ANCORA IL CIGOLI A FIGLINE
(CON UNA DATA PER TOMMASO GHERARDINI)
Alessandro Grassi
da: PARAGONE ARTE
Anno LXIX – Terza serie – Numero 138 (817) Marzo 2018
Ed. Mandragora Firenze
La prima esposizione della serie La città degli Uffizi si tenne nel 2008 a Figline Valdarno ed aveva come tema il legame che unì Lodovico Cardi da Cigoli a quella città1, in quanto “proprio le opere destinate a questa cittadina permettono di precisare i caratteri stilistici della fase giovanile del pittore – in particolare la varietà di modelli espressivi di cui parlano i biografi a proposito dell’esordio di Lodovico – e allo stesso tempo svelare l’exploit compositivo e coloristico di un Cigoli ormai maturo e caposcuola del barocco fiorentino”2.
1 Colorire naturale e vero. Figline, il Cigoli e i suoi amici, catalogo della mostra a cura di N. Barbolani di Montauto e M. Chappell (Figline), Firenze, 2008.
2 N. Barbolani di Montauto, Lodovico Cigoli: i committenti figlinesi, l’amicizia col Pagani e il “colorire naturale e vero”, in Colorire naturale e vero, cit., p. 20.
Il decennio 1579-1590, scandito da alcune importanti commissioni figlinesi, è tanto cruciale nella carriera del Cardi quanto, purtroppo, scarso di notizie: in particolar modo gli anni 1586-1587, intorno ai quali la critica colloca la virata stilistica dagli esordi eclettici e ancora intrisi della Maniera fiorentina (Pontormo su tutti) verso il colorito morbido del Correggio, da giustificare – secondo alcuni – mediante un non documentato viaggio al di là degli Appennini oppure – secondo altri – ricorrendo più semplicemente alle opere dell’Allegri che si potevano allora vedere in Firenze3.
3 M. Chappell, Il Cigoli e Figline: da apprendista a maestro, in Colorire naturale e vero, cit., pp. 46-47.
È proprio in questo biennio che il Cigoli diventò un maestro autonomo, dotandosi di una propria bottega e acquistando un credito crescente che, poco più tardi, lo avrebbe portato ad assumere incarichi per i quali si hanno finalmente maggiori notizie documentarie o dati certi: ad esempio i ritratti per la Guardaroba medicea (saldati a partire dal 21 maggio 1588), la partecipazione agli apparati decorativi per le nozze di Ferdinando I de’ Medici e Cristina di Lorena (1589), e le pale d’altare ormai mature della ‘Immacolata Concezione’ di Pontorme (1589-1590) e del ‘Martirio di San Lorenzo’ appunto a Figline (1590)4.
4 Ibidem.
La lacuna relativa a questa fase si riduce in parte, adesso, con la piena restituzione al Cigoli di due tavole a olio dalla controversa attribuzione5, raffiguranti la ‘Vergine addolorata’ e ‘San Giovanni Evangelista dolente’ /tavole 66, 67/, conservate nell’ambiente attiguo alla collegiata di Santa Maria a Figline, oggi adibito a sagrestia ma, in origine, oratorio della locale compagnia del Corpus Domini o del Santissimo Sacramento.
5 Già accostate ai modi del Cigoli da E. Biagi, nelle schede OA 09/00193733 e 09/00193735, le tavole sono state attribuite a Vincenzo Dandini da S. Bellesi, Vincenzo Dandini e la pittura a Firenze alla metà del Seicento, Pisa, 2003, pp. 106- 109, nn. 28-29; idem, La pittura di Carlo Dolci fra tradizione e modernità, in Carlo Dolci 1616-1687, catalogo della mostra a cura di S. Bellesi e A. Bisceglia (Firenze), Livorno, 2015, pp. 41-42 e p. 54, nota 50. L’attribuzione al Dandini è stata accolta dubitativamente in Museo d’arte sacra della Collegiata di Figline, a cura di C. Caneva, Firenze, 2007, p. 103, n. 103, mentre è stata riformulata in favore del Cigoli da R. Ciabattini, Michelangelo Vestrucci “luogotenente di Montevarchi e Accademico fiorentino”, Firenze, 2014, p. 23 e nota 44, assieme alla segnalazione del disegno del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi 2044 S come preparatorio per la figura di San Giovanni.
