’incarnazione del Verbo. Tuttavia da questo disegno del Cigoli sembra che l’attributo della corona che è poi un dato della liturgia cristiana, variamente interpretato dall’iconografia di ogni tempo fosse nelle simpatie del nostro fino dall’epoca giovanile. E anche spostando il disegno 962 F a un tempo posteriore al 1599 e all’ “Annunciazione” dell’Empoli per Pontedera v. nota 14 non si spiega perché nella pala derivatane, la quale non può coincidere con quella a Montughi, assai diversa come schema, venisse rappresentata una corona se non identica certo molto simile a quella che gia era stata dipinta o che stava per essere dipinta nella pala a Montughi: cfr. la piccola fiamma che la sormonta ( = la luce della grazia divina), l’anello delle dodici stelle bibliche che la circonda (dal passo dell’Apocalisse: Et segnum magnum apparuit in caelo: Mulier amicta sole, et luna sub pedibus eius, et in capite eius corona stellarum duodecim). Il Carman lascia al Cigoli e vorrebbe per la pala a Montughi un altro disegno degli Uffizi con un’ ” Annunciazione “, 18875 F: 200 X 275 mm, matita nera, acquerello grigio, carta bianca; sul foglio, tagliato alla metà nel senso dell’altezza dopo che 10 schizzo era stato già eseguito, si vedono solo: a d. Gabriele a mezza figura, che porge la corona e lo scettro, in alto degli Angeli/putti, a s. elementi dell’arredo. Ma il disegno spetta a Giovanni Bilivert, che si ispira al Cigoli suo maestro, ed è preparatorio per la tela firmata e datata 1630, ora alla Galleria Comunale di Prato. Per un’ill. del disegno v. Carman (n. 14) ill, 6 a p. 217; per un’ill. della tela v. il catalogo della Galleria a cura di G. Marchini, Firenze 1958, n. 79.

Il lineato sottile e come tremolante delle pieghe delle vesti, il modo breve d’indicare volti, mani e piedi, la tipologia e l’acconciatura della Vergine accomunano questo foglio anche alle due prove sul r. e v. del F 966 del medesimo Gabinetto, considerato giustamente per la perduta “Assunta” già nella Biblioteca del Convento di S. Domenico sotto Fiesole, un’opera, stando alle fonti, molto giovanile.”18

18) Dis. 966 F r. e v.: 303 X 192 mm, penna a inchiostro bruno, acquerello seppia, ceruleo e azzurro, carta bianca. Edito da C. Thiem, Florentiner Zeichner des Frühbarock, München 1977: sch. 25 a290, ill. 35.

Quest’ “Annunciazione” dunque la più antica per ora nota delle pitture a olio del Cigoli, data la sua ubicazione nella Cappella di un Ospedale di provincia non ebbe alcuna influenza sugli artisti fiorentini del tempo, come invece l’avrebbero avuta quella oggi in Coll. Molinari-Pradelli (1597 c.) , eseguita con molta probabilità per la Cappella privata dl una dimora signorile di Firenze, e soprattutto la sua replica con varianti ancora nel luogo di origine cioè presso i Cappuccini di Montughi, a Firenze (1600-01 c. , doc.): cfr. le tele analoghe dipinte, a partire dal 1599, dall’Empoli (1599, 1603, 1614, 1615), da Santi di Tito (1602-03 c.) , da Alessandro Allori (1603).19

19) Per l’Empoli v. S. De Vyies, Jacopo Chimenti da Empoli, in: Rivista d ‘Arte, XV, 1933, pp. 329-398: pp. 352-354, sch. 40 alle pp. 385-386, ill. 10 a p. 345; P. Bacci, L’ “Annunciazione” e l’ “Eterno Padre” dipinti dall’Empoli nel 1614 per Sant’Agostino di Massa Marittima, in: Rivista d’ Arte, XXII, 1940, pp. 108-118, ill. 1, 3-5; A. Matteoli, in: “Tesori d’Arte antica a San Miniato”, a cura di varii, Genova 1979, sch. e ill. alle pp. 122-123. Per Santi di Tito v. Venturi, vol. IX, parte VII, 1934, pp. 573596: pp. 594, 595, ill.a p. 593. Per l’Allori v. la nota 11.

Già in questo dipinto giovanile il Cigoli, pur in un ampio raccordo di dati culturali a lui trasmessi da diverse fonti, riesce a farsi interprete dei risultati più maturi del progresso artistico e insieme a rispettare le leggi dell’iconografia sacra rivendicate dalla Controriforma: prerogative che resteranno nelle sue abitudini anche lungo il percorso futuro.

