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La manica degli angeli

di Paolo Pianigiani

 

 Reality, n. 34, anno VIII

 

Ferdinando Folchi: Affreschi sul soffitto della Cappella Ricci, Collegiata di Empoli

 

E’ dal 1998, data del restauro, che si parla dell’autore del ciclo di affreschi dipinto sul soffitto della Cappella del Crocifisso, nella Collegiata di Empoli, senza che si sia fino ad oggi raggiunta la certezza concorde e definitiva sul suo nome.

Forse questo articolo può portare un contributo alla soluzione da tempo attesa.

Ma vediamo prima cosa è stato detto su questo affresco in precedenti pubblicazioni.
Il primo che parla della cappella del SS. Crocifisso, è Don Gennaro Bucchi, Proposto a Empoli dal 1887, empolese e autore di una piccola guida illustrata di Empoli, edita a Firenze nel 1916 dalla Tipografia Domenicana.

Preciso e quasi pignolo in altre parti della sua guida, davvero documentata e anche spiritosa (è citatissimo il Neri con la sua Presa di S. Miniato), quando parla degli affreschi della cappella del Crocifisso diventa estremamente sbrigativo.

Parla dell’intervento di due autori: Domenico del Podestà e Antonio Luzzi Ticciati di Figline, che per primi dipinsero a fresco la volta.

“Sbiadite queste pitture,” ci racconta il Bucchi, “Luigi Giarrè fiorentino vi dipinse il Padre Eterno con altre figure. In seguito furono fatti altri dipinti.”

E’ di difficile comprensione come il Bucchi, empolese e Proposto della Collegiata dal 1887, avendo a disposizione gli archivi e i ricordi personali, non abbia potuto essere più preciso. Per esempio…quali altri dipinti?

In effetti del Padre Eterno si è perduta ogni traccia ed è diverso l’argomento di cui si parla nel nostro affresco.

Consultando cataloghi specializzati come il Comanducci e il Bolaffi, che di solito riportano notizie sui pittori fra il 1700 e il 1800, non ho trovato informazioni su Luigi Giarrè. Nemmeno il monumentale e completissimo Thième – Becker riporta questo nome.

I Giarrè citati sono altri quattro: Filippo e Domenico, rispettivamente figlio e padre, attivi nel ‘700, che furono fra i decoratori del teatro della Pergola, a Firenze.
Pietro e Raimondo anche loro padre e figlio.

Di Luigi Giarrè ho trovato un’unica citazione negli archivi della Accademia di Firenze, quale vincitore del primo premio di disegno il 14 aprile del 1787 (al secondo posto, su cinque concorrenti, si era classificato Domenico del Podestà, autore delle due tele presenti nella cappella del Crocifisso).

Cercando sue opere nel circondario fiorentino e della Toscana, però, non ho trovato nulla, anche se ci viene definito nelle carte del Libro dei Partiti della Compagnia del SS. Crocifisso, quando si parla di lui come pittore scelto per affrescare la volta, come “uomo di abilità, e celebre per le imprese da lui eseguite.”

Venendo a studi più recenti, nel 1994 Walfredo Siemoni nel suo intervento all’interno del “Sant’Andrea a Empoli”, edito dalla Cassa di Risparmio di Firenze per i tipi della Giunti, nel capitolo dedicato ai “Progetti, restauri e interventi (1815 -1863)”, indica in Ferdinando Folchi l’autore dell’ennesima affrescatura della volta della cappella del Crocifisso, oltre che delle tre Virtù dell’Oratorio del S.S. Sacramento e del S. Andrea nel Coro.

Tale attribuzione viene documentata dalla citazione testuale delle delibere della Compagnia del SS.Crocifisso, del giorno 11 agosto 1862.

Lo stesso Siemoni, nella sua “Chiese, Cappelle, Oratori del territorio Empolese”, edita dall’Associazione Turistica Pro Empoli nel novembre 1997, a proposito degli affreschi della volta della Cappella in questione, parla di “… tracce del ciclo dipinto da Egisto Feroni (1835-1912) nel 1862.”

In una guida della nostra città, “Empoli, una città e il suo territorio”, S. Croce sull’Arno 1997, a cura di W. Siemoni e M. Frati, si ritorna indietro, ancora a Luigi Giarrè, che cambia cittadinanza e diventa livornese, quale autore dei nostri affreschi.

Nel “Segno di Empoli” del mese di settembre del 1998, da cui questa prima parte del presente articolo è ripreso, viene dal sottoscritto ritenuta plausibile l’attribuzione a Ferdinando Folchi, ribadita peraltro in un suo intervento perentorio nello stesso numero del Segno, da Walfredo Siemoni, che ne rivendica (giustamente, almeno per l’attribuzione del ‘94) la prima paternità.

In seguito, grazie alla disponibilità di Monsignor Cavini, ho avuto la possibilità di esaminare l’ottimo lavoro di Don Guido Engels, che ha trascritto dai Partiti della Compagnia del S.S. Crocifisso le parti relative ai nostri affreschi.

Letto nel contesto, il brano del 11 agosto 1862 sul quale si basavano le precedenti certezze documentaristiche, veniva un po’ sminuito nel suo valore storico. Il giorno 11 agosto 1862 viene infatti registrato:

“Quindi alla suddetta Commissione, sempre però sotto la direzione del prelodato Mazzantini, viene ordinato di far eseguire, oltre tutti gli altri lavori già nominati nella precedente Deliberazione, anche la Cupola della Cappella a figure, e ciò per mano del Pittore Folchi, e quindi tutti gli altri lavori consequenziali e necessari alla ridetta Cappella, e ciò con voti tutti favorevoli.”

