METODOLOGIA USATA
NEL RIORDINARE
L’ARCHIVIO “LUIGI BONI”
Lara-Vinca Masini su Luigi Boni, studio
L’archivio che ho preso in considerazione ed analizzato è un ARCHIVIO PRIVATO SPECIFICO nel senso che riguarda interamente un artista, Luigi Boni, nato nel 1904 in una frazione di Empoli e morto nel 1977 nella stessa città. Tutto il materiale contenuto è stato raccolto con dedizione ed entusiasmo da Paolo Pianigiani che aveva conosciuto “Gigi” (così veniva chiamato il più anziano artista) nel 1973 alla Galleria “Il Toro” di Empoli. “Mi era stato presentato come uno dei pochi in città che si intendesse di pittura e avevo visto con stupore alcuni suoi lavori di quel periodo, gli ultimi realizzati con le “palle”, grandi supporti di tela juta brulicanti di rilievi sferici. Parlammo di Mirò, di Fontana, di Burri, di Morandi e ci trovammo d’accordo sulla “qualità pittorica” che accomuna i grandi pittori, sia astratti che figurativi. Per me fu un punto di partenza importante e un riferimento continuo, da allora in poi.” Parole di Paolo che come compagno di strada degli ultimi anni ne ricorda l’amore per la ricerca e la sperimentazione e che, insieme ad altri amici del pittore, si è fatto promotore di un meritato risveglio di interesse verso il lavoro di Boni, dando vita ad un comitato che ha lo scopo di valorizzarne le opere[1]. Il gruppo che si è formato con questi intenti ha cercato di documentare con fotografie tutte le opere immediatamente reperibili dell’artista, suddividendole per periodi e tentando di stabilirne una data di esecuzione: lavoro veramente improbo dal momento che Luigi Boni non datava mai i suoi lavori e raramente li firmava. Sembra proprio che la scrittura in senso lato non rientrasse nel suo modo di concepire l’attività artistica: nonostante passasse da un tipo di pittura materico – gestuale a esperienze d’arte cinetica, “rimettendo ogni volta in gioco i risultati acquisiti”[2] precedentemente, mai aveva tentato esplicitamente una teorizzazione del proprio lavoro e quasi mai aveva “preso la penna per scrivere”.
Dunque l’archivio è risultato privo di lettere e di scritti a carattere teorico o letterario, di diari e di appunti di lavoro, documenti questi che comunque sarebbero potuti servire come attestazioni di poetica o di orientamento ideologico, psicologico, immaginativo del suo lavoro.
Il materiale che lo riguarda comprende invece fotografie recenti delle sue opere e foto in bianco e nero d’epoca che ci testimoniano momenti importanti della sua attività artistica e che ritraggono quadri più o meno coevi al momento in cui le foto furono scattate. A questo si aggiungono testi a stampa come recensioni sulla sua attività espositiva apparse in genere su quotidiani locali, fotocopie di articoli di giornale che lo riguardano, cataloghi di mostre collettive e personali, qualche documento originale[3], gadget collegato alle sue esposizioni che comprende inviti, cartoline, manifesti…
La tipologia dei documenti era dunque così varia che per riordinare l’archivio ho dovuto prima suddividere il lavoro di Boni in fasce cronologiche decennali (es.: anni ’30, anni ’40, anni ’50, ecc.) e poi inserirvi varie sottocategorie corrispondenti alle diverse tipologie del materiale archiviato (es.: foto a colori di opere, documenti originali, cataloghi, inviti, ecc.). D’altra parte non avrei potuto essere più precisa dal punto di vista cronologico, ad esempio con una ripartizione ad anno del materiale, dal momento che, come ricordavo precedentemente, Boni non datava mai niente, neppure gli articoli di giornale da lui conservati. Paolo Pianigiani scriverà, in nota, alla fine degli Appunti per una biografia di Luigi Boni “Non è stato facile mettere insieme queste poche indicazioni: Luigi Boni non parlava mai del passato e poco anche del presente”, spiegando così le mille difficoltà incontrate nel raccogliere e riordinare i dati su questo artista.
Un’ultima annotazione. Oltre a conservare questo piccolo archivio, Paolo Pianigiani possiede una raccolta di opere di Luigi Boni comprendente anche una caricatura di Monsieur Chevalier firmata e datata 1949. Si tratta in questo caso di quelli che Crispolti chiama “documenti diretti”[4], le opere d’arte appunto, supporti di conoscenza storica “diretta” che sommandosi al materiale “indiretto” (scritti d’artisti, di critici, cataloghi, ecc. ) conservato nell’archivio, permettono di continuare a fare storia dell’arte. Soltanto con grande difficoltà infatti si può tentare, ma i risultati sono solo ipotetici, una storia dell’arte senza supporti “diretti”di conoscenza storica.
Note
[1] Questo comitato nasce nel 2001, in occasione della mostra dedicata a quattro pittori empolesi (Renato Alessandrini, Ghino Baragatti, Loris Fucini e Luigi Boni) grazie alla volontà di alcuni amici del pittore: Mario Vannetti, Osvaldo Masetti, Alberto Michelucci e Paolo Pianigiani. Lo scopo del comitato è quello di organizzare una mostra antologica su Luigi Boni, che documenti i vari periodi del suo lavoro, e, in un secondo tempo, promuova anche al di fuori delle mura cittadine il lavoro di questo artista.
[2] Mario Bergomi nell’articolo Una mostra di Luigi Boni alla Galleria Proposte di Firenze[2] – La Nazione, 23 maggio 1965 – pag. 4.
[3] Come la Carte de Sociétaire del Salon des Réalités Nouvelles, intestata a lui stesso, con data 1955.
[4] E. Crispolti, Come studiare l’arte contemporanea, Roma 1997, p. 92
Per scaricare il documento in pdf:
archivio boni di Vanessa Chesi