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Localizzazione ed espansione dell’industria vetraria empolese

di Alessandra Scappini

 

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L’interesse per una ricognizione territoriale, relativa alla localizzazione e all’espansione dell’industria vetraria nell’area empolese, scaturisce dalla precisa esigenza di tentare una “ricostruzione” storico-geografica delle origini e del successivo sviluppo di un settore che, nell’ambito delle attività secondarie ha raggiunto a Empoli, dagli ultimi decenni dell’800 fino agli anni Sessanta del nostro secolo, un rilievo primario, costituendo un autentico “tessuto” alla base del nucleo urbano, quale fattore e, al tempo stesso, causa determinante per la sua trasformazione graduale in cittadina industriale e commerciale.

La presenza interattiva delle vie di comunicazione, stradali, fluviali, ferroviarie, costituite nel territorio, la disponibilità di energia idrica e di materie prime, la facilità di una loro importazione, la reperibilità di manodopera qualificata sono sicuramente fattori di localizzazione che hanno comportato, unitamente ad alcune determinanti fisiche facilmente individuabili, quali l’ubicazione del centro di attrazione in zona valliva in prossimità di un corso fluviale o la demolizione dei sistemi di fortificazione per l’ampliamento dell’abitato e la dislocazione delle attività economiche, la crescita, nel tempo, di una struttura produttiva e sociale in progressiva modificazione.

È in questo “tessuto” urbano che la lavorazione del vetro e, in particolare, di bufferia, assume gradualmente una consistenza tale da poter concepire, specialmente nel novecento, un’autentica enucleazione di aree o zone urbane specializzate che, purtroppo, hanno subito progressivamente un arretramento in questi ultimi decenni, dovuto ad emergenze legate ad una crisi congiunturale e strutturale che ha determinato, in pochi anni, la chiusura della maggior parte delle manifatture, alcune delle quali attualmente permangono solo come costruzioni fatiscenti, ma, in alcuni casi, esempi emblematici di una specifica tipologia di archeologia industriale.

A Empoli il vetro verde, quale tipica produzione del luogo, deriva, come nel vicino territorio montelupino, dalla lavorazione delle “terre” e procede, per migrazione e successivo insediamento di alcuni membri di famiglie montaionesi nel nostro comprensorio, sulla scia di una tradizione che si propaga dal XIII al XVIII secolo. Le prime elaborazioni creative di bicchieri e fiaschi, come oggetti di comune utilità, vengono, infatti, a svilupparsi per la presenza di maestri vetrai di Gambassi e Montaione1.

I nuclei di produzione furono probabilmente determinati da vari fattori, tra i quali la disponibilità di materiali, come le sabbie silicee raccolte sulle vicine coste toscane, o di combustibile, come la legna, proveniente dalle zone boschive, in prossimità di Castelfiorentino, Certaldo o San Miniato.

Inoltre la presenza dell’Arno, importante per l’estrazione di materiali sabbiosi e per la comunicazione fluviale, come punto nodale di raccordo e di scambio per le attività di mercatura, appare quale altra concomitanza favorevole, tale da spiegare lo sviluppo delle prime manifatture vetrarie, inseritesi dal XVIII secolo tra le altre attività produttive nel centro empolese.

Certamente le iniziali produzioni di vetri lavorati derivavano da fornaci operanti nell’ambito della maiolica, come risulta anche da un tipico esempio annotato nella Relazione dello Stato delle Arti e Manifatture del 1768, esaminata da Fausto Berti, che costituisce attualmente l’unica testimonianza inerente alla presenza di una prolifica manifattura vetraria a Empoli2.

Documenta infatti l’esistenza di una “fabbrica di maioliche all’uso francese” di un immigrato savonese, Domenico Levantino, trasferitosi nel nostro territorio perlomeno dal 1765, dal momento che la lavorazione di maioliche risulta già avviata e fiorente nel 1766, insediatasi tra il tratto iniziale della via Pisana, oltre la porta omonima (attuale via Vincenzo Chiarugi), ramo nodale ad ovest della terza cinta muraria, e la via lungo l’Arno, nell’isolato prossimo a piazza del Pratello (attuale piazza Giuseppe Garibaldi).