Andando a leggere la Deliberazione precedente, che risulta essere quella del 14 gennaio sempre del 1862, si viene a sapere che era stata costituita una commissione composta da vari personaggi, con il seguente compito: “affinché la medesima presieda e diriga il ripulimento della Cappella, l’accomodatura, l’accomodatura dell’ impiantito e la doratura di rame corniro, e quant’altro occorre , etc…”

Di “ripulitura e accomodatura” si parla, e non di affrescatura.

Nel caso dell’ intervento del Giarrè, negli anni 1809 e 1810, si parlò in modo esplicito di “ridipintura” e venne definita anche la cifra del compenso, nella misura di quaranta zecchini, poi diventati 46.
Addirittura per il Ticciati, il 5 luglio 1795, si parla esplicitamente di: “demolire e stonacare ciò che vi è di stucchi resi ormai poco decorosi, e di poter intonacare e dipingere a architettura e figure…”

Pertanto mi sembrava diminuita nel suo valore la frase relativa al Folchi, potendosi essa riferire solo a ininfluenti lavori di ripulitura degli affreschi del Giarrè (unico pittore di cui in precedenza parlano le fonti).

Certo qualche dubbio mi era rimasto, per esempio il soggetto della pittura del Giarrè, a sentire il Bucchi, doveva comprendere anche il Padreterno, che invece era sparito, e comunque rimanevano inquietanti le somiglianze fra gli angiolini della nostra cappella e quello della cupola del SS. Sacramento, che risulta di mano certa del Folchi.

In ogni caso la probabile attribuzione poteva oscillare solo fra due nomi: o il Giarrè (1809) o il Folchi (1862).

Nel corso del 1999, in occasione dei festeggiamenti per il VI centenario del SS. Crocifisso (1399 – 1999), usciva per i tipi della tipografia ABC di Firenze una pubblicazione a cura della Collegiata di S. Andrea di Empoli.

In questo libro si stabilisce che l’autore dell’affresco è senz’altro da identificarsi in Luigi Giarrè, che ci viene descritto, nel bell’articolo di Luigi Testaferrata, mentre dipinge leggendo testi sacri, in cerca di ispirazione, fra i palchi innalzati fino al soffitto nella Cappella del Crocifisso. Nel Febbraio del 2000 nella pubblicazione “Empoli, il Valdarno inferiore e la Valdelsa” edita da Mondadori e dalla Regione Toscana, nella serie “I luoghi della fede”, la cupolina degli angeli è nuovamente attribuita a Luigi Giarrè.

 

Recentemente, trovandomi a Pontassieve, presso Firenze, mi sono ricordato che da quelle parti aveva lavorato il Folchi e sono andato alla ricerca dei suoi affreschi.

Quelli di cui avevo notizia, nella chiesa di San Michele Arcangelo che si trova nella piazza principale del Comune, sono scomparsi a seguito di restauri; ma nella sala consiliare di palazzo Sansoni-Trombetta (sede del Municipio) ho trovato, appena usciti dal restauro, quelli relativi alla storia degli atti eroici di sette donne famose, di mano certa e documentata di Ferdinando Folchi, dipinti quando Firenze era Capitale del Regno, intorno al 1865-70.

Ho subito respirato “aria di casa”: i colori, la posizione di alcune figure, i volti richiamano direttamente i nostri angeli.

In particolare la figura posta a sinistra dell’affresco centrale, dominato dallo stemma della famiglia Trombetta, riprende direttamente sia l’angelo che abbraccia la colonna, che si trova a sinistra nella nostra cupola, e, nel volto, quello sopra l’ingresso, affiancato dal gallo.

 

 

La figura simboleggia la Grecia (nel periodo in cui è stata dipinta, sotto la dominazione ottomana), ed è dipinta in atteggiamento pensieroso mentre abbraccia una statua della dea Minerva e guarda con ammirazione l’altra figura che le sta accanto, una trionfante Italia turrita che impugna il tricolore dei Savoia, simbolo della ritrovata unità.

La Grecia era la terra di origine della famiglia Trombetta (ricchi banchieri, che acquistarono l’attuale sede del Comune nell’Ottocento, che in seguito si imparenteranno con i Sansoni di Livorno), e sullo sfondo compare l’isola di Corfù dalla quale provenivano.

Il particolare che è assolutamente identico e, almeno per me, dice la parola fine sulla pluriennale diatriba relativa all’attribuzione, è la manica di questa figura, o, per meglio dire la parte della veste che ricopre la spalla sinistra.

Confrontando le due figure, peraltro quasi uguali anche nell’impostazione del corpo, risulta a mio parere evidente l’identità del loro autore.
Altre somiglianze sono individuabili in altre parti dei due affreschi.

Pertanto, secondo me, l’affresco degli angeli della cappella del Crocifisso del mandorlo è da riconoscere a tutti gli effetti a Ferdinando Folchi, che dimostra capacità e sensibilità pittoriche non comuni, per rimanendo nell’ambito della tradizione storico religiosa tipica della pittura accademica ottocentesca.

 


 

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