Donatello
Donato di Niccolo di Betto Bardi
(Florence, 1386 o 1387 – Florence, 13 Dic, 1466).
di Charles Avery
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(Traduzione e adattamento per il web a cura di Paolo Pianigiani dall’originale inglese)
Fu lo scultore fiorentino più fantasioso e versatile del primo Rinascimento, famoso per la sua resa del carattere umano e per le sue narrazioni drammatiche. Raggiunse questi obiettivi studiando l’antica scultura romana e amalgamando le sue idee con un’osservazione acuta e comprensiva della vita quotidiana.
Insieme ad Alberti, Brunelleschi, Masaccio e Uccello, Donatello creò lo stile rinascimentale italiano, che introdusse a Roma, Siena e Padova in varie fasi della sua carriera. Fu longevo e prolifico: tra il 1401 e il 1461 si contano 400 riferimenti documentari su di lui, alcuni quasi ogni anno.
Tuttavia, non esiste una biografia contemporanea, e il primo racconto, nelle Vite del Vasari (1550), è confuso.
Vita e lavoro
Formazione e primi lavori, prima del 1409
La prima testimonianza della carriera artistica di Donatello risale all’apprendistato presso Lorenzo Ghiberti tra il 1404 e il 1407, quando quest’ultimo era impegnato nella preparazione dei modelli per i rilievi bronzei delle porte nord del Battistero di Firenze.
Questo gli avrebbe permesso di entrare a contatto con il disegno tardogotico praticato dal Ghiberti e con le tecniche di modellazione in cera e argilla, in preparazione alla fusione in bronzo.
Tuttavia, Ghiberti non era un intagliatore di marmo e Donatello deve aver acquisito questa abilità altrove, probabilmente nelle fiorenti botteghe del Duomo di Firenze, dove si trovano le sue prime sculture documentate, due piccole statue marmoree di Profeti per la Porta della Mandorla (1406).
Due anni dopo, nel 1408, Donatello fu incaricato di scolpire una statua di marmo a grandezza naturale del David (Firenze, Bargello) per coronare uno dei contrafforti della cattedrale. Questa fu la sua prima statua importante e ci vollero diversi anni per scolpirla.
Non fu mai eretto sul contrafforte, ma fu acquistato nel 1416 dal Comune di Firenze per essere esposto come emblema civico nel Palazzo della Signoria, un segno del precoce riconoscimento del talento di Donatello. Era dipinta, dorata e posta su un piedistallo intarsiato con mosaico e doveva avere un aspetto altamente ornamentale. Questo avrebbe fatto appello al gusto allora corrente per l’arte tardo gotica.
Ogni traccia di colore è andata perduta e la statua appare piuttosto insipida. La sua caratteristica più notevole è la testa di Golia che giace ai piedi di Davide: è scolpita con grande sicurezza e rivela l’interesse genuinamente rinascimentale del giovane scultore per un tipo di testa matura e barbuta dell’antica Roma.
Sempre nel 1408, Donatello fu il più giovane dei quattro scultori a ricevere l’incarico di scolpire una figura di Evangelista seduto a grandezza naturale per ciascuna delle quattro nicchie che fiancheggiano il grande portale occidentale del Duomo di Firenze.
Il suo San Giovanni Evangelista (Firenze, Mus. Opera Duomo) richiese fino al 1415 per essere terminato, forse perché scelse di essere pioniere di un nuovo stile di massimo realismo e impatto psicologico.
Le ampie fasce di panneggio nella toga dell’Evangelista fungono da complemento per le mani ingrandite e rilassate e per la nobile testa barbuta. Donatello distorse anche deliberatamente le proporzioni della figura per compensare gli effetti dello scorcio, quando era vista dal basso dai passanti, un espediente molto sofisticato.
Il busto è innaturalmente allungato e sembra instabile se visto dritto (come in molte delle fotografie standard), ma ha un solido aspetto piramidale quando si adotta un punto di vista più basso, corrispondente a quello di un osservatore quando la statua era nella sua nicchia originale.
Giovanni Pisano aveva fatto le teste dei suoi Profeti (dopo il 1284) per la facciata del Duomo di Siena sporgeva in avanti in modo pronunciato, per renderli più visibili dal basso, ma non ne modificò le proporzioni.
Donatello era profondamente consapevole delle impostazioni di tutte le sue statue, e questa può essere considerata una tendenza rinascimentale. Secondo Vasari, si suppone che Donatello abbia anche scolpito e dipinto in questa fase iniziale della sua carriera un Crocifisso ligneo per Santa Croce, Firenze (in situ), ma la sua attribuzione non è più universalmente accettata.
Firenze, Pisa e Roma, 1409-42
Statuaria e ritrattistica
Nel 1411, mentre era ancora impegnato nella realizzazione del San Giovanni, Donatello fu incaricato dall’Arte dei Linaioli di scolpire un Evangelista diverso, questa volta in piedi, per la loro nicchia nel salone della corporazione di Orsanmichele.
La ponderazione della statua di San Marco risultante (marmo, 1411-13; in situ), che gli conferisce un’aria di autorità, deriva dalle antiche figure romane dei senatori: la gamba portante è sottolineata da pieghe parallele di panneggi (come i flauti di una colonna classica) ed è nettamente differenziata dalla gamba rilassata, di cui si intravede solo il ginocchio attraverso le spesse rughe della toga.
Il santo poggia su un cuscino, un’idea del tutto irrealistica, ma che permetteva a Donatello di indicare il peso della figura attraverso le rientranze praticate dai piedi.
Il cuscino potrebbe anche essersi riferito ai prodotti della corporazione tessile che ha commissionato la statua. Un radicale contrasto di stile può essere notato tra il San Marco di Donatello, completamente rinascimentale, e la statua in bronzo di San Giovanni Battista (1412) contemporanea, ma ancora molto gotica, di Ghiberti in una nicchia vicina.
Firenze, Orsanmichele, San Giorgio di Donatello,
marmo, 1414 circa (Firenze, Museo Nazionale del Bargello); credito fotografico: Erich Lessing
Poco dopo, forse intorno al 1414, l’Arte dei Corazzai ordinò a Donatello una statua marmorea per Orsanmichele del loro patrono, San Giorgio (Firenze, Bargello), cavaliere in armatura e quindi una pubblicità per le loro mercanzie. Questa è sempre stata una delle statue più ammirate di Donatello. Lo scultore superò un problema difficile, poiché le armature metalliche inflessibili non gli permettevano di esprimere i potenziali movimenti degli arti e del corpo all’interno.
Donatello non poteva che usare la posa per alludere a loro: San Giorgio è in equilibrio sulle punte dei piedi. Altrimenti Donatello poteva esprimere l’emozione solo nel volto e nelle mani, sporgenti dall’armatura.
Nel pugno destro chiuso un foro indica che il cavaliere un tempo impugnava un’arma, probabilmente una spada in metallo dorato, poiché sarebbe stato impossibile intagliarla nel marmo.