L’antica funzione di questo spazio è confermata non solo dal bel portale in pietra serena sulla parete d’ingresso, ornato di un calice eucaristico al centro del timpano spezzato e recante sull’architrave l’iscrizione “SOCIETAS CORPORIS XPI M D L XXXVI”, ma anche dall’affresco con il ‘Sacrificio di Isacco’ /tavola 65/, che già Emanuele Repetti ricordava con apprezzamento quale opera di Tommaso Gherardini appunto “nella soffitta dell’oratorio del Corpus Domini, contiguo alla collegiata”6.
6 E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato, Ducato di Lucca Garfagnana e Lunigiana, Firenze, 1833-1846, II, 1835, p. 132.
È da notarsi che la compagnia esistente al tempo del Repetti, ovvero nel 1835, era la diretta erede – rinata nel 1792 negli stessi locali e con l’utilizzo dei medesimi arredi – della più antica confraternita del Corpus Domini, soppressa nel 1785 dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena7.
7 L’archivio storico della Collegiata di Santa Maria a Figline, a cura di I. Regoli, Firenze. 1995, p. 87.
Il Repetti registrava inoltre una “immagine che ivi si venera di N. Donna attribuita al Cigoli o alla sua scuola” ma tale menzione non sembra mai esser stata messa in relazione alla ‘Vergine addolorata’, cosa che invece è confermata dall’esame dei documenti della confraternita, conservati all’Archivio di Stato di Firenze; i quali informano pure che la tavola, in coppia col ‘San Giovanni dolente’, fu effettivamente eseguita dal Cardi.
Veniamo così a sapere che il pio sodalizio figlinese, istituito nel 1539, promosse nei decenni successivi numerosi lavori di ammodernamento: dopo alcuni interventi alla struttura architettonica – a cui rimandano certamente un portale purtroppo dismesso, di cui si conserva soltanto l’architrave con la data 15728, e il già citato portale del 1586 tuttora in loco – si passò a sistemare gli arredi interni, come ad esempio i banchi in noce.
8 L’architrave, recante l’iscrizione “SOCIETAS CORPORIS CHRISTI MDLXXII”, si conserva oggi sotto la loggia della Propositura: cfr. I. Gagliardi, Confraternite e devozioni a Figline Valdarno (XV-XVI secolo), in Arte a Figline da Paolo Uccello a Vasari, catalogo della mostra a cura di N. Pons (Figline), Firenze, 2013, pp. 86-87 e fig. 5.
Nel 1587 – anno in cui principia il primo registro contabile superstite – l’altare della compagnia doveva esser collocato di faccia al portale del 1586, nell’altro lato breve del vano rettangolare (dove oggi si apre una porta), e si presentava sovrastato da un’edicola, probabilmente con una nicchia ricavata nello spessore del muro, contenente un crocifisso; per maggior decoro, si era da poco deciso di inquadrare nicchia e crocifisso con un nuovo “ornamento”, apponendovi ai lati due “tavole” dipinte entro cornici intagliate e dorate, le quali avevano bisogno di poggiare sopra delle “pietre” che si sarebbero murate ai lati della mensa già esistente, aumentandone l’ampiezza9.
9 Secondo quanto si desume dai lavori testimoniati nell’Appendice documentaria 1.
Benché frutto di un intervento a più riprese, dunque, l’altare del Corpus Domini di Figline andò ad assumere un aspetto analogo a quello di numerose ‘macchine’, soprattutto a carattere eucaristico, assai diffuse in Toscana a partire dall’altare del Sacramento dei Botticini in Sant’Andrea a Empoli passando per svariati esempi cinquecenteschi, che prevedeva – entro una sontuosa carpenteria lignea dalla conformazione a serliana – due pannelli laterali dipinti con figure di santi e, al centro, l’alloggio per l’oggetto della venerazione10: spesso il ciborio eucaristico, o, nel caso di Figline, un crocifisso (come era lecito aspettarsi per congruità iconografica con i ‘Dolenti’ e come conferma del resto la visita pastorale del vescovo Baccio Gherardini, del 13 giugno 1616)11.
10 Per un riepilogo, vedi B. Bitossi, Tabernacoli e altari sacramentali tra XV e XVI secolo. Il caso empolese e la fortuna della sua tipologia in ambito fiorentino, in Pontormo e il suo seguito nelle terre d’Empoli, catalogo della mostra a cura di C. Gelli (Empoli), Firenze, 2013, pp. 63-70.
