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Firenze riscopre Cigoli genio rimesso a nuovo

Studi, restauri e una rassegna a Palazzo Pitti

 

di Maurizia Tazartes

da: La Stampa, lunedì 27 luglio 1992

 

Il torso illuminato, il volto sofferente, il manto di seta rossa che ricade sulla balaustra: ecco, sotto le lampade sapienti di Palazzo Pitti, l’Ecce homo di Lodovico Cardi detto il Cigoli.
L’opera più famosa del pittore, ma anche una novità: sappiamo infatti adesso con certezza che era stato dipinto, per 25 scudi, tra marzo e settembre 1607, come «compagno» di un quadro dello stesse soggetto di Caravaggio per Massimo Massimi, membro di una famiglia nobiliare romana.
Lo raccontano alcuni documenti scoperti nel 1987, che sfatano la vecchia idea, sostenuta dai biografi del ‘600 e ‘700, che il dipinto fosse nato in seguito al «concorso Massimi», una gara tra Cigoli, Caravaggio e Passignano.
Rivelano invece un’esecuzione di ben due anni successiva all’opera di Caravaggio, indicata da Roberto Longhi nel 1954 in quella esposta a Palazzo Rosso di Genova.
E’ una delle tante sorprese che incontriamo nella bellissima mostra Ludovico Cigoli tra manierismo e barocco (Galleria Palatina di Palazzo Pitti, fino al 18 ottobre).
Curata da Marco Chiarini, Serena Padovani, Angelo Tartuferi, organizzata da Artinvest, con uno snello ma ben informato catalogo (Amalthea), raccoglie ventisette dipinti del Cigoli, di cui una dozzina appartenenti allo stesso Palazzo Pitti, altre di varia provenienza.
Opere note e non, che seguono tutto il percorso dell’artista dagli inizi negli anni 1570 con la tela con Annunciazione di Figline Valdarno al piccole rame con Fuga in Egitto del Musée de Beaux Aris di Montpellier della fine del primo decennio del ‘600.
Perché una mostra su questo pittore, nato a Castello di Cigoli nel 1559 e morto a Roma nel 1613?
Perché era ora di aggiornare il pubblico – spiega Chiarini su quest’artista capace di dare una svolta nuova alla pittura toscana del ‘600 nel paesaggio tra manierismo e barocco.
Dopo il primo profilo tracciato dal Venturi nel 1934 e la grande rassegna monografica di San Miniato nel 1959, gli studi e le scoperte si sono infittiti.
Non solo, ma Palazzo Pitti possiede il maggior numero di dipinti del pittore, di cui proprio in questi giorni viene esposto agli Uffizi l’ intero corpus di disegni – oltre 100 – catalogati da Miles Chappel, uno dei maggiori studiosi del Cigoli.
A dare una mano alla costosa realizzazione della mostra di Palazzo Pitti, sono stati Artinvest, che ha sponsorizzato anche il restauro di alcuni dipinti e la Gondrand, che ha offerto i trasporti.
La Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze hanno collaborato ad altri restauri.
Possiamo così veder riemergere con vivaci, caldi colori, la grande tela con la Vocazione di San Pietro, firmata e datata 1607 con il porto di Livorno sullo sfondo e in primo piano splendide conchiglie, le due sensuali Maddalene penitenti del 1605 circa, un suggestivo Gioele e Sisara dello stesso periodo e un poco noto San Pietro cammina sulle acque.
Opere che confermano la visione dei primi biografi, il nipote Giovan Battista Cardi e Filippo Baldinucci, che non esitavano a definire il pittore «il Tiziano e il Correggio fiorentino», per le sue capacità di unire la tradizione toscana del disegno con il colore veneto.
Il Cigoli, pittore, disegnatore, scenografo, architetto viene educato in «lettere umane» nella Firenze degli anni 1560-70.
Ma visto che faceva «più fantocci che latini», come scrive il nipote, è sistemato verso il 1570 come apprendista pittore nello studio di Alessandro Allori.
Nel 1578 riceve le prime commissioni, come l’Annunciazione del 1580 di Figline Valdamo, ancora nell’ambito del maestro.
Dopo una lunga malattia dal 1581-84, presa sezionando cadaveri per studiarne l’anatomia, e il passaggio nell’atelier di Bernardo Buontalenti, la prima grande tappa: l’adesione ai ritmi grandi e drammatici della Controriforma.
Cigoli studia architettura, prospettiva, matematica, realizza grandi apparati per feste, simpatizza per artisti come Pontormo, Santi di Tito, Michelangelo, si ispira alle stampe nordiche, allo sfumato di Leonardo, alla luce e colore di Correggio e Barocci.
Si forma così, tra 1585 e 90 la sua «bella e leggiadra maniera», testimoniata dalla Deposizione del Museo del Cenacolo di San Salvi (non esposta), la Madonna che insegna a leggere al Bambino, la Sacra Famiglia.
Nel 1590 il Cigoli ha una ricercata bottega con allievi come Cristofano Allori e Bilivert e lavora per i Medici.
Dipinti come la spettacolare Lapidazione di S. Stefano del 1597, le Maddalene, i S. Francesco, con i sottili e vibranti paesaggi, la dicono tutta su quei barocco fiorentino, che mescola gestualità e disegno con luce, atmosfera.
E’ un momento importante per il pittore, che diventa membro dell’Accademia Fiorentina e della Crusca, lavora a grandi imprese medicee, tra amici come Galileo e Michelangelo Buonarroti il Giovane.
Considerato uno dei migliori artisti, tra 1604 e 1613, si divideva tra Firenze e Roma, dove trasforma la «leggiadra maniera» in stile «sublime» con capolavori come l’Ecce homo, o la Fuga in Egitto di Montpellier, che tradisce, nella pennellata decisa e veloce, l’assimilazione di Rubens.

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