«Nel capo», scriveva il Vasari, «si vede la bellezza della giovinezza, il coraggio e il valore nelle armi, e un ardore fiero e terribile; e c’è una meravigliosa suggestione di vita che sgorga dalla pietra.”
Il successo delle statue di San Marco e San Giorgio spinse il partito guelfo a commissionare a Donatello una ancora più ambiziosa del loro patrono, San Luigi di Tolosa.
La statua (ca. 1418-22; Opera Santa Croce) è in bronzo dorato, il materiale scultoreo più glamour e più costoso. Per affrontare questa complessa sfida tecnica, Donatello si avvalse dell’assistenza esperta di Michelozzo, un esperto di metallurgia, che fino ad allora aveva collaborato con Ghiberti.
Il panneggio increspato del voluminoso piviale dona vivacità a quella che altrimenti sarebbe stata una figura piuttosto insipida di un giovane vescovo: la figura doveva essere così grande che, per motivi tecnici, il piviale doveva essere modellato, e poi fuso e dorato, in più sezioni separate.
Questo deve aver ispirato l’artista a dargli una vita propria. Anche i guanti, la mitra e il pastorale, persino il viso, sono stati realizzati separatamente e fissati insieme su un’armatura di ferro all’interno della figura. Il capolavoro dalle dorature sfavillanti fu installato in una nicchia rinascimentale brunelleschiana di Orsanmichele nel 1422.
Verso la fine del 1415 Donatello iniziò a lavorare su due statue marmoree di Profeti a grandezza naturale – Geremia e Abacuc – per alcune nicchie in alto sul Campanile di Giotto. (Gli originali, segnati da secoli di esposizione, sono ora nel Museo dell’Opera del Duomo e sono stati sostituiti con copie moderne sul Campanile.)
Queste statue furono le prime di tutta una serie, la cui esecuzione durò fino alla fine degli anni 1430; Per motivi di velocità, alcuni sono stati scolpiti in collaborazione con altri scultori.
Dovevano essere visti in alto sopra il livello degli occhi, quindi i loro lineamenti e i loro panneggi dovevano essere audacemente cesellati, ma i loro movimenti erano limitati dalle strette forme a lancetta delle nicchie preesistenti.
Donatello raccolse questa sfida adattando al diverso mezzo del marmo le forme plastiche dei panneggi che aveva dovuto modellare in cera o in creta per il suo San Luigi; mani nodose e volti avvizziti – alcuni piuttosto orribili, ma tanto più commoventi – esprimono il pathos di questi profeti dell’Antico Testamento, i cui messaggi furono raramente ascoltati.
Le loro teste sembrano ritratti. Sono chiaramente in debito con i busti e le statue degli antenati dell’antica Roma, ma sono ulteriormente ravvivati dalla fertile immaginazione di Donatello e dall’osservazione minuziosa dei suoi simili.
L’interesse di Donatello per i busti romani antichi è dimostrato da un reliquiario in bronzo dorato per la testa del martire paleocristiano San Rossore (Pisa, Mus. N. S. Matteo), reliquia giunta ai frati di Ognissanti a Firenze nel 1422.
San Rossore (noto anche come San Lussorio o Lussurgiu) fu un soldato che fu decapitato sotto l’imperatore romano Diocleziano; quindi la scelta di Donatello della classica forma del busto usata dai romani per commemorare i loro antenati è stata particolarmente appropriata. Questa forma era sopravvissuta nel Medioevo come contenitore per le reliquie della testa, ma i volti tendevano ad essere puramente simbolici.
Donatello, al contrario, dotò il suo santo di fattezze realistiche, anche se immaginarie, e, con la fronte aggrottata, di un’espressione di intensa inquietudine consona a una vittima di esecuzione. Questo è il primo esempio databile di una rinascita del tipo romano di busto realistico.
Altri due busti non datati e non documentati sono generalmente associati a Donatello: uno in bronzo, come il San Rossore, mostra un bel giovane in veste classica, con un cammeo (il cui originale era di proprietà dei Medici) al collo (Firenze, Bargello).
È molto simile alla statua in bronzo del David (Firenze, Bargello) che lo scultore realizzò più tardi nella sua carriera per Cosimo I de’ Medici e ha simili sfumature neoplatoniche (vedi §I, 4 sotto).
L’altro busto, modellato in terracotta e dipinto in modo realistico (Firenze, Bargello), potrebbe rappresentare il patrizio Niccolò da Uzzano (1359-1431). La sua identificazione e attribuzione sono ancora dibattute. L’ipotesi più recente è che Desiderio da Settignano ne sia stato responsabile.
La maggior parte degli studiosi sostiene ancora un’attribuzione a Donatello. La pulitura ha rivelato l’alta qualità della sua modellazione e verniciatura. Resta incerto se l’artista abbia ritratto il soggetto dal vero, o dopo la sua morte, utilizzando una maschera calcata dal volto e poi rivitalizzata ritoccando l’argilla prima che si solidificasse definitivamente.
In entrambi i casi, si tratta probabilmente del primo vero busto ritratto del Rinascimento, antecedente di un considerevole numero di anni a quello di Piero de’ Medici di Mino da Fiesole (1453; Firenze, Bargello), spesso rivendicato come il primo.
È più probabile che il merito di una reinvenzione così significativa vada a un artista di calibro maggiore di Mino e che si verifichi in una data precedente alla metà del secolo, quando il Rinascimento era già ben avviato.
La ritrattistica fu anche il principale contributo personale di Donatello a una commissione che intraprese nel sec. 1424 insieme a Michelozzo (allora suo socio in affari): la tomba monumentale di Baldassarre Coscia, l’Antipapa Giovanni XXIII (†1419; Firenze, Battistero). Donatello stesso deve essere stato responsabile della resa nobilitata del volto carnoso e consumato e del complesso panneggio dell’effigie, che è stata fusa, come il San Luigi, in bronzo e poi dorata.
Il progetto del monumento murale, che fu inserito tra due delle colonne romane che sostenevano il Battistero, è una prima manifestazione dell’architettura rinascimentale ed è probabilmente un’opera congiunta, poiché Michelozzo era il più attento all’architettura (anche se il coinvolgimento personale di Donatello con l’architettura risale al 1419, quando presentò un modello senza successo al concorso per la cupola del Duomo di Firenze). L’intaglio dei componenti marmorei della tomba dell’Antipapa fu delegata ai loro assistenti.
L’armoniosa composizione dei vari elementi, come l’effige su una bara, il sarcofago, la Vergine col Bambino nella lunetta sovrastante e la divisione dello sfondo in pannelli, ispireranno tutti i principali monumenti tombali del XV secolo in Toscana e a Roma, che sono stati collettivamente chiamati “la tomba umanista” (Pope-Hennessy). Donatello fu così coinvolto in un’altra grande innovazione nella scultura e nell’architettura rinascimentale.
