QUEL FALSO CARICO DI CHARME
Da La Repubblica, 10/06/ 1984
dal nostro inviato STEFANO MALATESTA
PARIGI – La settimana scorsa un tribunale di Parigi ha sentenziato che tre quadri di Piet Mondrian, il famoso pittore astratto olandese, acquistati nel 1978 dal Centro Pompidou, sono falsi. La “courtière”, cioè la mediatrice della vendita, Simone Verde, è stata condannata a due anni di galera.
Il critico ed esperto Michel Seuphor, intimo amico di Mondrian, accusato di aver redatto false espertises, è stato assolto per aver agito in buona fede. La Verde dovrà anche dare 20mila franchi al barone Thyssen-Bornemisza, al quale aveva rifilato, sempre con le autentiche di Seuphor, un quarto Mondrian falso.
Sono cose che capitano, non vale la pena di scandalizzarsi troppo: il Pompidou si trova in buona compagnia. La “Madonna dell’ umiltà”, attribuita da Bernard Berenson a Masaccio e intronizzata alla National Gallery di Washington, era l’ opera di tre falsari di Vienna.
Il Metropolitan ha esposto i pezzi protocatalani dipinti dal padre di Picasso, continua a mettere in mostra pezzi di assai incerta fattura e provenienza, come un Le Tour. Kenneth Clark, il sapientissimo esteta del nudo, fine conoscitore e divulgatore di bellezze, fece acquistare alla National Gallery di Londra quattro quadri di Giorgione, ribattezzati poi, molto più modestamente, con il nome di Previtali.
Guiffrey, conservatore per i dipinti al Louvre, venne mandato via per aver comprato due Watteau, opera del suo imitatore Quillard.
C’ è la storia assai curiosa di Joseph Duveen, il mercante inglese legato a Bernard Berenson – sarebbe meglio dire l’accolito di Berenson nella vendita di capolavori o pseudocapolavori ai miliardari americani – e la “Belle Ferronière”, attribuito a Leonardo da Vinci.
Nel 1920 il Duveen aveva dichiarato, basandosi su una perizia di Berenson, che era falso il dipinto di proprietà di una signora americana identico alla Belle Ferronière esposto al Louvre, giudicato l’ originale. Ne seguì un processo e il Duveen esibì a riprova la perizia di B.B..
A quel punto la controparte tirò fuori il celebrato “The italian painters of the Renaissance”, scritto molti anni prima da Berenson, in cui il principe delle attribuzioni diceva che nella Belle Ferronière del Louvre non c’era traccia della mano di Leonardo.
Cominciò allora a girare la battuta: “Non acquistate mai gli originali le cui copie sono al Louvre”. In Italia nel 1958 venne ritirato dalla Galleria d’ Arte Moderna, a Roma, un Modigliani pagato assai caro, fatto dal suo amico Kisling.
Da anni Federico Zeri va lamentandosi che la Madonna della Palma, già esposta al Palazzo Ducale di Urbino, e attribuita da Cesare Brandi a Raffaello, non è che un falso dell’ 800: anche perchè la “palma” che si vede nel quadro è una “cycas aevoluta”, originaria del Pacifico, portata in Europa 250 anni dopo la morte di Raffaello.
Per ritornare ai Mondrian del Pompidou, la vicenda è discretamente emblematica perchè ne emergono con chiarezza le due “dramatis personae”, i due personaggi intorno a cui ruota la giostra-galassia del falso: il “courtier” – mercante e l’esperto.
Il mondo dei mercanti e dei galleristi meriterebbe una trattazione a parte, qui ogni generalizzazione è difficile e pericolosa: si va dai grandissimi di New York, di Ginevra, di Zurigo, di Parigi, quelli che fanno il mercato, all’ ometto che gira nei ministeri romani col quadretto “bono” sotto il braccio, valutato e venduto tra tavoli ricoperti di cappuccini. In mezzo, decine di categorie o sottocategorie, con una vasta scelta di “tipi”, l’ adamantino e il truffaldino, il venditore di saponette e il raffinato intenditore, l’ex amica del pittore e l’amante in carica del critico, ragazzotti sponsorizzati dall’industriale e gente di mano che ricicla soldi della mala, mercanti che spariscono dopo qualche anno e quelli solidi da sempre: però, magari, il padre o il fratello, che se ne intendevano, sono morti e l’ erede del nome non è all’ altezza.