11 Archivio Storico Diocesano di Fiesole (d’ora in poi A.S.D.F.), Visite Pastorali 14, c. 35: “accessit ad societatem Corporis Xpi cuius oratorium invenit pulchrum satis et ornatum et prius altare cum Cruci affixo multam redolente et excitante devotionem clau(su)m in tabernaculo amplo inaurato et summa decentia perfecto”.
L’altare fu sistemato in un periodo compreso tra il 1 maggio 1587 e il 30 aprile 1588, ovvero nei mesi in cui l’amministrazione della compagnia fu tenuta dal confratello Orsino di Bernardino: in quel tempo risultano infatti saldati 24 scudi a “Lodovicho Ciardi [sic] pittore in firenze” per “resto de la pittura de le dua tavole del nostro ornamento de laltare”, in ottemperanza alla commissione fatta dagli “anticiesori” di Orsino, che è ragionevole collocare nel corso del 1586.
Le tavole del Cigoli ricevettero quindi delle cornici con “certi pezi d’intaglio”, ornate anche di “due cherubini” e dorate da Giovanni di Paolo, prima di esser posizionate al loro luogo12.
12 Vedi Appendice documentaria 1.
Si era così compiuto il “pulcherrimum ornamentum inauratum” che il vescovo di Fiesole Alessandro Marzi Medici ammirò sull’altare della confraternita, nella visita pastorale effettuata entro il 159813.
13 A.S.D.F., Visite Pastorali 12, c. 143 (vescovo Alessandro Marzi Medici).
Subito dopo – tra il 1599 e il 1600 – l’oratorio fu ulteriormente abbellito, stando ai pagamenti saldati ad Alessandro Portelli, figlio del più noto Carlo, e al raro Stefano Del Buono, suo socio, che eseguirono alcune pitture “sopra laltare grande e sotto il tettuccio” e nei “cornicioni”14: escludo però che fossero aggiunte o modifiche all’altare, giacché la somma sborsata a loro e al doratore Giovanni Biscioni, che li affiancò, supera di parecchio i costi della ‘macchina’, e ritengo più plausibile che si trattasse di decorazioni sul muro di fondo dell’oratorio, tutt’intorno e sopra all’altare, andate poi perdute15.
14 Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi A.S.F.), Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo 1808 (Santissimo Sacramento di Figline), filza segnata S 411 n. 8, Entrata e Uscita 1587-1662, c. 233v. [Uscita dal primo maggio 1599 al primo maggio 1600]: “A m.ro Lessandro di Carlo Portelli pittore e m.ro Stefano del Bono suo comp.gno pittore e metti a oro fiorentini lire treciento trentanove pagati per pittura sopra laltare grande e sotto il tetuccio e de’ cornicioni—. A Giuliano di Filippo Biscioni lire cientoventisei soldi quattordici per tremilatreciento pezi d’oro e ghabella e vettura servì per sopra laltare e sotto il tettuccio e cornicioni_ 126.14”. Per qualche notizia su Stefano Del Bono vedi M. Visonà, Ville e dimore di famiglie fiorentine a Montemurlo, Firenze, 1991, pp. 161, 162, 163. Vedi anche R. Spinelli, Il ‘Palazzo di Mezzomonte’, buen retiro del principe Giovan Carlo de’ Medici, in Fasto di corte. Volume II. L’età di Ferdinando II de’ Medici (1638-1679), a cura di M. Gregori, Firenze, 2008, p. 176 e note 60-61.
15 In tal senso, forse, va inteso il giudizio del vescovo Baccio Gherardini, che nel 1616 giudicava l’ambiente dell’oratorio – non l’altare – “pulchrum satis et ornatum”: cfr. nota 11. È possibile, ma difficilmente dimostrabile, che a tale intervento fossero da ricondurre gli affreschi a monocromo con sei storie veterotestamentarie che, benché malandati, erano visibili sulle pareti dell’oratorio ancora ai primi del Novecento (cfr. E. Biagi, scheda OA 09/00193762). E. Repetti, op. cit., attribuiva anche tali affreschi al Gherardini ma i documenti attestano che egli eseguì soltanto lo “sfondo” ovvero l’ovale con il ‘Sacrificio d’Isacco’.