La più enigmatica delle sculture di Donatello, sia nel trattamento che nella datazione – perché è assolutamente non documentata – è il David in bronzo quasi nudo (Firenze, Bargello), che si ergeva su un piedistallo ornamentale al centro del cortile appena costruito del palazzo mediceo.
Recentemente, è stato proposto che, piuttosto che datare dopo Padova, il David sia stato commissionato nel sec. 1435-40 per l’antico Palazzo Mediceo e trasferito nel cortile del nuovo costruito da Michelozzo.
Lì era al centro di un complesso schema intellettuale che comprendeva otto dei grandi medaglioni marmorei che decorano le pareti del cortile, sopra il porticato. Si tratta di ingrandimenti di importanti gemme antiche, la maggior parte delle quali erano di proprietà dei Medici, ma il loro significato è oscuro.
È stato suggerito che la nudità e la sensualità del giovane Davide, così come alcuni dettagli sorprendenti del suo costume, nessuno dei quali è derivato dalla storia biblica, possano derivare da un’interpretazione filosofica neoplatonica di Davide come allegoria dell’amore celeste (Ames-Lewis). (Cosimo fu il fondatore dell’Accademia Neoplatonica di Firenze.)
Rilievi narrativi
Una volta acquisita la padronanza dell’arte di modellare le scene in rilievo nella bottega del Ghiberti, Donatello applicò queste conoscenze a diverse committenze minori, come ad esempio alcuni fregi decorativi dorati delle antiche case dei Medici, citati dal Vasari, e probabilmente alcune rappresentazioni della Vergine col Bambino, che erano un requisito della camera da letto principale nelle residenze rinascimentali e un prodotto base delle botteghe degli scultori.
Solo nel 1417, però, si ha un riferimento documentario a un rilievo in luogo pubblico, raffigurante San Giorgio e il drago (Firenze, Bargello), scolpito in marmo sull’architrave ai piedi della nicchia per la sua statua di San Giorgio a Orsanmichele.
È la prima manifestazione dell’interesse di Donatello per una forma di intaglio a rilievo estremamente superficiale (It. rilievo schiacciato) che era più strettamente legato all’arte grafica che alla scultura (vedi §II sotto).
Anni di agenti atmosferici hanno mascherato l’originale sottigliezza dell’intaglio del rilievo, ma le colline che si ritirano e gli alberi battuti dal vento sullo sfondo possono ancora essere distorti. La prospettiva lineare è stata utilizzata anche per implicare la profondità nell’arcata cieca a destra.
La successiva tavola marmorea databile, l’Assunzione della Vergine (Napoli, S. Angelo a Nilo), si trova sulla tomba del cardinale Rinaldo Brancacci (morto nel 1427), scolpita da Donatello e Michelozzo a Pisa e inviata a Napoli. In esso Donatello appiattiva il rilievo di tutte le figure, anche della Vergine in trono centrale, le cui ginocchia teoricamente sporgenti doveva oscillare lateralmente.
Durante il soggiorno a Pisa, Donatello fu in stretto contatto con il pittore Masaccio: la loro opera dal sec. Il 1426 – in particolare diverse Madonne – riflette influenze reciproche. Il più masaccesco di tutti i rilievi superficiali di Donatello è il bel pannello di marmo (Londra, V&A) che combina due episodi ben distinti del Nuovo Testamento, l’Ascensione e Cristo che consegna le chiavi a San Pietro.
Sebbene sia stato registrato nel 1492 in un inventario degli effetti di Lorenzo il Magnifico in Palazzo Medici, la sua storia precedente è sconosciuta.
È generalmente datato agli anni ’20 del Quattrocento perché è composto in un certo senso che ricorda l’affresco di Masaccio del Tributo nella Cappella Brancacci, con un semicerchio di Apostoli che circondano il Salvatore.
Sia la scultura che l’affresco sono popolati dalle stesse figure profondamente serie, modellate in modo impressionante e caratterizzate individualmente. In contrasto con le consuete rappresentazioni idealizzate della Vergine, che la ritraggono ancora giovane, non macchiata dal peccato, Donatello osò mostrarla come una vecchia contadina avvizzita e dalle mani ruvide, come poteva apparire realmente quando il figlio aveva circa 30 anni.
Le teste degli Apostoli, in particolare di San Pietro, sono abilmente scavate nel marmo su piccola scala con sorprendente sicurezza e libertà. Lontane città murate, cime di colline e file di alberi che si allontanano sono graffiate nei piani posteriori così abilmente che la loro stessa abbozzatura aiuta a suggerire la distanza, creando un effetto che viene definito prospettiva “aerea” (distinta dai mezzi lineari).
Donatello: Banchetto di Erode, rilievo in bronzo dorato, 1423-5,
particolare dal fonte battesimale (Duomo di Siena)
Di molti altri rilievi marmorei della stessa tecnica attribuiti a Donatello, il più interessante è il Banchetto di Erode (Lille, Mus. B.-A.). Il suo soggetto è lo stesso del primo rilievo bronzeo documentato di Donatello (1423-5), realizzato per il parapetto del fonte battesimale del battistero del Duomo di Siena, ma il trattamento è molto diverso.
Il rilievo marmoreo è notevole per la sua complicata ambientazione architettonica: il vasto palazzo di Erode è disposto correttamente in prospettiva sulla superficie del pannello di marmo, ma l’episodio principale è diminuito sia in scala che in impatto.
La dimensione delle figure in primo piano – un terzo dell’altezza del campo totale – e diverse altre caratteristiche tecniche corrispondono strettamente alle istruzioni di Alberti per creare un quadro ideale, e questa sembra essere una dimostrazione deliberata da parte di Donatello di come questa teoria potesse essere messa in pratica.
Nella tavola bronzea senese, il dramma è assistito a fuoco ravvicinato grazie all’uso da parte di Donatello di un punto di vista per il suo schema prospettico che è più vicino e più alto del normale.
I caratteri principali sono grandi e pochi, in modo che le loro espressioni possano essere viste chiaramente. La sequenza di arcate, disposte una dietro l’altra verso lo sfondo, crea un effetto di grande spazio, ed è lì che viene raffigurato l’episodio precedente della decapitazione vera e propria.
Donatello: Cantoria, marmo, 1433-9 (Firenze, Museo delle Opere del Duomo);
foto © Francesco Gasparetti
Donatello continuò ad essere molto coinvolto nelle sculture a rilievo negli anni ’30 del Quattrocento: un tabernacolo sacramentale in San Pietro, a Roma, la cui architettura è popolata da angeli e incornicia una scena della Deposizione (ca. 1432); un pulpito esterno con formelle di putti danzanti per la Cattedrale di Prato (commissionato nel 1428, ma ritardato fino al 1438); e un soppalco per l’organo, in seguito trasformato in una Galleria del Canto (Cantoria) per il Duomo di Firenze (1433-9).