Il rilievo acquisito dalla ditta è testimoniato dai nominativi dei compratori, che appaiono nei registri di entrate ed uscite3, dai quali possiamo ricavare, indirettamente, le aree geografiche di espansione commerciale dei prodotti finiti, che si distribuivano oltre il comprensorio empolese, interessando il territorio fiorentino, pisano, lucchese, livornese, nonché aretino, verso le quali i Levantini inviavano i loro manufatti.

I prodotti più richiesti, come risulta dalle annotazioni presenti sui registri, erano i fiaschi, realizzati in varie forme: “fiaschi alla pesciatina, fiaschi alla Chiantigiana, fiaschi alla fiorentina, fiaschi fini, fiasconi, fiaschi a misura, nudi, vestiti”, unitamente a “terzini da vino e da olio, bottiglie, bottiglioni, orinali, vetri da finestra” e vari oggetti di uso domestico.

Altre produzioni che gradualmente appaiono tra i modelli manifatturieri sono: bevute da banco all’inglese, ampolle, rosoline, vasi, bugnoli, beverelli da uccelli, come emerge nelle registrazioni di vendita nel corso degli anni dal 1812 al 1816-17, così pure imbuti, calamai, saliere, puppaiole”, realizzati probabilmente su apposita commissione.

 


1 GUERRINI 1990, pp. 382-384.

2 BERTI 1980-1982; SCAPPINI 1998, pp. 20-24 e relative note.

3 I registri, conservati presso l’Archivio Storico Preunitario del Comune di Empoli (ASCE), Tribunale Vicariale, sono due: uno indicato come “Scartafaccio Levantini” (Filza 1803), mentre l’altro (Filza 1804) presenta i nomi di “Giuseppe e Gio Batta F.lli Levantini”, figli di Domenico Lorenzo. La “Ragione” , ovvero la società viene sciolta il 30 novembre 1813. Nell’ultimo quarto del XVIII secolo Levantini, dopo aver stretto la Società con Pietro Dazzi, aumentò il capitale, e poté ampliare la fornace di maioliche con la struttura vetraria.


 

Riguardo alle materie prime utilizzate per la produzione, la legna, utile per alimentare i forni, era offerta in pagamento da compratori di Montaione, di San Miniato o di Santa Croce; la rena, per la creazione della materia vetrosa, veniva consegnata, per fare un esempio, da Luigi Dami detto “Loppa” di Montaione, non l’unico sicuramente, pensando alle sabbie delle rive dell’Arno, o a quelle della costa tirrenica o del Lago di Massaciuccoli, utilizzate, più  tardi, da altre ditte.

Il vetro rotto veniva recuperato per le nuove produzioni e molti compratori lo offrivano in cambio di manufatti, quindi tramite baratto, dalla “Fattoria di Coiano” a “Cantinelli di Firenze”, da “Gervasio Bitossi di Livorno” a “Pietro Duranti di Santa Croce”, mentre la soda figura  proveniente dalla fattoria di Cortina o da Montaione e la sala, per la vestizione dei prodotti, dalla Maremma o da Bologna.

I proprietari successivi, Francesco Del Vivo e Michele Ristori, ereditano una ditta favorita, oltre che da specifiche capacità produttive e rinomate lavorazioni, anche dalle medesime determinanti fisiche considerate per i Levantini, che, negli anni, hanno garantito il suo sviluppo commerciale4.

La fabbrica continua, infatti, la produzione con Carlo Del Vivo, che appare quale unico proprietario della vetreria nei primi anni del ‘900, cui si sostituisce poi Alfredo Del Vivo, per proseguire la lavorazione nei due decenni successivi, e, conseguentemente, i figli Maurizio e Ottorino.