L’aspetto della ‘macchina’ rimase invariato fino all’estate del 1756, quando, essendo cresciuta una “speciale divozione” del “popolo di Figline” verso “l’Immagine di M.a SS.ma adolorata posta nei laterali dell’Altare”, i responsabili della confraternita stabilirono di smantellare la carpenteria lignea ed edificare una nuova mostra “di Pietra Serena e contorniata di Stucchi”, nella quale ricollocare la tavola della ‘Vergine addolorata’ “unitamente con l’altra di S. Giovanni” e “col Crocifisso”16.
16 Appendice documentaria 2.
Il disegno del nuovo altare fu affidato a Bartolomeo Portogalli, figlio del celebre Martino stuccatore, e i lavori di scalpello vennero affidati a Vittorio Bambi, che li condusse dal marzo al settembre del 175717.
17 Il nome proprio dello stuccatore, omesso nel testo della risoluzione, è riportato nella scrittura privata stilata il 6 marzo 1757 tra la compagnia e lo scalpellino Bambi, dove si specifica che questi doveva condurre l’altare “a norma del disegno fatto dal Sig. Bartolom.o Portogalli”: A.S.F., Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo 1806 (Santissimo Sacramento di Figline), filza segnata S 411 n. 3, Ricevute 1751-1785, carta sciolta.
Contestualmente, per ospitare degnamente il nuovo assetto, si rendeva necessario rialzare la volta dell’oratorio, alle cui centine lavorò sino all’aprile 1758 il legnaiolo Giuseppe Tonelli, incaricato anche – fra gli altri interventi – di “settare il quadro di S. Giovanni”18.
18 Ivi, carta sciolta (Conto del legnaiolo Giuseppe Tonelli).
A conclusione del tutto, diversi anni dopo, si decise di far affrescare la volta al fiorentino Tommaso Gherardini, con un tema eucaristico che ribadisse l’intitolazione della compagnia al Corpus Domini, ovvero il ‘Sacrificio d’Isacco’.
L’artista eseguì l’opera in un arioso sottinsù entro un ovale mistilineo, in un soggiorno a Figline protrattosi dal 23 settembre al 13 ottobre 177419: datazione, questa, che ben si accorda ai dati di stile, i quali rivelano come i modi rarefatti delle ultime prove del maestro Vincenzo Meucci (ad esempio gli affreschi in palazzo Gerini a Firenze e in palazzo Amati Cellesi a Pistoia) risentano già del gusto proto-neoclassico degli artisti ‘leopoldini’, quali Giuliano Traballesi, impiegati nel rinnovamento della villa del Poggio Imperiale.
19 È quanto si evince da una nota di spese, anche relative all’alloggio e al vitto del Gherardini, tenuta da Lino Villifranchi: A.S.F., Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo 1805 (Santissimo Sacramento di Figline), filza segnata S 411 n. 1, inserto B, Memorie, Fedi per Xma, e Scritture d’interessi diversi 1622-1784, carta sciolta. Sul verso di questa nota compare la ricevuta di mano del pittore: “Adì 13 ottobre 1774. Io infratto ho riceuto dall’Ill.mo Sig.re Lino Villifranchi Giorgini ducati cinquanta, e sono per saldo del mio avere per l’opera da me impiegata in dipingere lo sfondo della chiesa della Ven.ble Comp. del Corpus Domini per tanto [parola illeggibile] così stabilito d’accordo, qual somma disse pagare a conto della maggior somma, che a favore di d:a Comp:a il med:o ritiene per renderne conto, pagò a me d:o contanti et in fede dico ducati 50. Tommaso Gherardini mano propria”.
In un tempo imprecisato l’altare del Portogalli venne smantellato e le tavole del Cigoli furono collocate in una nicchia creata nel lato lungo dell’oratorio, ormai adibito a sagrestia, riutilizzando forse i materiali lapidei settecenteschi20.
20 Che la nicchia attuale non rispecchi la posizione originale dell’altare è ribadito dal fatto che essa è ruotata di 45 gradi rispetto all’affresco del Gherardini, svolto longitudinalmente come di consueto.
Qui furono integrate in un fondale dipinto a olio con un ‘Cristo crocifisso’, andato perduto21; oggi, nella nicchia è ospitato soltanto un crocifisso ligneo cinquecentesco – presumibilmente quello dell’altare originario22 – mentre la ‘Vergine addolorata’ e il ‘San Giovanni dolente’ sono appesi sulla parete d’ingresso.