Quest’ultima doveva corrispondere a quella già commissionata a Luca della Robbia (1431), mentre Donatello e Michelozzo erano stati a Roma.
Luca aveva scelto logicamente di illustrare i versetti del Salmo 150 con una serie di composizioni chiuse di bambini-musicisti o danzatori su pannelli separati da pilastri, con incisi sopra e sotto i versetti pertinenti del salmo.
Nel pulpito del Duomo di Prato, Donatello aveva usato uno schema simile di pannelli divisi da pilastri, ma tagliando alla vista alcuni degli arti dei suoi ballerini neonati, suggerì che stessero danzando in fila continua dietro l’architettura.
Per la Cantoria di Firenze, ha perseguito ulteriormente questo concetto, e i putti sono scolpiti su due lunghe lastre di marmo, eseguendo due danze continue in cerchio, fisicamente dietro la serie di colonnine accoppiate autoportanti che articolano la struttura.
Lo sfondo e le colonnette sono incrostate di tessere di mosaico per fornire una pellicola colorata per il fregio delle ballerine in marmo bianco. Non viene raffigurato un tema specifico come quello di Luca, ma Donatello stava probabilmente cercando di trasmettere una danza estatica delle anime degli innocenti in paradiso.
Simile nel suo ornamento architettonico alla Galleria del Canto, e anch’esso incastonato nel muro di un edificio, è il Tabernacolo dell’Annunciazione in Santa Croce, a Firenze.
Non è documentato ma costituiva la pala d’altare di una precedente cappella laterale appartenente alla famiglia Cavalcanti. Scolpita in profondo rilievo in arenaria grigia (pietra serena), mostra i due partecipanti a grandezza naturale e quasi a tutto tondo, come in un tableau vivant, su un minuscolo palcoscenico dietro un arco di proscenio.
Per motivi di chiarezza, i dettagli ornamentali dell’architettura e della camera da letto di Maria sono evidenziati in doratura, e la scena è ravvivata da due coppie di bambini dispettosi che barcollano sul cornicione soprastante.
Dopo il completamento da parte di Brunelleschi della Sagrestia Vecchia di S. Lorenzo per i Medici nel 1429, e probabilmente dopo il ritorno di questi mecenati da un breve esilio nel 1433, Donatello creò una serie di rilievi vigorosamente modellati e dipinti a colori vivaci negli otto grandi tondi sulle pareti e sui pennacchi, nonché in due lunette sopra le porte che fiancheggiano il presbiterio.
Non ci sono documenti per loro, né per le coppie di porte gemelle in bronzo, ma poiché dal 1433 al 1443 lo scultore visse e lavorò in un’antica locanda di proprietà dei Medici, per la quale gli fu chiesto solo un affitto simbolico, forse il suo lavoro nel mausoleo di famiglia a S. Lorenzo era dato per scontato e le sue spese coperte da piccoli soldi.
Sulle pareti si vedono i quattro Evangelisti, accompagnati dalle loro bestie simboliche, nei loro studi, come attraverso gli oblò. Donatello in genere rifiutava di idealizzare queste umili persone del Nuovo Testamento, mostrandole invece come vecchi smunti, profondamente assorbiti nello sforzo di scrivere i loro vangeli. Sono incongruamente raffigurati seduti su troni ornamentali e con scrivanie ricoperte di dettagli rinascimentali.
Sui tondi pendenti il tema erano quattro episodi della Vita di San Giovanni Evangelista. Qui Donatello sfruttò tutto ciò che aveva appreso sulla creazione dell’illusione della prospettiva, sia con mezzi lineari che “aerei”.
Diversi dei partecipanti sono mostrati solo in parte, come tagliati dalla circonferenza del tondo, un espediente ardito che implica che le scene proseguano oltre il campo visivo dello spettatore: questo dà un effetto di ‘immediatezza fotografica’ ai drammi miracolosi. La straordinaria libertà con cui le figure sono modellate rivela un vero grande artista all’apice della sua capacità creativa.
Ricorda gli scultori della fine dell’Ottocento o dell’inizio del Novecento come Degas, Rodin o Epstein, i quali godevano tutti della sensazione di vita che viene trasmessa da una modellazione rapida e spontanea, dalla costruzione di un’immagine con materiali duttili e dall’astenersi da qualsiasi tentativo di finitura, che avrebbe avuto la tendenza ad attutire l’effetto.
Donatello vide anche il potenziale per fondere immagini così grezze nel bronzo.
Le porte della Sagrestia Vecchia sono decorate con coppie di figure sante intente a discutere o meditare, e queste sono solo l’inizio di un crescendo di produzione di rilievi narrativi: per l’altare maggiore nella basilica di S. Antonio, Padova (vedi §I, 3 sotto); per le porte ovest del Duomo di Siena (mai fuse); e per i pulpiti gemelli nella navata di S. Lorenzo, Firenze, realizzati alla fine della vita di Donatello (vedi §I, 4 sotto).
Padova, 1443-53
Nel 1443 Donatello lasciò Firenze per Padova, dove rimase per un decennio. La sua prima commissione fu per un Crocifisso in bronzo a grandezza naturale (1441-9) per il paravento della basilica di S. Antonio (il Santo): modellò un corpo maschile maturo fortemente muscoloso, ma idealizzato, che si discosta dai prototipi gotici, che tendevano a sottolineare l’angoscia fisica della crocifissione. Poco dopo, un lascito permise ai frati di progettare un nuovo altare maggiore: purtroppo il capolavoro architettonico e scultoreo di Donatello fu smantellato un secolo dopo, ma la statuaria bronzea sopravvive e lo schema generale sembra riflettersi nella composizione della Pala di Zeno del Mantegna (Verona, S Zeno).
Sotto un tabernacolo aperto di forma ornamentale e classicizzante, con otto colonne e un frontone curvo con volute alle due estremità, erano disposte sette statue di bronzo a grandezza naturale. Una centrale Vergine col Bambino (in una posa insolita che ricorda l’arte locale bizantina) è stata affiancata in una sacra conversazione da sei santi patroni, tra cui i SS Antonio e Francesco. Sono stati modellati e fusi con libertà, e non molto rifiniti, poiché non sarebbero mai stati visibili vicino o in una luce chiara.
A livello della predella di una normale pala d’altare dipinta erano inserite quattro scene rettangolari panoramiche in rilievo raffiguranti i Miracoli di Sant’Antonio. Di fronte a sfondi architettonici romani immaginariamente concepiti, interni o esterni (i cui dettagli sono evidenziati con dorature), Donatello ha radunato gruppi di astanti attoniti attorno alle principali azioni del santo e dei diretti interessati, in un modo che ricorda un moderno regista teatrale.