Così la ditta strafamosa può creare qualche imbarazzo, perchè avalla molte cose con il prestigio e l’intimidazione culturale, mentre da una modesta bottega possono uscire quadri sicuri, perchè il proprietario è una persona perbene e accorta. Per ora teniamoci più accostati agli esperti, ai “connaisseur”, ai critici-storici che intervengono sul mercato con le loro expertises, iniziando con una malizia: Carlo Ludovico Ragghianti, uno dei tanti andati in pellegrinaggio a Livorno e colti da raptus estatico-estetico davanti alle false teste di Modigliani, ha scritto vari anni fa la prefazione a “Falsi e falsari”, un libro ben documentato e “scientifico” di O. Kurz, uno dei migliori sull’ argomento.
La lettura del libro, la prefazione dotta gli sono serviti a poco, “l’occhio” non gli è bastato. D’ altronde i maestri dell’ occhio, Morelli, Cavalcaselle, Perkins, Voss, Berenson, che per cinquanta-sessant’ anni, grosso modo dal 1870 al 1920-30, hanno attribuito quadri a destra e a manca, non sempre sono risultati attendibili. Va bene la cultura, l’erudizione anche maniacale, la sensibilità tattile, però, a spaziare per millenni di arte, si rischiava l’ infortunio. Il caso di Berenson è diverso, come una prefigurazione di quello che è poi successo in una fascia del mercato dell’ arte moderna.
B.B., affascinante, arrogante, dottissimo e abilissimo, non solo ha ingannato i suoi clienti, in particolare Isabella Stewart Gardner, miliardaria di Boston, sul prezzo pagato e sulla proprietà dei quadri che vendeva loro, attraverso Duveen. Ma ha anche autenticato molte opere in malafede, già sapendo che queste non erano e non potevano essere genuine. Divenne ricco, da molto povero qual era, si costruì la stupenda villa dei Tatti a Fiesole tradendo quegli stessi valori di studio e di conoscenza che l’avevano reso famoso, l’oracolo internazionale della pittura del Rinascimento.
Da anni il mercato dell’arte moderna funziona o dovrebbe funzionare con i connaisseurs di un settore limitato o di un solo artista. Quando i falsi girano a ritmo troppo sostenuto, quando i dubbi sono molti, c’ è bisogno dello specialista, di quello che sa tutto: se l’ ha detto lui… Si citano i soliti nomi di un passato recente: Kahnweiler e Zervos per Picasso, Maurice Malingue e Wildenstein per Gauguin, Petridès, un ex sarto greco che si era fatto una galleria a forza di vestire pittori a Montparnasse, per Utrillo. Però anche loro, non è che siano stati sempre infallibili.
A New York in uno stesso periodo si trovarono in diverse gallerie due Utrillo identici, uno autenticato da Petridès, l’ altro da Berthet-Pinson, altro noto esperto del pittore spagnolo. Baert de la Faille, connaisseur di Van Gogh, aveva messo nel suo catalogo le tele false dipinte dal tedesco Otto Wacker e in un altro catalogo intitolato “I falsi Van Gogh” quelle vere. Nel libro “Il mercato dell’ arte” di Christian Herchenrder sono elencati numerosi episodi non esattamente edificanti sulla disinvoltura delle expertises, soprattutto di quelle rinomate. Uno storico dell’arte tedesco, Justus Mller Ofstede, ad un avvocato che lo interrogava sul problema delle attribuzioni, gli consigliò: di “munirsi di un salvagente per non affogare in mezzo al mare”.