 


4 Scomparso Domenico Lorenzo Levantini nel 1808, la ditta passò ai figli Giuseppe e Giovan Battista. Venne disciolta nel 1813, per difficoltà finanziarie, come indicato nel secondo registro Levantini, anche se le consegne di articoli in vetro, con pagamenti in denaro o in materiali utili alla lavorazione, proseguirono fino al 1820, MORELLI 1994, pp. 28-34.


 

Lo sviluppo del settore, che progressivamente giunge ad estendersi, per quantità di imprese e di produzione, nella seconda metà dell’800 e nei primi anni del ‘900, è concomitante ad un generale e graduale progresso civile ed economico incrementato dalle nuove vie di comunicazione ferroviaria e stradale, dalla via “Leopolda”, tracciata tra il 1841 ed il 1847 tra Firenze e Pisa, alla “Traversa romana” nel 1848 tra Empoli e Siena, mentre nel 1835 viene realizzato il ponte di Bocca d’Elsa, detto “ponte alla Motta”, e, un ventennio più tardi, il nuovo ponte sull’Arno, contribuendo ad aumentare gli scambi commerciali.

Alle menzionate determinanti territoriali si aggiungono nel tempo, progressivamente, concomitanze e caratterizzazioni socio-economiche utili per lo studio della geografia storica come fattori, la cui analisi permette di comprendere le fasi di espansione del settore industriale considerato ed il suo, più recente, esaurimento.

Estendendosi topograficamente, il nucleo urbano, nei primi anni del nostro secolo, veniva ad includere nuove costruzioni nel settore vetrario nelle zone di edificazione oltre le mura: verso est lungo l’asse viario principale oltre la porta Fiorentina, nei nuovi quartieri di Naiana, e verso ovest oltre la Porta Pisana, mentre sorgevano progressivamente due aree edilizie, una verso nord, in particolare tra le mura castellane ed il fiume Arno, in seguito all’interramento del suo ramo meridionale, l’altra verso sud, nei pressi della stazione ferroviaria.

Appare, così, la ditta di Alfonso Busoni in via Ricasoli, presto trasformatasi in Società Vetraria Empolese, in seguito ad un atto societario del 19135. La manifattura Busoni era già presente dai primi anni del Novecento nel territorio, come fabbrica di bufferia (con circa 52 addetti); nello stesso periodo Busoni figura anche quale proprietario di una sede di vestizione ubicata nell’isolato in angolo tra via Roma e via Giovanni da Empoli.

La vetreria Taddei sorge nei primi anni del secolo nella zona di Naiana in ampliamento urbano ad est, con la nuova articolazione viaria relativa al prolungamento di via Vincenzo Salvagnoli (attuale via Giulio Masini), mentre la ditta Rigatti è localizzata in piazza Guido Guerra, impegnata nella vestizione e come sede degli uffici relativi alla vetreria di Castelfiorentino.

Emilio Lensi era attivo inizialmente nell’ambito della vestizione in piazza Farinata degli Uberti. Trasferitosi, poi, in via Tripoli, di nuova costituzione per la delimitazione di nuove strade, come via Curtatone Montanara o via Jacopo Carrucci, richiede nel 1908, tramite il figlio Idilio, il permesso per la costruzione di una vetreria in via Fiorentina, condotta poi insieme a Cino Cinotti, con denominazione Vetrerie Riunite, in probabile collegamento con la ditta originaria6, disposta di fronte alla vetreria di Andrea Nannelli (fig. 1).

Quest’ultima, già fiorente ai primi del ‘900 e presente ad esposizioni nazionali come produttrice di damigiane, si distingue, in seguito dalla ditta del fratello Pietro, ubicata nel medesimo luogo, che nel 1932, con intestatario il figlio Icilio, diventa Società Vetraria di Certaldo, quale sede di produzione appartenente alla cooperativa di bufferia.

