Presentazione
di
Bruno Santi
Soprintendente
dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze
(2008)
Grazie alla notorietà internazionale acquisita attraverso le collaborazioni nei vari settori della conservazione dei beni culturali, le partecipazioni a progetti di restauro, a convegni, a seminari e quant’altro possa offrire motivo di interesse verso le complesse problematiche che tale attività può presentare, l’Opificio delle Pietre Dure ha saputo costruire rapporti di fruttuosa cooperazione con istituti, musei, organismi di ricerca e di studio allo scopo di dare consulenze e realizzazioni operative di cui è stata universalmente riconosciuta la validità e apprezzato il rigore e la correttezza metodologica.
Una di queste collaborazioni, in seguito all’iniziativa e ai rapporti tenuti sempre ben vivi dalla soprintendente Cristina Acidini, che per diversi anni ha diretto magistralmente I’istituto, ha portato alla realizzazione dell’intervento sul pannello di predella raffigurante Storie di san Giuliano, esposto al Museo Ingres di Montauban, controversa opera (per quanto attiene il dibattito attributivo sull’eventuale appartenenza a una specifica pala d’altare) del pittore valdarnese, e che comunque, in seguito alle considerazioni scaturite dalle analisi sui materiali e sulle caratteristiche intrinseche della piccola tavola, ha potuto ricevere un’ulteriore ipotesi di assegnazione.
Questi risultati, così rilevanti sia per l’intervento di restauro sia per le considerazioni di carattere storico-artistico che ne sono state le conseguenze, si devono essenzialmente alla grande esperienza di chi ha affrontato questo lavoro, dedicandogli tutta l’attenzione, Ia cura, la minuziosa indagine che da sempre è la caratteristica operativa dell’antico istituto fiorentino, in ogni suo settore.
Nell’occasione che qui si presenta, i risultati sono stati conseguiti con Ia consueta efficacia dal Settore Dipinti dei laboratori della Fortezza da Basso, e vi sono stati coinvolti Marco Ciatti, direttore di questa importante sezione dell’istituto, funzionario ormai fornito di una conoscenza delle materie e delle procedure del restauro quanto pochi altri nell’ambiente dell’amministrazione dei beni culturali; Cecilia Frosinini, vicedirettore, i cui studi sulle tecniche artistiche e soprattutto sulle eventuali testimonianze grafiche di preparazione alla definitiva stesura pittorica esistenti sulle opere (che che vien chiamato in inglese underdrawing), con l’applicazione di metodologie informatiche opportune, hanno portato alle resultanze che si è tentato di descrivere sommariamente, e Roberto Bellucci, che a tali indagini e a tali metodi ha dedicato gran parte della sua attività di operatore del restauro.
A questi ultimi due, poi, si deve la campagna di ricerca e studio su tutte le opere su tavola di Masolino e Masaccio, confluita nel volume The Panel Paintings of Masolino and Masaccio. The Role of Technique, svolta in collaborazione con Carl Brandon Strehlke del Museum of Fine Arts di Philadelphia.
Cito inoltre, per quanto attiene questo restauro, Ciro Castelli, la cui attenzione e dedizione verso problemi conservativi dei supporti lignei è ben nota ed ugualmente totale, sia che si parli di complesse macchine d’altare, sia che oggetto del suo intervento siano piccoli ma preziosissimi pannelli di predella come in questo caso.
Vorrei anche aggiungere – credo opportunamente, anche per disdire alcune opinioni generalizzate rispetto alle operazioni di restauro – che i nostri laboratori sono ormai abituati a considerare il problema e non Ia notorietà dell’opera il cui intervento sono chiamati ad affrontare.
Questo non è soltanto il caso dell’intrigante tavoletta di Montauban (e un grato riconoscimento va anche al museo che conserva soprattutto le memorie e le opere di Jean-Jacques-Dominique Ingres e che da lui prende la denominazione), ma anche tante altre occasioni che non ritengo opportuno enunziare in questa sede perché ormai affidate alla conoscenza del vasto pubblico anche attraverso le relative pubblicazioni: altro merito dell’istituto e di chi vi opera.
Una testimonianza ulteriore, quindi, della vitalità dell’Opificio e dei suoi laboratori, che pur in mezzo alle tante difficoltà odierne (e che spesso son state denunziate) continuano a mantenere sempre viva la tradizione consolidata del restauro Fiorentino.