Una breve nota per una pittura dimenticata
di Walfredo Siemoni
Da Il Segno di Empoli, p. 6-7.
Anno 4, n. 12 (gen. 1991)
La ricollocazione dei manufatti artistici nel loro contesto originario, quando ciò è compatibile con i moderni criteri in fatto di tutela e conservazione, riveste inequivocabilmente un grande significato civico, premessa indispensabile ad una più completa fruizione di quel patrimonio.
E in questa ottica che si interpreta il nuovo allestimento museale empolese il quale, oltre ad una disposizione più razionale, offre la novità del ricollocamento ‘in situ’ di alcuni pezzi avulsi dal loro contesto quali il S. Nicola biccesco, la lapide del priore Michele, l’annunciazione del Rossellino.
Esistono tuttavia, secondo un iter comune, altre opere la cui attuale collocazione non è quella primitiva per cui il loro collegamento a quel substrato storico che le ha prodotte è ricostruibile solo attraverso una lettura dei documenti d’archivio. Sul lato destro della Collegiata, nella cappella di S. Anna un tempo patronato dei Cocchi, pressoché ignorata da turisti e studiosi, si trova una tela in condizioni conservative certo non esaltanti.
Al di là dello spesso strato di sporco che ne offusca i brillanti colori, è possibile leggerne la trama, imperniata sulle monumentali figure di S. Andrea apostolo – a sinistra – e S. Giovanni Battista a destra mentre in alto Dio Padre si affaccia da un cielo nuvoloso attorniato da angioletti musicanti, due dei quali sorreggono una grossa corona dorata al di sopra di un vano centrale centinato.
La presenza del monogramma mariano nella mantellina ottocentesca che lo copre permette la logica deduzione che, un tempo, vi si trovasse un’immagine della Madonna, forse una delle varie che adesso fanno parte della pinacoteca. Esaminando attentamente il dipinto ebbi modo di notare come la cornice lignea dorata fosse a sua volta contornata da una seconda corniciatura grigiastra in modo da confondersi con l’altare lapideo, insinuando il dubbio che questa non fosse la sede per cui venne creata. Spulciando la non ricca letteratura in materia, strumento indispensabile per ogni ricerca locale, ebbi un vero e proprio colpo di fortuna.
Il Pogni nelle sue “Iscrizioni” ricordava un tema che mi parve confacente al caso. Trattando del santuario della Madonna del pozzo nomina “una tavola che trovavasi un tempo collocata sopra la porta di chiesa, e più anticamente era stata quadro dell’altare, ove erano effigiati ai lati d’un vano semicircolare, apertovi nel centro perché si potesse veder l’immagine della Madonna affrescata sulla parete, S. Giovanbattista e S. Andrea apostolo protettori del paese”.
Il dipinto, al quale lo storico riferisce la data “1543” scritta in caratteri romani, era inoltre provvisto di “un nastro o fascia al di sopra d’un vano semicircolare” dove si leggeva “Regina coeli letare alleluia” evidentemente riferito al sottostante affresco quattrocentesco (1).
La traccia mi spinse ad esaminare, quella che è tuttora l’unica monografia sul santuario empolese, opera del cappuccino Sisto da Pisa dove le mie intuizioni trovarono conferma. Il frate, ricordando la pittura sull’altare dell’edificio, attesta che nel “1897 con molto buon gusto, sotto l’assidua direzione e sorveglianza dell’egregio Mons. Bucchi, si tolse via quella copertura assai poco decente” sollevando inoltre il tabernacolo affinché fosse più visibile da parte dei fedeli (2).
In margine ad una nota ricorda come
“prima della tela fatta colorire quando si costruì la tribuna, ed ultimamente rimossa, era al luogo medesimo un quadro consimile postoci fin dal 1543. Di questa non si ha più notizia, l’altra è visibile anch’oggi nella Pinacoteca empolese”,
citando come fonti il Pogni ed il manoscritto, disperso, del Lazzeri sulle chiese empolesi, probabile fonte (3).
Ecco quindi comparire il problema: due quadri col medesimo soggetto: il primo su tavola – datato 1543 – tolto nel primo seicento quando il Mechini costruì la nuova tribuna, in seguito collocato “sopra la porta di chiesa” dove lo citava appunto il Pogni.
Il secondo su tela rimosso alla fine del secolo scorso per intervento del Bucchi e finito nel museo per poi essere collocato successivamente, forse dopo l’ultima guerra, all’interno della Collegiata (4).
E proprio in virtù dell’iscrizione riportata dal Pogni, quella con la dedica mariana, che è possibile rintracciare la tavola cinquecentesca nell’inventario redatto da Carlo Pini nel 1863, dove, al numero 37 della Galleria di S. Andrea si legge:
“Tavola con finestra centinata nel mezzo sopra la quale sono due angioli volanti che tengono una corona ed una striscia spiegata nella quale è scritto ‘Regina coeli letare alleluia”
e da basso ai lati della finestra S. Andrea e S. Giovan Battista in piedi di grandezza quasi quanto il vero. “Seguono le misure (180×159) e l’attribuzione in verità curiosa, al senese Bernardino Fungai o alla sua bottega (5).
Gli inventari successivi (Carocci 1894, Baldini 1956) non citano minimamente questo soggetto che per motivi ignoti dovette quindi essere tolto dalla ‘Galleria’ durante gli interventi di ristrutturazione effettuati dal Lami e dal Carocci nella seconda metà del secolo.
Il solo dipinto che potrebbe identificarsi sono le due tavole cinquecentesche raffiguranti i medesimi santi, frammenti di una composizione di maggiori dimensioni smembrata in epoca imprecisata, le quali compaiono nel museo solo al tempo dell’inventario Carocci (6).
