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Michelangelo in tribunale

Da: Stampa Sera,

Mercoledì 22 Giugno 1949

Le vicende della “Pietà Rondanini”, e della contesa giudiziaria tra i conti di San Severino – Critiche al perito che ha fissato in soli duecento milioni di lire il valore incalcolabile della scultura del Buonarroti – Un’idea di Miron Taylor.

Accanto alla « Pietà Rondaninl » è l’avvocato Nino Manna,

che si occupa della vertenza giudiziaria circa la vendita

Roma, mercoledì sera.

Michelangelo non ha ancora lasciato le maleodoranti aule del tribunale e vi tornerà tra un mese a discutere o a far discutere della sua ultima « Pietà », quella cosiddetta Rondanini.

E’ un ben triste discutere di milioni e di vendite all’asta quando si tratta di un’opera come questa, che non è possibile valutare seguendo un criterio puramente matematico, anche se la valutazione fa salire le cifre nell’ordine di centinaia di milioni.

Il Toesca era intervenuto nella faccenda con la sua autorità e si era fatto da parte: questa «Pietà» è opera di valore storico e artistico incalcolabile, egli disse in sostanza; non si può determinare una cifra purchessia.

Ma i giudici e le pandette non vanno sempre d’accordo con gli artisti e le loro opere. Il tribunale ha bisogno di cifre, di calcoli il più possibile precisi. Ha bisogno di poter dividere l’indivisibile, come è appunto il caso di questa scultura di Michelangelo.

Le cose stanno dunque così. L’opera passò, insieme al palazzo, dai Rondanini ai conti di San Severino che la custodirono fino a poco tempo fa nella loro casa, al principio del Corso verso piazza del Popolo. Ma la sorte degli antichi palazzi a Roma è segnata.

E pochi sono quelli rimasti alle famiglie che li fondarono. Si contano sulle dita di una mano: i Colonna, i Borghese, i Gaetani, i Ruspoli… Forse si arriverà alle dita dell’altra mano, non di più.

Lunga storia d’eredità

Così, anche il palazzo Rondanini dalle mani dei conti di San Severino è passato a quelle degli azionisti della Banca d’Agricoltura.

E fin qui ogni cosa andò per il meglio. I conti di San Severino, due fratelli e due sorelle, si divisero in quattro parti il ricavato della vendita e tutto sembrava appianato.

In quella lunga storia di eredità la madre dei conti San Severino, principessa Ottavia Rospigliosi, vedova Vimercati, era però riuscita a salvare dell’antico palazzo la scultura del Buonarroti e trasportarla nella nuova casa che si era costruita fuori porta, alla periferia della città, in un quartiere dove allignano gli scherzi architettonici dei nuovi ricchi.

Il conte Lionello, forse a corto di quattrini, ha fatto ora sapere che intende realizzare la sua parte di Buonarroti in sonanti milioni. E a nulla sono valse le preghiere delle, due sorelle e del conte Ottavio e quelle della vecchia principessa.

Lionello ha mantenuto fermo il suo punto, e di qui è nata la vertenza. Come si fa però a stabilire il valore di un’opera d’arte

Su questo punto il perito del tribunale ai Roma, il prof. Giuseppe Piccolo, dell’accademia di Belle Arti, ha scritto un trattatello di 55 fitte paginette, nelle quali in sostanza rifà la storia minuta delle vicissitudini dell’opera d’arte, per concludere alla maniera che già aveva concluso il Toesca: non è facile cioè valutare in milioni un’opera d’arte.

Tuttavia, siccome si doveva arrivare a una conclusione, il critico d’arte vi è arrivato per comparazione.

La terza «Pietà» dello stesso Michelangelo, quella che va sotto il nome di «Palestrina» fu acquistata dal sen. Gaslini nel 1959 per cinque milioni, e successivamente donata allo Stato, e anche cinque milioni fu pagata dallo Stato al principe Giovannelli la «Tempesta»  del Giorgione.

Sicché il prof. Piccolo ha tratto da queste vendite motivo per valutare la quarta e ultima «Pietà» di Michelangelo nella cifra tonda di 200 milioni.

Ma il conte Lionello non s’è appagato.

Chiamato in causa il Piccolo spiega: egli non si è attenuto a un criterio puramente matematico, ma si è voluto riferire, nel determinare il prezzo base, alle eventuali oscillazioni del mercato economico attuale e per facilitare le eventuali trattative di vendita.

La vendita all’incanto

Le cose stanno dunque a questo punto. Anzitutto il tribunale fra un mese sarà chiamato a giudicare se la scultura di Michelangelo può essere venduta, nonostante il parere contrario di tre dei quattro proprietari (ma su questa parte difficilmente il tribunale potrà dar ragione al conte Ottavio e torto a Lionello: trattandosi infatti di « proprietà indivisibile», e essendo il tribunale chiamato a «dividerla», non può che farlo col solo mezzo che ha a sua disposizione e cioè autorizzandone la vendita).

Fissato questo punto basilare, verranno poi indicate le modalità della vendita all’incanto e il prezzo base, cioè se esso debba essere di 200 o 250 milioni. Naturalmente, poi, si dovranno fare i conti con lo Stato, che intende valersi del suo diritto di prelazione.

A meno che Myron Taylor non riesca a portare a compimento una sua idea: fare acquistare cioè l’opera mediante una sottoscrizione in America e donarla alla chiesa di S. Eugenio, per il tempio che sta sorgendo in onore del vivente Pontefice presso la Flaminia.

E forse l’ ammonimento di quella scultura, appena abbozzata, può valere a fermare la mano di qualche scultore invasato dal novecentismo e dal cubismo.

Si è visto infatti, anche di recente, che quegli scultori non si fermano neanche dinanzi alle nostre chiese.


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