E’ nota la storia delle cinquanta e passa piccole sculture trovate – si diceva – ad Anticoli Corrado, un paese laziale, attribuite ad Arturo Martini, periziate come autografe da Argan, denunciate come false da un gallerista milanese, il Gianferrari e dichiarate false da una sentenza della Cassazione nel 1980.
Anche Lionello Venturi si è sbagliato su Modigliani. Si tratta qui di attribuzioni in buona fede il critico-esperto ha anche il diritto di sbagliare. Però con il mercato che tira, il mercante sbrigativo che preme, il cliente che chiede ed esige il bollo, la firma, l’ autorevole avallo, quanti sono quelli in cattiva fede? Tanto le espertises si firmano precedute dalla clausola: “A mio giudizio…”: è un’ opinione, mica la verità sacrosanta. Infatti ci sono dei galleristi che garantiscono le autentiche, non l’ autenticità del quadro. Naturalmente sarebbe uno sbaglio generalizzare o fare del terrorismo inutile. Esistono esperti meritori, come l’ avvocato Bonuglia, che ha passato la sua vita scremando i veri dai falsi De Pisis e il cui margine d’ errore è notevolmente basso.
Ma negli ultimi anni c’ è stato come un crescendo di professori e professorini, di pubblicazioni legate ai medesimi, di mostre legate a gallerie e queste al fine critico che ha fatto il catalogo e farà l’ articolo sul giornale, nemico acerrimo dell’altro fine critico, però di scuola opposta, oppure della stessa scuola poi le strade si sono divise: tutto un giro di rivalità e di interessi anche di pronta cassa in cui i falsi fanno cuccù da tutte le parti – quando uno se ne accorge -: magari anche nella grande mostra nazionale o internazionale. Qualcuno lamenta che gli esperti oggi siano nel migliore dei casi, dei dotti tecnici: gli mancherebbe l’ ispirazione, la frequentazione amichevole o fraterna, da pari a pari, come succedeva in Italia prima o subito dopo la guerra tra scrittori e pittori.
Dicono che Raffaele Carrieri, Libero De Libero, Leonardo Sinisgalli andassero a colpo molto più sicuro, sulle opere degli artisti amici, di qualsiasi connaisseur. Però è anche vero il contrario: le “attribuzioni” fatte da Giovanni Comisso per i quadri di De Pisis spesso fanno ridere, anche perchè si sa come sono avvenute e per quali ragioni. In fondo cose da poco, piaceri per favorire qualche giovanottello.
Di tutt’altro genere è stato spesso il circo Barnum delle attribuzioni fatte dai parenti degli artisti deceduti: mogli già tradite in smania di capitalizzare il loro dolore, figli che dalla culla non avevano visto il padre prendere tavolozza e valigia e scappare dall’appartamento borghese in cerca dell’arte, amiche e amanti di prima e di seconda fila.
Isabella Rouault si metteva davanti a un quadro che si sperava fosse del padre sfregandosi i polpastrelli e socchiudendo gli occhi: “La pittura non si spiega – diceva – si sente”, citando l’ augusto genitore. Piuttosto bigotta, sembra sia stata implacabile per i dipinti non propriamente casti o religiosi: li dichiarava dubbi, tra la disperazione dei mercanti e dei proprietari. Alice Derain faceva elaborare i certificati di autenticità dalla nipote Geneviève, lei firmava solo: interveniva direttamente sui nudi di amanti del marito che sistematicamente dichiarava falsi.
Nel caso di Utrillo la vedova Lucie Valore, era anche pittrice, e non sempre si riusciva a distinguere, nel suo atelier, quali erano i Valore e quali gli Utrillo. Inoltre sono stati tutti parenti fortunati, la vedova e le due figlie di Vlaminck, Jeanne Modigliani, da noi le figlie di Balla, eccetera: hanno sempre avuto collezioni private in apparenza inesauribili, lasciti più che doviziosi, da far supporre che i defunti non dovevano aver mai venduto un quadro in vita loro per lasciare giustamente tutto agli eredi.