Di fatto la tavola primitiva scompare dopo il 1863 mentre la tela ora in Collegiata appare citata per la prima volta nella visita pastorale del 1655 in termini che non lasciano dubbi circa la sua identificazione: “tabulam depictam in tela cun immagine S. Andrea Ap. et S. Joannis Baptistae et in medio est imago miraculis decorata Beatae Virginis Mariae” (7).
Le caratteristiche stilistiche della pittura, se si prende come riferimento il 1621 – anno in cui pare fosse terminata la tribuna ed effettuata la transazione dall’altare secondo il cappuccino – parrebbero alquanto contrastanti.
L’aspetto della tela è difatti ancora tardo cinquecentesco, con vistosi michelangiolismi nella posa e nell’anatomia del Battista o negli eleganti manierismi della ricca cetra suonata dall’angioletto come pure nella grossa corona dorata decorata con testine di cherubini.
L’insieme appare anteriore alla data proposta, pienamente secentesca, anche considerando l’eventualità di un autore attardato e provinciale, in parte smentita da certi brani d’indubbio interesse quali la testa del S. Andrea, caratterizzata da colpi di luce sulla barba e sui capelli canuti tanto da richiamare alla mente il Passignano e la generazione dei pittori riformati del primo seicento.
Il forte aspetto arcaizzante, soprattutto negli angioletti che sorreggono la corona, memori di tipologie largamente diffuse a fine cinquecento dai Del Brina, pone tuttavia il sospetto che all’anonimo pittore fosse chiesto esplicitamente di adeguarsi oltre che nel tema, anche nello stile, alla tavola del 1543 che – per motivi ignoti – si doveva sostituire.
Un altro fattore a mio giudizio da considerare è che se la transazione dall’altare fu effettuata nel 1621, l’incarico al Mechini era stato dato un decennio prima, nel 1610 (8).
Non ritengo eccessivo supporre che contemporaneamente, o quasi, si commissionasse anche la tela da porre nel nuovo altare lapideo. A mio avviso quindi, ma solo un’ulteriore ed approfondita ricerca sulle fonti potrebbe confermare o invalidare tali ipotesi, la tela fu dunque eseguita nei primi anni del secondo decennio da un pittore di cultura fiorentina tutt’altro che provinciale o arretrato, come attestano brani qualitativamente alti.
In tal senso gioverà ricordare come Libertario Guerrini nel suo monumentale lavoro su oltre cent’anni di vita empolese, riporti i nomi di alcuni pittori residenti in città (9).
Se Simone di Battista “lucchese” è certamente il “maestro Simone” che eseguì nel 1585 la pala col Rosario nella chiesa di Ripa, nulla vieta di ricercare tra Giovan Battista di Ottavio detto ‘ferrarese’, Lionardo di Domenico Bartoloni ed altri, l’anonimo esecutore della tela della Collegiata, ad essi coevo (10).
NOTE
(1) O. Pogni, Le iscrizioni di Empoli, Firenze, 1910, n. 411, n. 429
(2) Fra Sisto da Pisa M.C., L’antico santuario della Madonna del pozzo, in Empoli, Firenze, 1920, p. 135.
(3) Quando avvenne il trasferimento in pinacoteca lo ignoro, certo dopo il 1916 dato che non compare nel primo catalogo a stampa nell’opera edita in tale anno dal Bucchi. Il Pini (1863) nell’inventario delle opere d’arte empolesi conservato presso l’Ufficio Catalogo della Soprintendenza ai BAS di Firenze e Pistoia lo ricorda sull’altare del santuario definendolo “men che mediocre”. Sul manoscritto del Lazzeri cfr. fra Sisto da Pisa, cit. p. LII nota 10.
(4) Dopo la menzione fattane dal cappuccino il dipinto non è più citato, almeno per quel che mi consta, fino alla schedatura ministeriale di Eliana Pilati (1972) la quale, pur riferendola al XVIII secolo, ne testimonia l’attuale collocazione. Anch’essa consultabile presso l’Ufficio Catalogo.
(5) I documenti citati si trovano nell’archivio dell’Ufficio Catalogo della Soprintendenza per i BAS di Firenze e Pistoia alla voce Empoli.
(6) La coppia di tavole, al cui centro doveva trovarsi un’immagine della Madonna, perduta in epoca imprecisata, sono state messe in rapporto da Paolucci (Il Museo della Collegiata di S. Andrea in Empoli, Firenze, 1985, p. 135) con l’allogagione a Raffaello Botticini di un soggetto similare nel 1505. Per quanto riguarda la notevole diffusione di tali santi, presenti in numerose opere cittadine, ad esempio il grande tabernacolo un tempo sull’altar maggiore della Collegiata, si spiega con la loro duplice funzione di patroni cittadini e dell’Opera di S. Andrea, in genere committente di tali pitture.
(7) In: Sisto da Pisa, cit. p. XXVIII nota 19
(8) Sui lunghi tempi della realizzazione e dell’intervento del Mechini cfr. G. Salvagnini, Gherardo Mechini Architetto di Sua Altezza, Firenze, 1983, pp. 127-128
(9) L. Guerrini, Empoli dalla peste del 1523/6 a quella del 1631, Firenze, 1990, pp. 578/9
(10) Sulla tela di S. Maria a Ripa cfr. W. Siemoni – L. Pagni, La chiesa ed il convento di S. Maria a Ripa, Pisa, 1988, pp. Sull’attività di Simone di Bartolomeo, di cui sono riuscito a rintracciare in zona un’altra opera, darò esauriente comunicazione in un prossimo saggio.