21 Cfr. E. Biagi, scheda OA 09/00193737.
22 Non si hanno notizie precise sul “simulacro del Ss.mo Crocifisso” (A.S.D.F., Visite Pastorali 30, c. 359v.; vescovo Francesco Maria Ginori, 3 ottobre 1750). Se è degno di fede un ricordo ottocentesco che lo voleva “dipinto sul Cartone” (A.S.D.F., Visite Pastorali 36, c. 82; vescovo Martino Leonardo Brandaglia, 10 maggio 1819), il manufatto sarebbe da intendersi come di cartapesta; ma non è infrequente che, in situazioni simili, i compilatori siano stati tratti in inganno dalla policromia della scultura. Il Crocifisso che oggi si conserva nella nicchia è in effetti un’opera lignea del Cinquecento (ad onta della raggiera dorata e delle ridipinture che hanno spinto a ritenerlo un prodotto di scuola toscana del XVIII secolo: cfr. Museo d’arte sacra, cit., p. 112, n. 105), come dimostrano i caratteri stilistici e il meccanismo delle braccia mobili che s’intuisce dai rigonfiamenti tra le spalle e gli omeri del Cristo.
Venendo finalmente a parlare di loro, si tratta di due tavole a olio (200 x 90 cm ciascuna) che sono state ampliate nei lati superiori e, rispettivamente, in quelli destro e sinistro, probabilmente al tempo della modifica settecentesca.
I personaggi sono raffigurati in piedi su un piano che ricorda una lastra lapidea: nella collocazione originaria, essa doveva situarsi all’altezza degli occhi dell’osservatore, in modo tale che l’effetto del piede sinistro di Giovanni, sporgendo un poco, acquisisse potenza illusoria.
Entrambi sono ospitati in due profonde incassature, come suggerisce l’accenno prospettico nell’angolo in alto a sinistra del pannello con la Vergine, parzialmente illuminato in quanto la luce radente è immaginata provenire da destra: in tal modo, le nicchie risultano dense di penombra, contro la quale i personaggi si stagliano anche in virtù delle aure sovrannaturali che emanano.
I gesti son quelli tipici dell’iconografia dei Dolenti: Maria stringe le mani in grembo, con lo sguardo abbassato e discostato dal centro, dov’era il Crocifisso; Giovanni si dispera in modo più eloquente.
La posa del discepolo è studiata in uno stupendo foglio del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, il n. 2044S recto (272 x 206 mm; matita rossa e nera, penna), di piena autografia cigolesca, già pubblicato da Miles Chappell pur senza il riferimento al dipinto di Figline /tavola 68/23.
23 M. Chappell, Disegni di Lodovico Cigoli (1559-1613), catalogo della mostra, Firenze, 1992, pp. 29-31, n. 18 e fig. 18b.
Lo studioso, soffermandosi sul verso del foglio – dov’è una delicata mezza figura femminile dal morbidissimo tratto a sanguigna, messa ipoteticamente in relazione con la Vergine della ‘Sacra conversazione’ del 1593, già a Pianezzoli e ora in deposito presso il Museo Diocesano di San Miniato24 –, ne aveva evidenziato gli effetti di ‘sfumato’ e i richiami ai maestri del primo Cinquecento.
24 Su quest’opera, cfr. N. Barbolani di Montauto, in Colorire naturale e vero, cit., p. 152, n. 4.2 (con bibliografia precedente).
L’accostamento del foglio degli Uffizi al pannello del ‘San Giovanni’ di Figline, fugacemente proposto da Roberto Ciabattini25, è dunque da ribadire con forza e, con la puntualizzazione cronologica al 1586-1587, fornisce un utilissimo punto fermo nell’esame della grafica cigolesca di questo tempo onde tentare ulteriori identificazioni, specie in direzione di eventuali disegni per i quadroni dei ‘Profeti’ che l’artista dipinse agli inizi del 1589 per il tamburo della cupola di Santa Maria del Fiore, in occasione delle nozze di Ferdinando I e Cristina di Lorena26.
25 R. Ciabattini, op. cit.
26 Sull’impresa, vedi M. Chappell, The decoration of the cupola of the cathedral in Florence for the wedding of Ferdinando I de’ Medici in 1589, in ‘Paragone’, 467, 1989, pp. 57-62.