Già negli anni dieci, in via Fiorentina (attuale via Fratelli Rosselli), in prossimità della ditta Taddei, iniziano ad operare le Vetrerie Riunite di Lensi e Cinotti che, nei primi anni venti, assumono la denominazione SVE, Stabilimento Vetrario Empolese, per passare, poi, verso la metà del decennio, in proprietà a Chianini e Fagni, per la produzione di lastre in vetro soffiato, mentre in via Tripoli i fratelli Idilio e Leone Lensi continuano l’attività di vestizione iniziata dal padre.

È proprio in tale zona, adibita alle costruzioni edilizie per ampliamento dell’abitato in prossimità di Pontorme, che sorge la vetreria Etrusca, attiva dal ’21, denotando una linea di sviluppo che connoterà propriamente questa area urbana come una delle più rilevanti per lo sviluppo industriale del settore.

Le due attività, lavorazione e vestizione, emergono talora riunite nella medesima fabbrica, o talora distinte, dal momento che l”‘impagliatura” diventa presto un settore di attività “autonoma” e, al tempo stesso, strettamente collegato alla produzione di bufferia, offrendo lavoro a domicilio ad ingenti entità di manodopera femminile7.

 


5 La società in nome collettivo tra Quirino, Tito, Maurizio, Ing. Agostino Del Vivo, Gino Montepagani, Andrea Nannelli, Giovacchino Rigatti, Leone Lensi, Cino Cinotti risulta già fondata nel 1913. L’atto costitutivo è registrato a Empoli, il 25 novembre 1913 ed ai nominativi indicati si aggiungono: l’ “Avv. Vincenzo Chianini, G. Batta Bezzi, Angiolo Mannini, Agostino Costa, vol. 50, n. 157 con L. 448.96”, MORELLI 1994, p. 179.

6 La famiglia Lensi è titolare di due ditte, ubicate a est del centro urbano, l’una nei pressi della stazione ferroviaria, l’altra nella nuova area di Naiana, in prossimità di Pontorme.

7 GUERRINI 1970, pp. 14; 73-75.


 

Quando sopraggiunge il primo conflitto mondiale il settore in questione subisce un arresto nel quantitativo di produzione primariamente per carenza di materie prime determinata da difficoltà di comunicazione e per inefficienza e mancanza di mezzi, tanto da provocare una sospensione di trasporti in “collettame” a piccola velocità8, oltre alla diminuzione di manodopera nelle fabbriche per lo stato di guerra.

Al termine degli eventi bellici, invece, sorgono i primi problemi legati alla sovrapproduzione, dovuti ad una scarsa richiesta di manufatti nel momento di crisi.

Tuttavia nascono nuove edificazioni, come la ditta specializzata in cristallami di Gustavo Eminente, poi Manifattura Vetraria, attiva dai primi anni Venti al di là dello svincolo ferroviario, nell’odierna zona di via dei Cappuccini, denominata Puntone, mentre prosegue la lavorazione nella società Vitrum, nuova denominazione della Società Vetraria Empolese, e nello Stabilimento Vetrario Empolese, quali produttrici di lastre in vetro.

Se gli anni del conflitto mondiale provocano una crisi che si riflette nel periodo immediatamente seguente al suo traumatico epilogo, verso la metà degli anni venti già si insinua l’idea, tradotta in volontà pratica, di rinnovare ed estendere la produzione industriale, nell’intento di cooperare ad una ricostruzione che si esplica a livello locale e nazionale.

Nasce la CESA alla metà degli anni venti, con i soci Aroldo Boni e Lorenzo Cella, nella zona delle Cascine, per la lavorazione del cristallo, mentre la vetreria Etrusca continua la produzione di fiascherie e bottigliame in Naiana, dove rimarrà attiva fino al 1958.

Si avvicinano i tempi problematici della crisi del ’29, risentita anche nell’economia empolese, specialmente nel settore secondario, che vede decrescere gli indici relativi agli ambiti occupazionali. Ben presto l’industria vetraria manifesta, però, una netta ripresa, confermata anche dall’incremento della popolazione nel territorio empolese, dovuto ad un graduale urbanesimo in rapporto all’assetto industriale assunto dal nucleo abitato.