Tra queste quattro narrazioni erano intervallate dodici formelle con affascinanti Angeli musicanti, e quattro con i Simboli degli Evangelisti e uno del Cristo Morto, mentre sul retro della struttura dell’altare si trovava un grande rilievo della Deposizione, scolpito nella pietra e intarsiato con mosaico e strisce colorate invetriate.
Qui i poteri drammatici di Donatello si sprigionarono in figure di sante donne in delirio che piangevano l’evento. La documentazione completa permette di seguire passo dopo passo questo grande progetto, dando un’idea dell’ampia delega di compiti a cui Donatello dovette ricorrere per portare avanti i lavori fino al completamento entro il 1450.
Donatello: monumento equestre al Gattamelata,
bronzo su base marmorea e pietra, h. 3,4 m, 1447-53 (Padova, Piazza del Santo);
foto © Alonso de Mendoza
L’altra importante commissione padovana di Donatello, di tipo molto diverso, fu la realizzazione di un monumento equestre in bronzo (1447-53) a Erasmo da Narni (1370-1443), detto il Gattamelata, defunto capitano generale dell’esercito veneziano. Questa è la più antica statua equestre sopravvissuta del Rinascimento.
Si trattava di una rinascita di un antico tipo romano noto all’epoca principalmente da Marco Aurelio a Roma.
Sostenere il grande peso dei corpi fittamente fusi del cavallo e del cavaliere su sole quattro zampe era una grande impresa tecnica: Donatello avrebbe voluto avere uno zoccolo anteriore sollevato libero, come nel suo antico prototipo (così come nei Cavalli i S. Marco, Venezia, che erano molto più vicini a Padova), ma non osò.
Invece ripiegò sull’espediente di puntellarlo con una palla di cannone che giaceva convenientemente sul campo di battaglia.
Il generale è brillantemente ritratto e idealizzato come un eroico uomo d’azione, usando un’acconciatura romana corta e il tipo classico di cavallo da guerra leggero. Anche i dettagli della sua armatura ricordano l’antichità, anche se la lunga spada e la palla di cannone riflettono la guerra contemporanea.
Un’immagine che ispirò il Verrocchio, sfidò Leonardo da Vinci e, infine, nell’opera del Giambologna 150 anni dopo, si diffuse in tutte le grandi piazze d’Europa, come simbolo adatto ai monarchi. La fine del soggiorno di Donatello a Padova fu segnata da controversie con molti dei suoi mecenati sul completamento del suo lavoro e sul pagamento.
Era molto richiesto altrove, ma, per tornare nella sua città natale, rifiutò gli inviti dei Gonzaga a Mantova, degli Estensi a Modena e del re Alfonso I di Napoli.
Vecchiaia, 1454-66
Nel 1454 Donatello affittò una casa e un negozio in Piazza del Duomo a Firenze. Forse Cosimo de’ Medici aveva prevalso sul ritorno di Donatello, poiché il suo nuovo grande palazzo era in fase di completamento e necessitava di importanti decorazioni scultoree. Donatello aveva ormai quasi 70 anni e stava diventando malato, anche se il suo spirito e la sua immaginazione erano indomabili.
Si ammalò nel 1456, curato dal suo medico, Giovanni Chellini (di cui si conserva un busto ritratto in marmo di Antonio Rossellino, 1456; Londra, V&A), ricevette al posto di un compenso un insolito tondo in bronzo raffigurante la Vergine col Bambino e angeli (Londra, V&A).
Ciononostante, lo scultore fece ingenti acquisti di materiali per la fusione della statuaria bronzea, un esempio dei quali fu l’appassionata figura di San Giovanni Battista per una cappella del Duomo di Siena (in situ).
L’anno successivo Donatello si trasferì effettivamente a Siena per lavorare a una cappella laterale e ad alcune porte in bronzo per la cattedrale.
Del suo soggiorno sopravvive solo un grande tondo marmoreo della Vergine col Bambino sopra la Porta del Perdono della cattedrale, rifinito da assistenti: i pannelli modellati in cera su legno realizzati in preparazione per la fusione in bronzo per le porte furono abbandonati e, scoraggiato, il loro autore tornò a Firenze.
Donatello: Giuditta che uccide Oloferne (1465 circa),
bronzo, h. 2,36 m, Palazzo Vecchio, Firenze; foto © Francesco Gasparetti
Nel 1459 Donatello dovette iniziare alcune importanti commissioni per il suo mecenate prediletto, Cosimo de’ Medici. La commissione principale di Donatello per il nuovo palazzo mediceo, questa volta per il giardino sul retro, fu un grande gruppo bronzeo a più figure basato su un tema dell’Antico Testamento, Giuditta che uccide Oloferne (Firenze, Piazza della Signoria). Si tratta di un’allegoria dell’Umiltà che trionfa sull’Orgoglio, come si sa da un’iscrizione perduta, ma registrata.
L’ultima opera di Cosimo è una serie di formelle in bronzo raffiguranti la Passione di Cristo e il Martirio di San Lorenzo per i pulpiti gemelli della navata della pieve medicea di S. Lorenzo.
Uno è datato giugno 1465. Sono cupamente realistici, abbandonano tutte le restrizioni tradizionali e la solita tendenza all’idealizzazione, sorvolando su tutto l’orrore di alcuni episodi.
La cera originale dovette essere vigorosa e appassionata: nelle drammatiche narrazioni bronzee che ne scaturirono, sembra che Donatello fosse così coinvolto emotivamente da attaccare le fredde superfici metalliche delle scene con una ferocia frutto della sua personale empatia per le sofferenze del Salvatore.
L’opera non sembra essere stata terminata al momento della morte di Donatello (1466), e si possono rintracciare diverse mani nell’inseguimento.
A sorpresa, vista la fama dell’artista, le formelle furono installate sui pulpiti solo a partire dal Cinquecento: forse erano troppo all’avanguardia per il gusto della metà del Quattrocento, più in sintonia con lo stile soave e narrativo delle Porte del Paradiso del Ghiberti sul Battistero (installate nel 1452).
Si tratta dell’opera della vecchiaia di Donatello, a parte una statua in legno dipinta non documentata di Santa Maria Maddalena (Firenze, Mus. Opera Duomo), che di solito è considerata un’opera tarda a causa del suo effetto emotivo eccessivo.
Tale ragionamento non è più del tutto accettabile, poiché una statua lignea dipinta molto simile di San Giovanni Battista (Venezia, S Maria Gloriosa dei Frari), prodotta da Donatello per una cappella della comunità fiorentina a Venezia, è stata trovata, dopo la pulitura, datata 1438.
Forse fu scolpita per volere dei Medici, come ringraziamento per l’ospitalità ricevuta durante il loro breve esilio nel 1433. Quindi lo scultore era capace di immagini così orribilmente avvincenti molto prima della sua carriera di quanto si fosse supposto in precedenza: non era limitato alla sua vecchiaia.