L’impostazione maestosa del San Giovanni, ampiamente panneggiato e ben studiato nello spazio stretto dei margini laterali, potrebbe costituirne uno spunto di partenza.
Di particolare interesse appaiono le riprese a penna e matita ai margini del foglio, con cui il Cardi ha indagato in maniera progressiva la posa della mano sinistra, come se – viene da ipotizzare – volesse richiamare e, in un certo senso, fornire una soluzione migliore e più ‘naturale’ dell’analogo particolare che aveva dipinto, qualche anno addietro e con maggior ‘difficoltà’, nella ‘Deposizione’ della compagnia della Santa Croce, al proprio debutto in terra figlinese27.
27 A. Natali, La ‘Deposizione’ giovanile del Cigoli, in ‘Paragone’, 449, 1987, pp. 75-80; idem, in Lodovico Cigoli 1559-1613, catalogo della mostra a cura di M. Chiarini, S. Padovani e A. Tartuferi, con una introduzione di M. Chappell (Firenze), Fiesole, 1992, pp. 81-82, n. 1; idem, Le “maniere diverse” del giovane Cigoli, in I veli del tempo. Opere degli Uffizi restaurate, Cinisello Balsamo, 1997, pp. 79-86.
Rispetto al disegno preparatorio, poi, nella trasposizione pittorica il Cigoli ha puntualizzato meglio la mano destra e il risvolto del panneggio che essa sorregge. Piuttosto fedeli sono invece la conformazione e l’espressione del volto, incorniciato da una capigliatura inusuale e molto più corta di quella del giovane modello: a ben guardare il dipinto, si nota infatti come i riccioli più lunghi di Giovanni siano stati aggiunti in un secondo momento per modificarne il taglio a calotta e trasformarlo nella più tradizionale chioma fluente.
Nel complesso, le due tavole di Figline mostrano ancora evidenti – a queste date – rimandi molto stretti a idee e tipologie pontormesche: mi riferisco in particolare al panneggio rigonfio della ‘Addolorata’, col lembo abbondantemente ripiegato e come sospeso all’altezza della vita, che richiama molte figure del catalogo di Jacopo, dalle donne della ‘Visitazione’ di Carmignano all’‘Annunciata’ della cappella Capponi, al ‘San Giovanni Evangelista’ di Pontorme presso Empoli.
Quest’ultimo anzi – essendo inserito assieme al compagno ‘San Michele Arcangelo’ in un ‘ornamento’ che inquadrava un venerato crocifisso trecentesco28 – dovette esser preso in particolare considerazione dal Cigoli, che ben conosceva il territorio empolese e che proprio per la chiesa di Pontorme avrebbe licenziato nel 1590 la ‘Immacolata Concezione’29: è evidente infatti come la posa delle gambe dell’Arcangelo del Carucci, con le cosce che vanno a restringersi e le ginocchia in angolo per via dell’arto destro piegato e un poco sollevato in modo inquieto, sia stata ripresa dal Cardi, benché in controparte, nel suo Giovanni dolente.
28 Sebbene, com’è noto, Vasari avesse riferito l’opera pontormesca a una “cappella della Madonna”, mai ricordata dalle fonti, almeno dal 1576 essa si trovava sul documentato altare del Crocifisso: cfr. C. Gelli, in Pontormo e il suo seguito, cit., pp. 98-99, n. 3.
29 Sull’opera, cfr. D. Parri, in Pontormo e il suo seguito, cit., p. 112, n. 9 (con bibliografia precedente).
L’analogia è ancora più stretta se analizzata sui disegni preparatori /tavole 68, 69/, che il giovane Lodovico potè forse studiare da vicino, stante l’asserto del Baldinucci secondo il quale, durante gli anni della sua formazione, egli “procurava al possibile di disegnare quante più opere poteva di Iacopo Pontormo, non una, ma più volte”30, arrivando in tal modo ad assimilarne soluzioni e tagli compositivi.
30 F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua, Firenze, 1681-1728, ed. a cura di F. Ranalli, Firenze, 1845-1847, III, 1846, p. 238.
Ma, oltre all’eredità pontormesca, nelle tavole di Figline si coglie anche l’apertura a Correggio e Barocci, in particolare nel volto della Vergine, il cui ovale dagli occhi grandi e infossati sotto le arcate sopracciliari, col naso largo e la bocca dagli angoli insistiti, pur se memore ancora di certe fisionomie della cappella Capponi, tuttavia rivela sperimentazioni inedite nella condotta pittorica morbidissima e velata d’ombre azzurrine che fan risaltare gli arrossamenti delle palpebre e delle labbra.
