S. Nicola da Tolentino in S. Stefano degli Agostiniani:
un dipinto con un messaggio
di Nicoletta Degl’innocenti
In una cappella della chiesa di S. Stefano degli Agostiniani, inserita in una tela del 1634 dipinta da Francesco Furini, c’è una tavola del 1445 dipinta da Bicci di Lorenzo, raffigurante “San Nicola da Tolentino che protegge Empoli dalla peste”. La tavola, nella sua cornice originale, ha la forma di un rettangolo con una cuspide triangolare, tipicamente tardogotica, ed è stata spesso oggetto di interesse perché raffigura il castello di Empoli all’epoca e anzi ne è probabilmente la prima rappresentazione. Nella cuspide è raffigurato Dio Padre su una nube, circondato da angeli, che lancia dardi (la peste) sulla città mentre nella parte sottostante il santo taumaturgo li trattiene con la mano, impedendo che la colpiscano.
La raffigurazione della peste sotto forma di frecce era comune nell’arte medievale: nell’Antico Testamento le malattie sono viste come punizione dei peccati [1]); inoltre, la peste veniva paragonata a una pioggia di frecce in molte cronache dell’epoca, a causa delle piaghe che causava e anche della subitaneità della morte, che avveniva in pochissimi giorni[2]. Il dipinto si inserisce nel quadro più generale del culto dei santi taumaturghi e in particolare di quelli dell’ordine agostiniano[3]. Il santo, vestito con l’abito dell’Ordine e recante un ramo di giglio e un libro chiuso, probabilmente simboleggiante la regola, mostra in mano un cartiglio, che verrà analizzato in dettaglio in seguito.
Nel 1634, il quadro fu collocato all’interno di un dipinto di Francesco Furini raffigurante la Madonna del Rosario, ma la finestra, che era stata ricavata appositamente per ospitare la tavola, aveva una forma rettangolare, quindi la figura del Padre che lancia le frecce rimaneva coperta. Tale scelta fu a mio parere intenzionale, per rispettare le norme dettate dal Concilio di Trento[4], che nella sessione del 3-4 dicembre 1563 stabiliva: “Non sia esposta nessuna immagine che esprima false dottrine e sia per i semplici occasione di pericolosi errori.”
Ora, nella stessa sessione si proclama che “i santi, regnando con Cristo, offrono a Dio le loro orazioni per gli uomini (…) è cosa buona ed utile invocarli supplichevolmente e ricorrere alle loro orazioni, alla loro potenza e al loro aiuto, per impetrare da Dio i benefici, per mezzo del suo figlio Gesù Cristo, nostro signore, che è l’unico redentore e salvatore nostro”; quindi, i santi possono intercedere, ma non certo annullare una punizione divina con un solo gesto della mano: questa parte dell’immagine, è stata quindi coperta, almeno questa è la mia opinione, perché in questo modo i “semplici” non avrebbero visto l’epidemia come espressione diretta della volontà di Dio.
In realtà, il senso teologico del dipinto è illustrato abbastanza esattamente (e correttamente, anche rispetto alla dottrina del Concilio Tridentino) dal cartiglio che il santo tiene in mano, ma tale cartiglio forse all’epoca della ricollocazione seicentesca fu considerato di difficile lettura, e ipotizzo che si escogitò questa soluzione, a mio parere brillante, per evitare problemi.
Il cartiglio recita, secondo la trascrizione di Olinto Pogni, leggermente emendata[5]: NUC SUM HIC PRO VOBIS ORATES – ME EXAUDIAT DNS ORATIONES VESTRAS – DNE DEUS A TE SUT OCULI NOSTRI NE PEREAMUS. Il testo, una volta risolte le abbreviazioni, si può trascrivere in questo modo: NUNC SUMUS HIC PRO VOBIS ORANTES – MANE EXAUDIAT DOMINUS ORATIONES VESTRAS – DOMINE DEUS A TE SUNT OCULI NOSTRI NE PEREAMUS.
La sua traduzione è all’incirca questa: Ora [noi] siamo qui e preghiamo per voi (letteralmente: preganti per voi) – al mattino Dio esaudisca le vostre preghiere – Signore Iddio, a te sono [rivolti] i nostri occhi affinché non moriamo.