Anche se le concomitanze socio-politiche influenzano lo sviluppo industriale, determinandone la crescita o il decremento, il monopolio della produzione nel territorio empolese perdura: “nel 1927-’28 in sette vetrerie lavoravano oltre 1300 operai (…) le donne che rivestivano fiaschi erano 2400”9.

 


8 Per ulteriori e più esaurienti approfondimenti, sia per gli altri argomenti sinteticamente esaminati in questa sede, sia per le precisazioni avvalorate dalle documentazioni archivistiche, rinvio a SCAPPINI 1998.

9 GUERRINI 1970, p. 338.


 

Alla fine degli anni venti l’industria vetraria nell’area empolese permane stabilizzata sulla base delle ditte già fiorenti, interessate ad effettuare miglioramenti e modificazioni minime agli edifici industriali esistenti, costruendo capannoni o uffici o effettuando lavori di ristrutturazione di alcuni locali.

Si prospettano altresì nuove aree individuate dai proprietari-imprenditori per la dislocazione di manifatture vetrarie, come nel caso della richiesta effettuata da Elena Del Vivo Stianti nel 1932 per costruire una vetreria, intestata ad Alberto Del Vivo, in piazza Margherita (attuale piazza Giorgio Gamucci), per articoli di chimica e fisica, anche se, in verità, la produzione viene poi orientata sul vetro bianco artistico.

Alla vigilia del secondo conflitto mondiale si inaugura una nuova area di espansione industriale del settore, che prolifererà nel secondo dopoguerra con impianti più recenti, verso ovest, lungo lo svincolo viario che da via Livornese prosegue verso Ponte a Elsa, lungo la strada statale Tosco-Romagnola, capace di esercitare a sua volta, specialmente negli ultimi decenni, un’importanza primaria per lo sviluppo della zona industriale periferica del Terrafino.

Stazionaria la situazione negli anni di guerra, assume caratterizzazioni diversificate nel periodo appena successivo, a seguito della grave crisi che investe il settore vetrario, in particolare delle vetrerie Taddei, CESA e Cooperativa Lavoratori del Vetro, dovuta ad una serie di fattori concomitanti nei cui confronti appaiono le tesi più controverse relativamente ai problemi di ordine congiunturale e strutturale che concorrono ad aggravare una situazione già critica nel 1948, ma che raggiunge il suo apice nel triennio 1950-53.

Dalla scarsa capacità di assorbimento del mercato nazionale alla insostenibile concorrenza straniera, dalla carenza di finanziamenti alla necessità di rinnovamento degli impianti, dalla monopolizzazione delle materie prime di origine italiana all’alto costo di quelle provenienti dall’estero, la depressione influisce sull’intero territorio nazionale e regionale.

Le industrie esistenti nel territorio empolese, nelle quali la manodopera assomma nel 1948 a 2457 presenze, assistono nel 1955 ad una diminuzione di occupazione, decrescendo a sole 1294 unità.

Non è certo questo l’ambito in cui avviare una discussione sulle cause e le conseguenze dettate dalla crisi, che si ripercuote anche su altre industrie empolesi, dal momento che lo studio effettuato si esime da un’analisi di carattere strettamente politico ed economico per privilegiare una sintesi storico-geografica per il rilevamento delle ubicazioni industriali.

Anche nell’ambito di un mio studio più composito, recentemente pubblicato, cui rinviamo nelle note, le determinanti socio-economiche sono considerate soltanto in relazione ad una enucleazione cartografica degli insediamenti vetrari, e quindi analizzate essenzialmente per ricostruire una “mappa” del settore nel territorio.

È, altresì, interessante notare che nel tessuto globale della pianificazione urbanistica relativa alle manifatture vetraie, emerge, proprio da tale crisi, un’autentica proliferazione a catena di ditte originatesi dalle stesse maestranze delle manifatture prossime alla chiusura, dalla Taddei (870-900 unità fino al 1951), come pure dalla CESA (360 operai nel 1948).