Il Cigoli doveva aver già meditato e assimilato, a questa data, il “raro […] colorito” di opere correggesche come la versione, documentata nella collezione fiorentina di Francesco e Lorenzo Salviati, del prototipo dell’‘Ecce Homo’ della National Gallery di Londra31; e forse, dopo aver guardato alla baroccesca ‘Madonna del popolo’ di Arezzo in compagnia di Gregorio Pagani, aver già compiuto o essere in procinto di fare il decisivo viaggio a Perugia per vedere la ‘Deposizione dalla croce’ insieme al Passignano, che era rientrato da Venezia almeno entro la metà del 158732.
31 Ricordato da F. Bocchi, Le bellezze della città di Fiorenza, Firenze, 1591, p. 187; cfr. M. Chappell, op. cit., 2008, pp. 47 e 53, nota 32.
32 Nel novembre di quell’anno infatti viene collocata sull’altare della compagnia del Corpus Domini di Cerreto Guidi la pala dipinta dal Passignano con ‘San Gregorio che comunica un’incredula’: cfr. F. Berti, Domenico Cresti, il Passignano, “fra la natione fiorentina e veneziana”, Firenze, 2013, p. 29 (con bibliografia precedente).
I ‘Dolenti’ di Figline sembrano infatti fissare un momento ben preciso del percorso cigolesco, ovvero quello immediatamente precedente alla vigorosa sterzata veneteggiante e tizianesca che si manifesta appieno a partire dal 1590, e che si osserva ormai compiuta ad esempio nella pala di Pontorme e nel ‘Martirio di San Lorenzo’ di Figline, licenziate in quell’anno, e in quella con ‘Eraclio che porta la Croce in Gerusalemme’ in San Marco a Firenze, capolavoro datato al 159433.
33 R. Contini, Il Cigoli, Soncino, 1991, p. 42, n. 4.
Ad ogni modo, già con l’adesione a Correggio e Barocci, la strada era ormai tracciata e andava appuntandosi “sulle cromie morbide e vibranti e sul vincolo espressivo di queste con la narrazione sentimentale, per un’indagine sulla poetica degli affetti che avrebbe poi costituito il soffio vitale del Seicento fiorentino”34, come ben appare nel volto della ‘Addolorata’, così straordinariamente anticipatore di sviluppi futuri.
34 N. Barbolani di Montauto, op. cit., p. 29.
Ringraziamenti
Ringrazio Miles Chappell per i preziosi e amichevoli consigli, e don Giovanni Sassolini, parroco della collegiata di Figline, per aver facilitato lo studio e le fotografie delle opere eseguite da Cristian Ceccanti. Un pensiero grato anche a don Massimo Bini e Silvano Sassolini dell’Archivio Diocesano di Fiesole e al personale del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi.
APPENDICE DOCUMENTARIA
1. Messa a punto dell’altare cinquecentesco
A.S.F., Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo 1808 (Santissimo Sacramento di Figline), filza segnata S 411 n. 8, Entrata e Uscita 1587-1662
c. 200r. (Uscita dal primo maggio 1587 al primo maggio 1588)
“A ms Lodovicho Ciardi pittore in firenze lire novantotto per resto de la pittura de le dua tavole del nostro ornamento de laltare sechondo le chonvenzioni de’ nostri anticiesori che si spese D. 24 che D. 10 da loro e D. 14 li ò dato io_ 98.”
c. 200v.
“A Giovanni di Pagolo mettidoro in firenze lire cientododici contanti per resto delle dua tavole de lornamento del nostro altare che lui à messo doro sechondo le chonvenzioni fatte cho’ nostri anticiesori che furono scudi 26 chome per iscritta infra di noi da R.do fra Raffaello Ferrini Spedalingo di Figline che ne dé scudi 10 allora e scudi 16 da me chome per ricevuta_ 112.
Al sopradetto G.ni lire tre per avere fatti fare certi pezi d’intagli che manchavano a dette tavole e lire dua spese in dogana per farle suggiellare in tutto_ 5.
A Pietro di G.ni Tani l. tre per avere fatti due cherubini d’intaglio che manchavano a lornamento de le nostre tavole_ 3.