Metodi e tecniche di lavoro
Donatello si distingue per la vasta gamma di materiali con cui ha lavorato: si è dedicato con uguale facilità, a quanto pare, alla modellazione in creta, stucco o cera (nulla sopravvive in cera, ma i calchi da modelli in cera in terracotta e bronzo sì); e alla finitura del bronzo nel metallo freddo (anche se non ha fatto la propria fusione, ma delegato, come era consuetudine, a fonderie specializzate, alcune delle quali sono registrate).
Scolpì il marmo e l’arenaria grigia toscana (il macigno o la cosiddetta pietra serena), oltre al legno, che poi dipinse, probabilmente lui stesso, per esaltarne l’aspetto naturalistico.
Nella Madonna dei Cordai (Firenze, Mus. Bardini) Donatello utilizzò una curiosa tecnica di puzzle per alternare i contorni di una Madonna col Bambino in legno e applicarli su uno sfondo piatto, per poi modellare le figure su di esso in un materiale di composizione.
Riempì lo sfondo con tessere fittizie di cuoio dorato per assomigliare al mosaico (che utilizzò nella realtà anche sul pulpito di Prato e sulla Cantoria) e dipinse e verniciò il tutto.
Progettò anche, ma non eseguì, una vetrata per il tamburo del Duomo di Firenze (Incoronazione della Vergine; in situ) e, forse in collaborazione con un membro della famiglia Barovier di Murano, progettò di realizzare calchi in vetro dal rovescio del tondo di bronzo che poi donò al dottor Chellini (Londra, V&A).
La principale innovazione tecnica di Donatello fu nel campo dell’intaglio a rilievo. A quanto pare tra la fine degli anni 1410 e l’inizio degli anni 1420 ideò un metodo per intagliare, quasi disegnare, una scena in rilievo molto superficiale, la tecnica nota come rilievo schiacciato.
Entro una profondità di circa 10-20 mm, lo scultore ha trasmesso una profondità immaginaria molto maggiore per mezzo di solo lievi rientranze sulla superficie del marmo.
I contorni delle figure erano disegnati con l’angolo di uno scalpello e cristalli di marmo tagliati intorno ai bordi per lasciare in rilievo i volumi delle forme corporee. I piani delle varie figure erano compressi in profondità, a differenza della tecnica standard romana o medievale, dove erano stati lasciati stagliare, per metà o più a tutto tondo, davanti a uno sfondo piatto.
La tecnica di Donatello permetteva alle forme di fondersi con lo sfondo in modo più fluido, in modo da suggerire un continuum spaziale, come in un dipinto.
Nel rilievo marmoreo dell’Assunta del 1427 Donatello inventò forme stilizzate – quasi come ardesia stratificata – per indicare cirri densamente ammassati, tra i quali sono visibili angeli in una massa tumultuosa di membra che piombano nell’aria, come se nuotassero nel mare.
Questa audace illusione potrebbe essere stata un tempo accentuata da tocchi di colore e dorature, come era normale nella scultura in marmo a quel tempo. Questo tipo di prospettiva “aerea” era ancora più sottile dell’uso di impostazioni architettoniche per fornire mezzi lineari per suggerire la recessione attraverso le regole della prospettiva geometrica appena scoperte.
Nei campi più ampi dei tondi della Sagrestia Vecchia di S. Lorenzo, Donatello impostò gli ambienti architettonici con righello e squadra nello stucco umido, per poi ritagliare il materiale con spatole per indicare i piani successivi e arretrati: gli spazi così suggeriti furono poi popolati da figure a varie scale letteralmente aggiunte sopra.
Dovevano essere modellati attorno a teste di chiodi sporgenti per aiutarle ad aderire allo sfondo pericolosamente inclinato verso l’interno.
Fu sfruttando la prospettiva lineare che Donatello riuscì a ottenere un effetto di realismo ancora più avvincente rispetto ai suoi predecessori.
Nei suoi rilievi, dopo aver inizialmente padroneggiato le tecniche dell’intaglio superficiale o della modellazione, lo sviluppo stilistico deve essere notato principalmente nell’accresciuta elaborazione di gruppi di dramatis personae e nell’audacia del movimento.
Man mano che la sua tecnica diventava compiuta e la sua fiducia in sè stesso cresceva, la modellazione diventava più libera e più “impressionistica”, persino “espressionista” in alcune occasioni, quando l’apparente ruvidità dell’esecuzione rifletteva la violenza emotiva del soggetto.
Nella serie dei Rilievi della Passione (Firenze, S. Lorenzo) realizzati alla fine della sua vita, la mancanza di finitura non sembra tradire la perdita di controllo dovuta alla vecchiaia, né l’interruzione dovuta alla morte, ma piuttosto un uso estremamente sicuro ed economico del repertorio di forme e motivi di una vita per indicare la sua intensità di sentimento verso il suo soggetto cristiano.
Donatello poteva anche rendere la purezza e la bellezza con suprema facilità, ad esempio quando raffigurava la Vergine (ad esempio nell’Annunciazione o nei suoi numerosi rilievi che la mostrano con il bambino Gesù) o addirittura il bambino Davide. Tali immagini erano in sintonia con gli stili ottimistici del Ghiberti o di Luca della Robbia, estremamente popolari nel centro mondano e mercantile che era Firenze.
Donatello: Santa Maria Maddalena, legno policromo e dorato, 1456-60 circa
(Firenze, Museo dell’Opera del Duomo); credito fotografico: Erich Lessing
Dove Donatello eccelleva, però, e dove forse era troppo esigente per i suoi contemporanei, era nella resa del dramma e del pathos, quasi sempre in un contesto cristiano. Le statue in legno magro e dipinto di San Giovanni Battista (1438; Venezia, S. Maria Gloriosa dei Frari) e S. Maria Maddalena (?c. 1456-60; Firenze, Mus. Opera Duomo), così come il suo San Giovanni in bronzo per il Duomo di Siena, rasentano l’orribile e sono volutamente scioccanti per un osservatore casuale.
La scelta del legno può riflettere la volontà di mettere in relazione queste figure con la tradizione gotica dell’intaglio del legno in Germania e nelle regioni alpine, dove è sempre stato utilizzato in modo espressivo.
L’intensa empatia che Donatello manifestava con i soggetti da lui scelti, siano essi scolpiti in legno o marmo o fusi in bronzo, è profondamente commovente ed è ancora molto apprezzata. L’umanità stessa di tali opere conserva il suo fascino attraverso sei secoli.
Ma anche se l’espressività di Donatello è tutta sua, in qualche misura egli attingeva a una precedente tradizione gotica toscana di narrazione ferocemente drammatica fondata da Giovanni Pisano, il quale, dove necessario, come nella Strage degli innocenti (ca. 1300; Pistoia, S. Andrea), non si tirò indietro dall’infliggere allo spettatore tutto l’orrore dell’evento.
