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San Sebastiano

La storia per immagini

 

di Paolo Pianigiani

 

da: Reality, n. 75, Gennaio 2015

 

Predella del Tabernacolo di San Sebastiano, Museo della Collegiata di Empoli

 

La bottega fiorentina dei Botticini, fondata da Francesco (1446-1497) e continuata dal figlio Raffaello, fu a più riprese attiva nel contado, lasciando alcune opere di particolare rilievo nelle chiese intorno a Firenze.

Francesco era stato allievo di Neri Di Bicci, e nei suoi lavori riprendeva spesso la maniera da altri maestri, in particolare dal Botticelli e dal Verrocchio.

A Empoli fu chiamato dai Capacci per dipingere un grande tabernacolo nella cappella di famiglia, nell’allora Pieve di Sant’Andrea di Empoli, dedicato a San Sebastiano.

Fu un lavoro importante, che vide anche l’intervento dello scultore Antonio Rossellino, che realizzò Ia scultura in marmo collocata al centro, fra i due angeli splendidamente dipinti.

Nella predella, al di sotto della scena principale, il Botticini dipinse la storia del Santo, con un taglio quasi cinematografico, in  quattro scene particolarmente vivaci.

Sebastiano era nato a Milano da padre francese (di Narbona) e da madre milanese.

Convertitosi in giovane età, scelse la carriera militare per poter aiutare i cristiani, durante la persecuzione di Diocleziano, avvenuta intorno al 300 d.C.

Trasferitosi a Roma, fece subito carriera, raggiungendo i pie alti gradini dell’esercito imperiale, fino ad arrivare a quello di capo della guardia scelta dell’imperatore.

Approfittando del suo ruolo, poteva impunemente confortare i martiri e provvedere alla loro sepoltura.

Due fratelli gemelli, Marco e Marcelliano, erano stati arrestati perché non volevano abiurare la loro fede e il padre Tranquillino aveva ottenuto una proroga di 30 giorni prima dell’esecuzione, sperando di convincerli a cambiare idea e a salvare la pelle. Intervenne anche la madre, con le mogli e i figli al seguito.

Quando stavano per cedere, intervenne Sebastiano, qui dipinto con la sua divisa di capo della guardie imperiali, rossa con bordi di ermellino, a convincerli della bellezza del martirio e a rafforzarli nella loro fede.

Uscito così allo scoperto, fu arrestato e portato al cospetto dell’imperatore che lo condannò immediatamente a morte, per mano dei suoi stessi soldati.

Legato a una colonna, venne trafitto dalle frecce e abbandonato come morto in aperta campagna.

Ma Sebastiano, recuperato ancora in vita da una matrona romana di nome Irene, tornò ben presto in piedi e, anziché sparire prudentemente dalla circolazione, pensò bene di tornare dal suo imperatore per convincerlo a cambiare atteggiamento verso i cristiani.

Questa volta Diocleziano, per levarselo di torno, lo fece ammazzare a colpi di mazza e gettare nel Tevere.

Questa a la vicenda terrena di San Sebastiano, patrono dei vigili urbani, degli arcieri e per conseguenza ultima dei produttori di spilli.

Nello svolgersi della quattro scene dipinte, rimane da notare il cagnolino bianco sempre presente ai fatti, e la presenza della Colonna di Traiano, che riporta immediatamente a Roma lo svolgersi dei fatti.

Da notare anche la citazione diretta del balestriere posto alla sinistra nella scena centrale, che ricarica l’arma infilando il piede nell’apposita staffa, simile ai due, celeberrimi, messi dal Pollaiolo nel suo Martirio di San Sebastiano, oggi a Londra, ma dipinto per la chiesa della S.S. Annunziata di Firenze nel 1475.

Piacque moltissimo agli empolesi l’opera di “Cecco da Firenze”, tanto da richiamarlo in Pieve per dipingere il grande Tabernacolo dell’ Altar Maggiore, con i santi patroni Giovanni e Andrea.

Questa volta senza scultura di marmo, ma con un bel ciborio, di cui però, si è persa per sempre ogni traccia.

 


 

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