E rinunziando all’ambizione di scene fantasiose collocate, mediante raffinati e difficili studi prospettici, in interni pervasi dalla luce o sotto portici di estrema leggiadria o in fioritissimi giardini, le quali per tutto il periodo tardo/gotico e rinascimentale avevano ricevuto un continuo arricchimento di motivi da varii pittori, consapevoli di quella seduzione che è propria del sontuoso e magniloquente, riconduce l’episodio a una sobrietà schematica, figurativa e cromale bene in tono sia coi Vangeli e i dettami della Controriforma, sia con le innovazioni introdotte nella pittura dagli artisti del Nord Italia.

Perfino l’ “Annunciazione” di Leonardo, allora nel Convento di Monte Oliveto presso Firenze, non ha fascino, certo per quell’aria di “commedia garbata” esulante dai concetti di “peccato” e di ” redenzione” rivalutati con fermezza e insistenza talora drammatiche dalla predica cattolica del tempo.

Le note dominanti sono la semplicità e la naturalezza in ogni loro concretizzazione: compositiva, tipologica, cromatica, luministica, emozionale; una semplicità e naturalezza convinte, anzi commosse, com’è palese dal loro accentuarsi nelle due repliche posteriori del tema, né prive di un quid di mistico e trascendente che è raro rinvenire nelle “Annunciazioni” della cerchia.

Lo spiazzo luminoso in alto, contornato ritmicamente dalle teste dei Cherubini cui fanno eco le nuvole rotonde, rivela in sordina l’esigenza di una simmetria quasi geometrica, che appare intelligente proiezione delle ingenue corone e mandorle di Cherubini e Serafini dei primitivi, mentre precorre il misticismo neo/medioevale ma coltissimo di pittori del pieno ‘600 come un Francisco De Zurbarán.20

20) V. la recente monografia: Zurbarán 1598-1664 — Biography and critical analysis by J. Gállego — Catalogue of the works by J. Gudiol, London 1977 (ed. inglese; I ed. spagnola Barcelona 1977). Cfr. l’ “Annunciazione” a Grenoble, le “Immacolate” a Barcellona, Bilbao, Budapest, Jadraque, Madrid, Siviglia ctc., la “Vergine Bambina in preghiera” a New York, la “Vergine del Rosario” a Poznàn etc.

Mediante spazio, luce, vesti, cromia, suggestione espressiva, è conferita maggiore importanza all’Arcangelo che alla Vergine: l’indole umile, chiusa, teneramente melanconica della Fanciulla e la tripudiante personalità del Messo tornano qui a fortemente contrapporsi come nei fondi d’oro trecenteschi.

L’apparire e l’annunzio subitanei dell’Arcangelo non turbano infatti la quiete di religiosa meditazione della Donna, la quale non è ancora partecipe di quel fervore gioioso forse perché, nella nuova consapevolezza, le si risvegliano alla memoria i passi della Scrittura che parlano della prescelta ab aeterno.

Tuttavia mentre essa, con la sua espressione di creatura mite e ossequiente la cui fede è rinforzata, non sconvolta, appare ancorata all’aldiquà — la distanza tra il divino e l’umano è sempre da colmare — la proiettano verso l’Alto il nimbo lucente d’oro, le chiare, vaporose iridescenze del cielo contro cui campisce, i fiori del Giardino ” celeste di cui l’Angelo/putto l’inonda.

In quest’ “Annunciazione” di Figline il leggio ben visibile, il fondale con la balaustra, il cielo variato di ombre e luci forse distraggono un po’ dall’osservazione dei personaggi; in quella Molinari-Pradelli l’ambito modesto fa sì che l’artista si mantenga ligio a quell’essenzialità propria in genere delle sue tendenze; nella pala a Montughi infine si ha una sensibilizzazione, per quanto non eccessiva, sulla linea della prima pala. Ancora: nell’ “Annunciazione” più antica il piano dell’Arcangelo leggermente arretrato rispetto a quello della Vergine, che dal suo impeto appare spinta verso i primi piani, concede la giusta collocazione spaziale alla vera protagonista, cioè il pittore sembra voglia sottolineare, in questo modo, il ruolo primario a Lei riservato dalla Grazia.

Nell’esemplare successivo si ha quasi un’inversione di valori per l’avvicinamento dell’Arcangelo ai primi piani; la prima soluzione torna nel terzo esemplare però con la variante della controparte, frequente nelle repliche.

Piuttosto che di pale d’altare le “Annunciazioni” cigolesche hanno il sapore di quadri devozionali per la linearità schematica, la contenutezza dello sfoggio coloristico, il ritmo quieto che le anima. Vi si respira un’aria claustrale, insolita nel nostro: forse coincise col suo gusto il tono della prima versione, a lui imposto ovvero ispirato dalle Suore di Figline. Un tono che poté accentuare nella tavoletta Molinari-Pradelli grazie al formato minore e alla destinazione a una Cappella domestica.

 

 Provenienza delle fotografie : Sopr. Beni Art., Firenze : Figg. 1-6.

 


 

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