Come era consuetudine all’inizio del XV secolo, Donatello strinse collaborazioni lavorative, sia in modo informale (come con Brunelleschi in alcune occasioni, e più tardi con Nanni di Bartolo per alcuni dei Profeti per il Campanile) sia formalmente (come con Michelozzo a metà degli anni ’20 del Quattrocento per la coproduzione di tombe).
Impiegò anche assistenti, anche se i loro nomi non sono sempre registrati: scultori minori come lo specialista del bronzo Maso di Bartolomeo e l’intagliatore di marmo Pagno di Lapo Portigiani (1408-70) entrarono e uscirono dalla sua orbita.
Vespasiano da Bisticci, nella sua Vita di Cosimo il vecchio de’ Medici, parla del banchiere che dava allo scultore un assegno settimanale “sufficiente per lui e per quattro assistenti”, e forse questo era il numero medio del personale nella bottega fiorentina di Donatello.
La serie di documenti d’archivio più istruttiva sul suo metodo di lavoro è quella relativa alla realizzazione negli anni ’40 del Quattrocento dell’altare maggiore di S. Antonio a Padova, dove Donatello svolse l’attività di impresario, gestendo una numerosa équipe impegnata su vari aspetti o parti componenti della vasta impresa scultorea. Giovanni da Pisa, Niccolò Pizzolo, Urbano da Cortona e, infine, Bartolomeo Bellano sono i suoi assistenti più noti.
Carattere e personalità
Donatello non ha lasciato scritti o corrispondenza e potrebbe essere stato praticamente analfabeta, il che sarebbe stato normale nell’umile ambiente da cui proveniva: suo padre era un cardatore di lana ed era stato coinvolto nella rivolta dei Ciompi nel 1378, venendo anche brevemente esiliato per aver ucciso qualcuno in violenze di strada.
Lo scultore sembra aver avuto un orgoglio perverso per le sue origini “operaie”, e il suo affetto per i Medici potrebbe essere derivato dal loro non essere nobili e dal loro sposare la causa popolare e democratica. Presumibilmente Donatello acquisì la sua conoscenza della Bibbia e della mitologia antica con il passaparola, soprattutto dai filosofi neoplatonici che Cosimo patrocinava.
Nel 1525 il personaggio di Donatello fu descritto da Summonte come “rozzo e molto schietto” (“rozo e semplicissimo”), il che sembra un riassunto corretto. Non aspirava a un ruolo più “signorile” nella società, a differenza del suo ex maestro e rivale Lorenzo Ghiberti, che si associò al lato letterario dell’umanesimo scrivendo i suoi Commentarii.
Anche in contrasto con il Ghiberti, che vanagloriosamente inserì il suo autoritratto su entrambe le coppie di porte del Battistero fiorentino (una lo ritrae con il mazzocchio, il copricapo simile a un turbante di un gentiluomo fiorentino), Donatello mostrò una totale mancanza di attenzione al proprio aspetto, come fu osservato due volte dai contemporanei.
Manetti, nella sua biografia di Brunelleschi, in cui descriveva la loro comune, precoce visita a Roma, scrisse:
Nessuno dei due aveva problemi familiari poiché non avevano né moglie né figli, né lì né altrove. Nessuno dei due prestava molta attenzione a ciò che mangiava e beveva o a come era vestito o a dove abitava, purché fosse in grado di soddisfarsi vedendo e misurando.
Ciò è stato confermato da Vespasiano da Bisticci nella sua vita di Cosimo:
Poiché Donatello non si vestiva come Cosimo avrebbe voluto, Cosimo gli diede un mantello rosso con cappuccio e una toga sotto il mantello, e lo vestì tutto di nuovo. Una mattina di un giorno di festa glielo mandò per farglielo indossare. Donatello lo fece, una o due volte, e poi lo mise da parte e non volle più indossarlo, perché gli sembrava troppo elegante.
Donatello era evidentemente una figura popolare a Firenze, noto per le sue osservazioni sarcastiche e talvolta volgari. Apparve anche come personaggio parlante in un’opera teatrale miracolosa scritta durante la sua vita, chiamata Nabucodonosor, re di Babilonia.
I suoi ritardi nella realizzazione del pulpito per Prato sono citati di sfuggita, come se si trattasse di un noto scandalo. Un certo numero di frasi ad effetto originate dalle sue labbra sono state registrate in un’antologia del XVI secolo di racconti più o meno scurrili.
Alcune sono difficili da interpretare oggi, ma il tono generale è quello di un umorismo toscano a labbra serrate, derivato da qualcuno che era evidentemente rinomato per la sua eccentricità e la sua arguzia tagliente.
Vasari registrò varie osservazioni poco gentili fatte a, o su, colleghi artisti, ad esempio a Paolo Uccello: è difficile dire se fossero intese come offensive o semplicemente sarcasticamente umoristiche. Vasari notò anche che lo scultore in preda alla frustrazione imprecava rozzamente contro la sua statua di Abacuc:
“Favella, favella, che ti venga il caccasangue” (“Parla, parla, o che tu possa avere una merda sanguinante!”).
Donatello fu spesso ostinato con i suoi mecenati, in particolare con gruppi di ecclesiastici provenienti da fuori Firenze, ad esempio la sfortunata Opera del Duomo di Prato, che aveva legittimi motivi per lamentarsi del suo atteggiamento irresponsabile e dilatorio nell’adempiere ai suoi obblighi contrattuali nei loro confronti. Avendo cercato di incoraggiarlo con alcuni regali di stagione, alla fine ricorsero a chiedere a Cosimo de’ Medici di intervenire in loro favore.
Il duca Ludovico Gonzaga usò lo stesso espediente nel 1458, quando cercava di far terminare allo scultore alcune opere per le quali aveva fatto modelli diversi anni prima: nello scambio di corrispondenza Ludovico definì Donatello «molto intricato» e ammise che «aveva una mente decisa in modo tale che se non venisse, non si può nutrire alcuna speranza in esso, anche se lo si tormenta”.
Si tratta di un’ammissione straordinaria da parte di un grande mecenate che ha a che fare con un artista, allora normalmente considerato un semplice artigiano. Chiaramente Donatello era un’eccezione a qualsiasi regola.
Se eccezionale fu il comportamento di Donatello con i suoi committenti, lo fu anche la generosità perspicace di Cosimo, che sembra aver riconosciuto il genio dell’artista e disposto a sopportarne la testardaggine e l’impertinenza.
Oltre a vivere quasi senza affitto per un intero decennio (1434-43) in una vecchia locanda che Cosimo aveva acquistato per un’eventuale demolizione per far posto al suo nuovo grande palazzo, secondo Vespasiano da Bisticci, nella vecchiaia dello scultore, quando il lavoro era difficile da trovare, Cosimo gli dava commissioni deliberatamente per tenerlo occupato e lo pagava con ordine del banchiere su base settimanale.