A Franc.o di Martino Lombardo e Vannino suo manovale l. cinque soldi 3 q. 4 tanti per opere dua e mezo per mettere le pietre sotto le tavole del nostro ornamento e altri rapezamenti pagati per poliza_ 5.3.4.”
c. 201r.
“A m.ro Batista di Domenico Cioni scarpelino lire sessantatre contanti per avere fatte le pietre sotto le tavole de lornamento del nostro altare pagati per poliza_ 63.”
c. 202r. (Uscita dal primo maggio 1588 al primo maggio 1589)
“A dì 24 di ottobre lire venti sei a Giovanni di Fran.co Tani per avere fatto lorna- mento innanzi al nostro altare dove à ire il paliotto, et per dua cassettine quale si va accattare_ 26.”
2. Decisione di modificare l’altare
A.S.F., Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo 1805 (Santissimo Sa- cramento di Figline), filza segnata S 411 n. 1, inserto B, Memorie, Fedi per Xma, e Scritture d’interessi diversi 1622–1784, carta sciolta
“Adì 21 Genn.o 1757
Fede per noi a piè soscritti Uffiziali della Ven: Comp:a del Corpus Dni di Figline, come nella vacchetta vegliante di d:. Comp.a dove si registrano le particolari devozioni, et altro della med.ma apparisce quanto appo cioè
Adì 18 luglio 1756 fu proposto dal Governatore che atteso il vedersi il popolo di Figline mosso a speciale divozione verso l’Immagine di M.a SS.ma adolorata posta nei laterali dell’Altare di nostra Chiesa […] per maggiorm.e porla in venerazione, e dare maggior adito ai Popoli med.mi di vie più accrescere tale devoz.e; e per ciò fare propose d.o Governatore con consenso ancora dei Capitani di vedere di levare detta Immagine, unitam.e con l’altra di S. Gio. che esiste dall’altro laterale, e queste porre in decente luogo, e doppo che tale proposizione fu per buono spazio di tempo discussa in corpo di Comp.a fu creduto tornare a proposito di procurare di collocare dalle persone divote di d.a Immagine quel più che sarà possibile per collocare le d:e due Immagini unit.e col Crocifisso del nostro altare, in un nuovo altare da fabricarsi di Pietra Serena e contorniata di Stucchi, e questo fare dove è present.e l’altare di legno di nostra Comp.a con il disegno di Persona perita; e che per maggiorm.e incitare i benefattori a sì lodevole opera la Comp.a succumbesse in proprio per tale spesa con la somma di scudi trenta e mandatone doppo il Partito si trovò vinto per n° 25 voti favorevoli nessuno in contrario […].
Item adì 19 7bre 1756 fu esposto dal nostro Governatore atteso che l’altare da edificarsi nella loro Compagnia a forma del partito fatto il dì 18 luglio per porvi le due Immagini, e secondo il disegno stato fatto da [vuoto nel testo] Portogalli, e veduto da’ fratelli, pareva che restasse sproporzionato stante la bassezza della volta della Chiesa di nostra Compagnia; che perciò era stato convenuto necessario doversi rialzare la volta di d.a Chiesa per potervi proporzionate edificare d.o Altare di Pietra; ma siccome fu considerato non essere la Compagnia in forze da fare sì gravosa spesa, fu proposto da d.o nostro Governatore di doversi per adesso rifare solamente il terzo di d.a volta a spese della Comp.a […]”.
SUMMARY
A study of the documentation relating to the Compagnia del Corpus Domini in Figline Valdarno, housed in the Florence State Archives, makes it possible to unquestionably establish the authorship of two oil paintings on wood panel of the Sorrowful Virgin and Saint John the Evangelist in mourning, now in the sacristy of the local Collegiate Church of Santa Maria, to the early period of Ludovico Cigoli. These formed the lateral elements of a macchina d’altare dedicated to the Holy Crucifix, dismantled in the eighteenth century during a modernisation project that also involved the painting of a fresco in the vault above by Tommaso Gherardini, in 1774. Cigoli’s two panels, datable to 1586-1587, provide a key element for the understanding of his stylistic evolution, when after his early works, influenced by Pontormo’s maniera, he turned to the more experimental stimuli prompted by his discovery of Correggio and Barocci.
IL CIGOLI A FIGLINE