ID 1313360359214776

Ludovico Cigoli

 

(Cigoli di San Minato al Tedesco 1559  – Roma 1613)

 

Deposizione di Cristo

1394 – 1607

 

Olio su Tavola; 321 x 206 cm

 

Firenze, palazzo Pitti, Galleria Palatina, inv. Palatina 1912, n. 51

 

Alessandro Grassi

 

Dal Catalogo della Mostra:

Il Gran Principe Ferdinando de’ Medici (1663 – 1713)

Collezionista e Mecenate

 Dal 25/06/2013 al 02/11/2013

Giunti Editore 2013

 

La Galleria degli Uffizi non ha richiesto in prestito questa opera per ovvie ragioni conservativa sopra indicata, nella Sala di Apollo

Il 13 marzo 1690 l’abate Filizio Pizzichi uomo di fiducia di Ferdinando de’ Medici, si recò a Empoli e convocò a turno, quando tre quando quattro, i membri della Compagnia della Santa Croce per trattare la cessione della pala della loro cappella in Santo Stefano degli Agostiniani, la Depontione di Cristo del Cigoli (ASFi, Compagnie Religiose Soppresse, n. 704, filza 5, c. 226v).

Come in analoghe situazioni (Strocchi 1982, pp. 46.47), l’acquisizione un quadro ap-partenente a un ente ecclesiastico fu ottenuta da Ferdinando grazie all’offerta di un’adeguata contropartita: in questo caso, seicento scudi da versare in luoghi di monte così da fruttare annualmente dieci doti per consorelle nubili bisognose, oltre al suo stcsso ingresso nella confratemita, di cui volle divenire protettore, e alla copia della pala che di lì a poco avrebbe fatto eseguire da Anton Domenico Gabbiani (cat. 60).

Tale premura era giustificata dall’eccezionalità dell’opera, uno dei capolavori della maturità del Cigoli, frutto d’una gestazione terminata alla fine del 1607 (fu posto in loco il 27 gennaio 1608) ma cominciata molto tempo addietro: secondo alcuni “Ricordi” della Compagnia, seguiti da tutta la critica, la decisione di ammodernare la cappella in Santo Stefano fu presa dai confratelli «tornati che furono da Roma dal Santissimo Giubileo» (ASFi, Compagnie Religiose Soppresse, n. 704, film S, c. 203r, trascritto in Poggi 1905, pp. 52.53), e pertanto l’inizio dell’esecuzione del dipinto cadrebbe in un tempo tra il 1600 e il 1603 (M. Rossi, in Mostra del Cigoli 1959, p. 99; Matteoli 1980, p.150; A. Tartuferi, in Lodovico Cigoli 1992, p. 107) o anche più tardi, dopo il viaggio a Roma del 1604 (Chappell 1992, p. 149).

Occorre tuttavia ribadire le trascurate segnalazioni di Giglioli (1906, pp. 149-150) e di Siemoni (1986, p. 224), e rilevare come, da altri documenti, si evince chiaramente che in quella cappella già dal 1591 era stata creata una «tribuna a uso di nicchia» (per la quale son registrate le spese per «dua pilastri dua usci un arco un fregio dua lastroni di pietra») e che due anni dopo, volendo «chonsequire» l’impresa, i confratelli decisero «di fare una tavola allo altare di nostra chompagnia chon pitture apartenenti al titolo di detta chon far ornamenti, intorno e fregio e altare».

Entro il luglio 1594 risultano già pagate settanta lire al legnaiolo Jacopo Pagolini per la fattura della tavola, e settanta a «Lodovico di Gian Batista Cardi dipintore in Firenze; per a buon conto della pittura»; ulteriori accrediti di settanta lire al Pagolini e sessantatré al Cigoli si registrano l’anno seguente.

Ai primi del 1596 il legnaiolo viene saldato per «suo resto, del pagamento dell’ornamento fatto all’altare di detta compagnia» – infatti la mostra dell’altare, come si evince dagli inventari della compagnia, era in legno intagliato e dorato (l’attuale, in pietra, è settecentesca) — mentre i documenti tacciono riguardo al dipinto che verrà concluso molto più tardi (ASFi, Compagnie Religiose Soppresse, n. 703, filza 2, cc. 41v, 49r, 54r; 704; filza 6, cc. 36r-v, 49r, 50v, 54v, 58v).

Alla lunga elaborazione corrisponde un numero di disegni relativamente ristretto ma di grande qualità (per un riepilogo si veda Chappell 1992, pp. 148-150, n. 92), dove spicca lo studio della Maddalena, a Roma (Istituto Nazionale per la Grafica, FC 125694), per la cui profilatura il Cigoli si ispirò alla recente Esaltazione della Vergine dipinta da Jacopo da Empoli per San Remigio a Firenze (1593 circa; Marabottini 1988, pp. 185-186, n. 20), mutandone però il nitido gioco di luci e ombre, prettamente fiorentino, in uno sbattimento che presuppone l’assimilazione di Caravaggio (Chelazzi Dini 1963, p. 58) e in particolare, nell’insistere della luce sulla pelle nuda delle spalle a contrasto con i capelli, della Maddalena piangente nella Morte della Vergine del 1604 circa (ritorna persino il motivo delle trecce sulla nuca).

Giunto in quell’anno a Roma, il Cigoli dovette infatti riformulare quanto già elaborato in nuce per la pala empolese alla luce delle novità del Merisi e di Annibale Carracci, dalla Deposizione di Cristo nel sepolcro alla Pinacoteca Vaticana alla Pietà oggi a Capodimonte, sortendo positivo e consapevole (A. Tartuferi, in Lodovico Ciardi 1992, p. 107) che costituì la fortuna del dipinto e, in un certo senso, la sua attrattiva agli occhi del Gran Principe; il quuale, dopo averla ottenuta, la fece dotare d’ una nuova cornice forse su disegno del Foggini (Mosco 2007, pp. 62-61), per posizionarla degnamente nella «Sala dei Cimbali» (qui compare nel 1698; ASFi, Guardaroba Medicea, n. 1067, c. 4r) assieme ad altre pale d’altare che andava raccogliendo.

 


 

Bibliografia

 

  • Cardi-Cigoli 1628, ed 1980, pp. 26 – 27;
  • Poggi 1905, pp. 52-53;
  • Giglioli 1906, pp. 149 – 150;
  • Bucci, in Mostra del Cigoli 1959, pp. 99 – 101. n. 39;
  • Chelazzi Dini 1963. p. 58;
  • Chiarini 1975b, p. 75;
  • Matteoli 1980, pp. 149 – 151;
  • Strocchi 1982, pp. 46 – 47, 48, note 44-45;
  • Siemoni 1986, pp. 223 – 225. n. XXI;
  • Faranda 1986, pp. 164 – 166. nn. 79, 79a-c;
  • Epe 1990, p. 50;
  • Contini 1991, p. 92, n. 27;
  • Chappell 1992. pp. 148 – 150, p. 90;
  • Tartuferi, in Lodovico Cigoli 1992, pp. 107 – 108, n. 23;
  • Tartuferi, in La Galleria Palatina 2003, p. 122, n. 180;
  • Mosco 2007, pp. 62-63.

 


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