Questo contesto spiega la completa assenza di documenti per il pagamento e quindi di date certe per qualsiasi opera di Donatello per i Medici. Cosimo dispose anche nel suo testamento che lo scultore fosse assistito dal suo erede, Piero I (il Gottoso), e che gli fosse dato alloggio e pensione nella sua vecchiaia, e che alla fine fosse sepolto accanto a lui nella tomba di famiglia sotto S. Lorenzo. Questo avvenne e fu un onore straordinario.
Accoglienza critica e reputazione postuma
La reputazione di Donatello si è fatta durante la sua vita e da allora è rimasta alta, anche se con una lieve ascesa e declino della popolarità secondo il gusto dei secoli successivi. Fu considerato amico da Cosimo de’ Medici e dall’Alberti, che nel suo De pictura (1436) lo annovera subito dopo Brunelleschi come “quel nostro amicissimo Donato scultore” e prima del Ghiberti, di Luca della Robbia e di Masaccio.
Bartolomeo Fazio lo inserì nel suo De viris illustribus (1456) come “eccellendo per il suo talento e non meno per la sua tecnica; è ben noto per la sua scultura in bronzo e marmo, perché riesce a dare vita ai volti delle sue figure, e sotto questo aspetto condivide la gloria dei maestri dell’antichità”.
Nello stesso anno il suo medico Chellini notò che era un “maestro singolare e principale nel fare figure di bronzo e legno e terracotta”. Una nota di critica ad alcune delle figure più irrazionalmente esagerate di Donatello sulle porte di bronzo della Sagrestia Vecchia fu risuonata dall’architetto-scultore Filarete nel suo Trattato d’architettura (1461-4), che preferiva un certo grado di decoro: gli apostoli dovrebbero comportarsi come apostoli e non come schermidori.
Nel 1481 Cristoforo Landino (Apologia) lodò molto il defunto scultore:
Lo scultore Donato è da annoverare tra gli uomini antichi, ammirabile com’è per le sue composizioni e la sua varietà, e per la sua abilità con grande verosimiglianza nel disporre e collocare le sue figure, che sembrano tutte in movimento. Era un grande copista dell’antichità e capiva anche la prospettiva.
Tra gli elogi postumi generali, ci sono state occasionalmente critiche soggettive, anche se parzialmente giustificabili. Ad esempio, lo scultore manierista Baccio Bandinelli scrisse nel 1547 che quando Donatello realizzò i pulpiti di bronzo per S. Lorenzo era “così vecchio che la sua vista non era all’altezza di giudicarli correttamente, né di dare loro una bella finitura, e sebbene siano una buona invenzione, non ha mai fatto un’opera più brutta”.
L’apparente mancanza di finiture fu criticata anche da Michelangelo (secondo Condivi, 1553), che ammirava Donatello sotto altri aspetti. Vasari (1568) si preoccupò di adulare il proprio mecenate, il granduca Cosimo I, sottolineando l’illuminato mecenatismo di cui Donatello aveva goduto dal suo antenato collaterale e omonimo, Cosimo il Vecchio.
Pubblicò anche un’elegante intuizione letteraria di Vincenzo Borghini che tracciava un parallelo tra Donatello e Michelangelo: “O lo spirito di Donatello opera in Michelangelo; o quello di Michelangelo ha lavorato in precedenza in Donatello”.
Tuttavia, la Vita di Donatello di Vasari contiene distorsioni superiori alla media e confonde un lettore moderno perché si basa non tanto su un approccio cronologico quanto su uno topografico, probabilmente perché derivata da una precedente guida di Firenze.
Alcune statue come San Marco (ammirato da Michelangelo) e San Giorgio (elogiato dal Vasari) sono sempre rimaste relativamente popolari, mentre altre, a volte a causa della loro rimozione in giro per la città, si sono dissociate dal suo nome, ad esempio il San Luigi, che, sorprendentemente, è stato riconosciuto solo all’inizio del XX secolo.
I centenari della nascita e della morte dello scultore sono stati potenti stimoli per la rivalutazione negli ultimi due secoli. Questo nel 1886-7 fu celebrato in parte perché coincise con il completamento della facciata neogotica del Duomo di Firenze.
Fu commemorata in modo permanente, come era di moda all’epoca, con ritratti e iscrizioni in bronzo, uno montato sulla navata nord di Santa Croce, il Pantheon di Firenze; un altro sulla facciata di uno dei numerosi studi che usava vicino alla cattedrale; e una terza su una tomba in stile rinascimentale (1896; completa di effigie in bronzo) di Dario Guidotti (1892-1900) e Raffaello Romanelli (1856) nella Cappella Martelli di S. Lorenzo.
Una mostra pionieristica fu allestita al Museo del Bargello di Firenze e una serie di discorsi magniloquenti di eminenti professori furono pubblicati sotto forma di opuscoli.
L’inizio della letteratura storico-artistica moderna su Donatello in italiano (Milanesi, 1887) fu presto seguito da importanti monografie in tedesco (Semper e von Tschudi, entrambe del 1887; Schottmüller, 1904; Schubring, 1907; Kauffmann, 1935).
In Inghilterra Lord Balcarres affrontò l’argomento nel 1903, seguito da vicino da Maud Cruttwell nel 1911, fornendo entrambi “panoramiche” molto rispettabili per il lettore generico anglosassone colto. Nel 1941 apparve una monografia ben illustrata della Phaidon Press di Goldscheider. La principale monografia sull’artista è di H. W. Janson, che incorpora gli appunti e le fotografie di Jeno Lanyi.
Ha avuto diverse edizioni a partire dal 1957 e consiste in un catalogo ragionato esaustivo e prezioso, ma senza una biografia discorsiva. Quest’ultima è stato fornito da un volume de luxe di Hartt, con nuove fotografie di Finn (1973).
Bennett e Wilkins (1984) hanno pubblicato un volume di estesi saggi accademici su vari aspetti dell’attività dello scultore.
Il cinquecentenario della morte di Donatello, nel 1966, diede vita a un congresso internazionale, i cui atti furono pubblicati nel 1968, e un rinnovato interesse si accese con la riscoperta in Inghilterra del tondo di bronzo donato nel 1456 al dottor Chellini (vedi Radcliffe e Avery, 1976), che sfociò in una serie di saggi che affrontarono la questione dei rilievi della Madonna di Donatello.
Nel 1986, in occasione del sesto centenario della nascita dello scultore, è stata inaugurata una mostra di scultura presso il Detroit Institute of Arts e il Forte di Belvedere a Firenze, oltre a una mostra al Bargello, tratta esclusivamente dalla propria collezione, con cataloghi di accompagnamento e conferenze.
In concomitanza con queste celebrazioni centenarie sono state pubblicate in italiano un volume di nuove fotografie e schede di catalogo (Pope-Hennessy, Ragioneri e Perugi, 1985) e una biografia introduttiva (Avery, 1986).
Da allora è apparsa un’ondata di opuscoli e articoli, in particolare su alcune delle sculture che sono state restaurate a seguito del sesto centenario.