LA CULTURA IN EMPOLI
La Cultura ha un fine e ha dei derivati.
Va chiarito il FINE, lo scopo per cui si fa cultura, la motivazione per individuare quali risultati debba raggiungere.
Si parla e la si applica ai fini di incentivazione del turismo, del passare una piacevole serata, di consentire un gradevole intrattenimento di svago; la si esalta come promozione economica di un territorio. La si analizza poi parcellizzata in tutte le sue tecniche, in tutti i suoi strumenti di comunicazione: convegni, mostre, teatro, musica, folklore, ecc. ecc.
Si parla e la si applica ai fini di incentivazione del turismo, del passare una piacevole serata, di consentire un gradevole intrattenimento di svago; la si esalta come promozione economica di un territorio. La si analizza poi parcellizzata in tutte le sue tecniche, in tutti i suoi strumenti di comunicazione: convegni, mostre, teatro, musica, folklore, ecc. ecc.
E già qui possiamo fare una riflessione: la prima Comunicazione della Cultura deve essere quella interiore, cioè quella che porta a un raffinamento del sentimento, ad una espansione della visione della vita; la seconda riflessione è volta a qual fine questo raffinamento debba servire.
La Cultura è uno strumento della coralità del vivere civile, deve produrre l’armonia sociale, la condivisione della gioia di un accrescimento spirituale che porti al dialogo e alla comprensione dell’altro. La Cultura è la catapulta di grandi o piccole genialità creative affinché divengano patrimonio comune di scambio, di comprensione; è quella religione laica che permette la trascendenza sul contingente e individua scopi più alti alla vita stessa.
Questo deve essere nella mente del politico-programmatore. Sarebbe estremamente difficile comunicarlo agli utenti, perché per comprenderlo dovrebbero aver già raggiunto i massimi livelli spirituali, che invece stanno celati e aspettano che qualcuno li coltivi.
Le conseguenze attese di questi fini saranno una società equilibrata, onesta, rispettosa, amante del dialogo, compatta all’interno.
All’esterno produrrà un richiamo per le iniziative proposte: mostre, spettacoli, feste e valorizzazione di ogni aspetto del territorio.
Per tutto questo la scienza utile a porre in atto questo è la Didattica, cioè la capacità di comunicare i Valori che perseguiamo.
La didattica deve essere “fatta in presenza” con un entusiasmo spinto a una sorta di frenesia,[1] deve prevedere un diffuso apostolato; non la si può fare solo con cartelli e piantine esplicative: questi saranno il risultato di come debbano pubblicizzarsi le idee. E la base di ogni “Idea” deve essere la sua dimensione “civile”.
Faccio alcuni esempi.
Per la dimensione didattica non importa possedere gli originali dell’arte, i mitici oggetti dall’aura irripetibile. Una copia del David alle Cascine, diceva la Mina Gregori, sarebbe più che sufficiente a sfamare la curiosità di ignavi visitatori.
Prendiamo una delle foto che ha avuto onori internazionali: la madre palestinese che stringe un figlio nel sudario.
Ora fra tutte le infinite Veroniche che mostrano il volto insanguinato, quella del Pontormo nella cappella papale in S. M. Novella è certo la più potente: non è pietistica e non piange, ma proclama con forza una Verità.
Potete andare a vederla nelle stanze del Liceo a Empoli dove l’ho posta; per capirla non importa andare a Firenze, ma deve stare là dove i giovani devono imparare la Pietà, il tutto chiaramente con un riferimento all’oggi: “Di quanti volti insanguinati si dovrà macchiare ancora questo telo?”, in questa situazione storica io così devo proporla.
La Scuola è il luogo primo e il più importante della promozione culturale.
Guardandoci fra noi, che siamo i promotori delle varie associazioni, vista la maggioranza di capelli bianchi dobbiamo pensare che fra quindici anni non ci saremo più e la nostra responsabilità ci obbliga non a coltivare l’orticello, ma a trovar nuovi giardinieri. E se ci parrà di aver ottenuto in coloro che ci hanno frequentato una buona diffusione culturale, dovremmo riflettere.