Così, mentre la crisi procede, a fasi alterne, nel corso degli anni cinquanta, dalla Taddei, alla CESA, alla Cooperativa Lavoratori del Vetro, nuove industrie appaiono nel quadro globale e, prevalentemente, periferico dell’assetto urbano offrendo uno slancio alla produzione connesso ai nuovi sviluppi che decorrono nei due decenni successivi.

Infatti a fronte della chiusura della Taddei sorgono, in tempi e momenti diversificati, varie ditte, tra le quali la SAVIA, la VAS, la Barbieri, La Pesa, la ditta F.lli Betti, la Arno, come, d’altra parte, dalla CESA si origina la Valdorme e dalla Nardi la VAE e la LUX10

Alla cessazione, per proporre un esempio, della Cooperativa Lavoratori del Vetro, corrisponde la nascita della CEV, dalla fine degli anni Settanta denominata Nuova CEV, trasferitasi, da via dei Cappuccini a località Le Volpi in prossimità di Ponte a Elsa, dove opera attualmente.

Così avviene per la vetreria Marmugi, esistente negli anni relativi al secondo conflitto mondiale in via Livornese, in cui si stabiliscono, nei primi anni Cinquanta, Betti e Toso, mentre l’Olympia, attiva fino ad anni recenti, si insedia addirittura, come la SAVE, per un periodo, in alcuni locali dello stabilimento Taddei.

 


  10 MANNUCCI 1994.


 

La CAT nasce nei primi anni Cinquanta lungo la Tosco-Romagnola in prossimità di Pontorme, così la CIVE già nel 1950 appare in via di Ponzano, proseguendo la lavorazione fino ad oggi, come la vetreria Arno, situata dal ’52 in via Pratignone, ma già operante a Limite dalla fine degli anni quaranta.

Nel medesimo periodo apre la SALV, successivamente CLAVE, in area periferica, all’incrocio tra via Valdorme e via Salaiola, verso Corniola e, nelle immediate vicinanze, la Valdorme, dove più tardi si insediano anche la STELVIA, ancora attiva e la Cooperativa Vetrai e Fiascai, già attiva dal ’46 nell’edificio della ditta Andrea Nannelli, nei primi anni Sessanta.

I fratelli Rioda agli inizi degli anni cinquanta operano in Carraia, mentre la SAVIA nasce nel ’52 lungo la strada statale Tosco-Romagnola ad est del centro e la SAVE si trasferisce dalla seconda metà degli anni sessanta alla estremità orientale e periferica della cittadina, al confine tra Montelupo ed Empoli, in località Ponterotto, nelle vicinanze della ditta Etruria.

La stessa zona ospiterà anche la Toso Bagnoli, originatasi dalla ditta Betti e Toso, fino allora ubicata in via Livornese.

Possiamo, quindi, pensare ad un allineamento ed ampliamento di edifici industriali lungo il percorso di via Salaiola, verso Corniola, a sud, che comprende gli isolati limitrofi, dove si assiste ad una proliferazione di manifatture nel corso dei decenni successivi, e della strada statale Tosco-Romagnola, nella zona tra Empoli e Montelupo.

Del resto, il paese della ceramica è strettamente connesso con le industrie del settore vetrario: un esempio emblematico è offerto dalla ditta Ranieri Nardi presente a Fibbiana, in località La Torre fin dal XVII secolo.

Altra zona di espansione industriale, come emerge da questa sommaria ricognizione, è quella relativa all’area periferica di nuovo sviluppo abitativo ad ovest, verso Santa Maria a Ripa, che arriva fino alla attuale zona industriale del Terrafino tanto che sempre sulla strada statale Tosco-Romagnola nascono la SVE, alla metà degli anni cinquanta, e la ditta Barbieri, poi Vetroluce.

Negli anni sessanta molte industrie empolesi sono interessate da ampliamenti e da una specializzazione nel lavoro: vengono introdotte tecniche muranesi e la lavorazione del vetro bianco e colorato sostituisce progressivamente il vetro verde.