Questo cartiglio spiega molto bene il senso corretto dell’opera, se lo si analizza tramite citazioni bibliche. Infatti la prima frase è una citazione biblica letterale[6]: “Noi siamo qui che preghiamo per voi.” Questa frase è contenuta in una lettera che gli israeliti da Gerusalemme inviano ai confratelli della diaspora, in particolare quelli in Egitto. Il senso anagogico che potrebbe essere attribuito a questo versetto (e a questa lettera in genere) è la descrizione dell’azione che i santi in Paradiso (=la Gerusalemme celeste, la Chiesa trionfante) esercitano verso i viventi (Chiesa militante): l’intercessione continua e contemporaneamente l’esortazione al ravvedimento, tanto è vero che nei versetti precedenti di questo stesso capitolo[7] si invita a tributare il culto a Dio e a rispettare i Comandamenti.
La seconda frase è probabilmente derivata da un responsorio, da recitarsi ai vespri e durante la veglia fra l’ultimo sabato di ottobre e la domenica seguente: “Dio esaudisca le vostre preghiere”, usato anche in vari luoghi per le processioni, tratto dal brano già citato[8], e inoltre riecheggia il Salmo 5[9], in cui l’orante che passa la notte in preghiera viene esaudito al mattino. E’ quindi un invito a perseverare nella preghiera fiduciosa.
La parte finale riafferma la fiducia in Dio, come l’unico Signore che può liberare dalla morte, riecheggiando altri salmi, come il 32 (Vulg.) o il 122 (Vulg), 2[10].
Chiaramente questi testi e sotto-testi potevano essere compresi solo da chi sapesse leggere, ed avesse oltretutto una certa familiarità con la preghiera liturgica, che attingeva abbondantemente dall’Antico Testamento, mentre il senso immediato e “visivo” che probabilmente era colto dalla maggior parte degli astanti era solo quello della potente protezione del santo taumaturgo. Però la correttezza teologica era salva.
Note
[1] Un esempio è il Salmo 38,1-3
[2] https://books.google.it/books?id=wVJiDwAAQBAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false Jean Delumeau, “La paura in Occidente: Storia della paura nell’età moderna”, Milano 2018, Il Saggiatore.
[3] https://journals.openedition.org/mefrm/3434?fbclid=IwAR1qoR_CbZ3wX_gH5pPqrNLjQLN_nP8r-FoKPtIzh9rmZCJqIKK-mrAkTQA#abstract
[4] http://www.documentacatholicaomnia.eu/03d/1545-1563-,_Concilium_Tridentinum,_Canones_et_Decreta_(Testo_divulgativo),_IT.pdf
[5] Olinto Pogni, “Le Iscrizioni di Empoli”, Firenze 1910, Tipografia Arcivescovile, pagina 104
[6] 2Mac 1, 6 (Vulg.)
[7] 2Mac 1, 3-4a (Cei): “[Dio] conceda a tutti voi volontà di adorarlo e di compiere i suoi desideri con cuore generoso e animo pronto; vi dia una mente aperta ad intender la sua legge e i suoi comandi”
[8] 2Mac 1, 5 (Vulg.)
[9] Sal 5, 4 (Vulg): “Quoniam ad te orabo, Domine : mane exaudies vocem meam.” (“Poiché a te rivolgerò la mia preghiera, Signore: al mattino ascolta/esaudisci la mia voce” – traduzione mia)
[10] Sal 32 (Vulg.) , 18-19 “Ecce oculi Domini super metuentes eum, et in eis qui sperant super misericordia ejus : ut eruat a morte animas eorum, et alat eos in fame.” (“Ecco gli occhi del Signore [sono] sopra coloro che lo temono, perché salvi dalla morte le loro anime, e li nutra in tempo di carestia” traduzione mia) – 122 (Vulg.), 2 “Ecce sicut oculi servorum in manibus dominorum suorum; sicut oculi ancillæ in manibus dominæ suæ: ita oculi nostri ad Dominum Deum nostrum, donec misereatur nostri.” (“Ecco, come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni, e gli occhi delle serve alla mano delle loro padrone, così [sono rivolti] i nostri occhi a Dion nostro Signore, finché abbia pietà di noi”