Potremmo definire, in senso strettamente antropologico che Cultura è l’ordinario modo di essere dell’uomo; infatti è così che l’uomo può dimostrare di avere Cultura, non conoscenze. La cultura è l’atteggiamento umano fatto di rispetto per l’altro, l’attenzione all’ascolto, la curiosità per nuovi saperi, l’elasticità dei nostri punti di vista, l’intuizione che solo con la fusione delle discipline nei vari panorami storici e geografici possiamo formulare ipotesi corrette.
Per tutta questa complessità, bisogna aver coltivato in noi l’Umiltà che non si giunge mai ad una Verità da imporre, che il dubbio è la più importante qualità di ogni conoscenza perché ci sono tappe e non traguardi da raggiungere.
Tutto infine è solo un peregrinare insieme agli altri per rispecchiarsi in dialoghi sempre nuovi. Questo è il vero Amore che deve stare al centro della nostra Umanità.
E l’ultimo scalino di tutto non è un momento razionale, ma, come dice Sant’Agostino, è fatto semplicemente di Stupore. Aspettatelo sempre, che vi raggiunga questo momento sublime fatto di attimi veramente paradisiaci.
La funzione trascendentale dell’Arte (teatrale, musicale, letteraria, figurativa e di tutti gli altri funambolismi creativi) è unica e trasversale in tutti i rami delle varie attività artistiche. Arte è il Fare Spirituale, anche semplicemente quotidiano; è già di per sé nel gesto, nella tecnica comunicativa, nella disposizione per cui “facciamo”; è indipendente dai mezzi.
C’è un Arte della Didattica con cui va comunicato il Valore spirituale dell’opera, ben al di là della sua iconografia e delle sue sottostanti simbologie.
Già in colui che comunica questo tipo di interpretazione dell’opera ci devono essere esplicitati questi Valori che l’opera comprende in sé, oppure che ha acquisito col tempo. Anche l’opera infatti diviene e vi dobbiamo trovare sempre ciò che suggerirà nel Presente storico in cui la vivremo.
Un bravissimo critico estetizzante e un esperto di cromatismi o, in altro campo, di contrappunto, se manca di aver chiari i Valori, difficilmente raggiungerà un livello quale lo intendo io per quelle finalità di cui ho parlato.
In ogni attività, che sia la coltura della terra, l’esercizio di un arte meccanica o liberale c’è sempre un punto alto a cui dobbiamo mirare. Infiniti possono essere gli esempi, ma parto dal più banale.
Pensiamo ad una festa degli aquiloni come la si fa a San Miniato: è alzare al cielo sogni, è vincere lo spiritò di gravità.
Il fine della ricerca musicale di Ferruccio Busoni è lo stesso. Il “fine” è l’assoluto dello Spirito.
Questo sarà un punto assai difficile e lontano da raggiungere per l’uomo comune, ma noi amorevolmente dovremo guidarlo in un processo di crescita: buttarlo invece in una sala per essere strabiliato dalle magie esecutive di un pianista rischia di condurlo in un vicolo cieco.
Ma certo una cosa è la Vittoria ed altra la strategia e in ogni battaglia ci vogliono i fanti e i generali.
Quindi il nobile fine ultimo dei Valori va quasi celato all’inizio; bisogna divertire e puntare sulle tecniche conoscitive e alla fine far intravedere il Fine interiore e sociale di queste conoscenze e proclamarlo come la Buona Novella del nostro tempo di dialogo e di Pace.
Empoli, 10-05-24
[1] Non si può parlare ai giovani di Valori come se si leggesse un dizionario; bisogna trasmettere con l’entusiasmo che noi ci crediamo. Phren (greco antico: φρήν, romanizzato: phrén, lett. ‘mente’; è una delle capacità intellettuali che costituiscono l’anima, insieme a noûs (spirito, pensiero o mente). Quindi per gli antichi greci dirige e controlla il cosmo nel processo ed è la misura di ciò che è armonioso e di ciò che è idoneo a esistere. Il tipo di attività mentale condotta nel Phren coinvolge ciò che i pensatori occidentali del XX e XXI secolo considerano sia il sentimento che il pensiero.
Entusiasmo (ἔνϑεος) è il sentimento intenso di gioia, di ammirazione, di desiderio per qualche cosa o per qualcuno, che sottintende una totale dedizione a una causa, a un ideale.
(Da voci del Dizionario Treccani)