La flessione subentra al termine del decennio per difficoltà inerenti alla esportazione, alla commercializzazione estera, per la concorrenza di altri paesi, al reperimento di manodopera e di mezzi finanziari: nel Convegno comprensoriale sul vetro svoltosi nel 196911 a Empoli si individuano i problemi relativi alla meccanizzazione, alla riqualificazione delle maestranze, ai costi di produzione e dei materiali.

Il Consorzio Centrovetro nasce nel 1970, proprio con lo scopo di promuovere una consociazione delle ditte, capace di garantire la continuità nella produzione, tramite possibili richieste di finanziamenti o di contributi ed una unitaria propaganda di mercato, con la prospettiva, mai compiutamente realizzata, di costituire un marchio di fabbrica e per contrastare la crisi economica che interviene a livello internazionale nel 1974-75, dovuta a difficoltà di ordine strutturale, quali il costo delle materie prime e del lavoro, unitamente al gravoso fenomeno dell’inflazione.

 


11 SCAPPINI 1998, pp. 172-173.


 

Il successivo Convegno del vetro del 197712 intende studiare i vari provvedimenti per tentare una risoluzione della crisi, basandosi, in ambito regionale, sulla valorizzazione delle risorse e sull’ammodernamento dell’apparato industriale.

Dopo la chiusura, a metà degli anni settanta, di una discreta quantità di industrie impegnate nel settore, quelle sopravvissute assumono un rilievo non molto consistente, tanto che risulta difficile poter definire, in sede odierna, l’esistenza di un autentico settore vetrario, come indica anche un’indagine effettuata nei primi anni ottanta dall’ERTAG13, che pone un nucleo di problemi relativi ad una crisi di mercato, intervenuta nell’ambito delle nostre industrie a carattere eminentemente artigianale, quindi collegato alla piccola e media azienda.

Al momento attuale la maggiore produzione dell’industria vetraria riguarda il vetro bianco e colorato (fig. 2); altre lavorazioni sono relative al vetro sonoro, sonoro superiore o cristallo; fra le ditte ancora presenti troviamo: la SVE (65 addetti), la Zignago (200 addetti)14, sostituitasi alla Vitrum, la Vetroluce (60 addetti), la Nuova CEV (40 addetti), la STELVIA (80 addetti), la CIVE (40 addetti), la Arno (40 addetti), la Manifattura di Specchi e Vetri Bini (9 addetti), impegnata nella seconda lavorazione, la SAVE (64 addetti), la Fornace di Vinci (50 addetti).

Inoltre, dopo gli sventramenti e le demolizioni recenti nell’area ex Taddei ed nell’area Del Vivo di piazza del Pratello, permangono nel centro urbano e nelle zone periferiche altri esempi, purtroppo fatiscenti, come la Vitrum, di archeologia industriale legata al settore vetrario.

Rappresentano una testimonianza emblematica della storia industriale empolese, che li vede protagonisti in rapporto alla gestione aziendale, ai problemi sociali e all’evidenziazione di una categoria di manodopera specializzata.

Tutto questo rivela la necessità di tracciare, a breve termine, un profilo integrale della lavorazione del vetro, provvedendo ad una acquisizione documentaria e ad una catalogazione completa, e di analizzare compiutamente, con uno studio complesso ed argomentato, un settore che caratterizza il nostro assetto territoriale e che connota la nostra storia.

 


12 SCAPPINI 1998, pp. 182-183.

13 Nel 1982 1’ERTAG (Ente Regionale per l’Assistenza Tecnica alle Imprese) ha condotto un’Indagine sul settore del vetro artistico, SCAPPINI 1998, pp. 215-219 e relative note bibliografiche.

14 Nel 1980, come risulta da una richiesta di licenza edilizia, la vetreria Del Vivo manifesta l’intenzione di costruire quattro capannoni industriali nella zona di Castelluccio, dato la crescita di manodopera. Successivamente la Vitrum cessò l’attività del 1987 e la vetreria fu rilevata dalla Zignago Vetro SPA,  SCAPPINI 1998, pp. 201-203.

 


 

 

 


 

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