Da: Masaccio and Masolino
A Complete Catalogue
Masolino’s Work of 1424
by Paul Joannides
Phaidon Press 1993
(Traduzione di Andreina Mancini – adattamento per il web a cura di Paolo Pianigiani)
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L’anno 1424 presenta due problemi. Il primo è che, con la probabile eccezione della Madonna dell’Umiltà di Washington, non si sa nulla di – o su – Masaccio durante quest’anno, e questo apre la possibilità che egli fosse attivo lontano da Firenze, forse a Roma, nel qual caso il resoconto di Vasari su un suo primo soggiorno in quella città potrebbe contenere una qualche verità.
Il secondo è la grande mole di lavoro che Masolino sembra aver compiuto nel 1424.
Per la Leggenda della Croce in Santo Stefano a Empoli (figg. 1, 2 ), la data del 1424 è universalmente accettata, anche se il pagamento di novembre è solo un terminus ante quem, e il progetto potrebbe essere stato iniziato in precedenza.
Il frammentario Sant’Ivo (fig. 3,) e la Vergine con Bambino e due angeli (fig. 4) nella stessa chiesa, e la Pietà della Collegiata (fig. 5), sono solitamente indicati come eseguiti nello stesso anno.
È possibile che siano state dipinte tutte in un’unica campagna, ma Empoli dista solo poche ore da Firenze e non ci sono motivi convincenti per ipotizzare un soggiorno continuato.
È inoltre evidente che queste opere presentano notevoli variazioni di stile, e datarle allo stesso anno significa accettare una grande mobilità da parte di Masolino.
Vi sono poi due dipinti che, pur avendo una diversa datazione, sono strettamente collegati tra loro e con il Sant’Ivo: le Annunciazioni di Washington (figg 6 e 7).
Entrambi riprendono, nel disegno della veste di Gabriele, la decorazione del tessuto gentilesca del San Martino della Pala Colonna (fig. 8); una modalità il cui apice e probabilmente l’ultimo esempio si trova nelle vesti del messaggero più a sinistra nella Risurrezione di Tabita e nella Guarigione dello Storpio (fig. 9) della Cappella Brancacci.
I due messaggeri sono la dimostrazione che Masolino amava accostare figure plastiche dai sobri panneggi a figure decorative appiattite, e se ha potuto farlo in un momento in cui lavorava accanto a Masaccio, è probabile che sia stato ancora più disinvolto quando lavorava da solo.
Ma Masolino lavorava da solo? Se è corretto ipotizzare che tutta questa opera sia stata realizzata, ad esempio, tra l’ottobre del 1423 e il marzo del 1425 (l’estate era il periodo migliore per l’affresco e in inverno i pannelli potevano essere dipinti in bottega, anche se questa suddivisione non è certamente assoluta), dobbiamo ammettere che abbia avuto un certo grado di assistenza.
Salmi ha suggerito che Francesco d’Antonio potrebbe aver collaborato con Masolino al ciclo della Croce, e la richiesta di arbitrato del marzo 1424, scoperta successivamente, fornisce un certo supporto a questa ipotesi.
Quello che non è stato considerato è che anche Masaccio potrebbe essere stato coinvolto. Ma anche se nulla di ciò che è sopravvissuto a Empoli può essergli attribuito, appaiono tracce della sua presenza.
La Pietà della Collegiata (fig. 5) era un dipinto che la critica pan-masaccesca era ancora una volta restia a veder passare a Masolino, e la sua solidità e corposità suggeriscono che Masolino fu fortemente influenzato dal più giovane quando lo dipinse. Né è da escludere che una parte della Cappella della Croce possa essere opera di Masaccio.
La cappella presenta grandi difficoltà, poiché è rimasto davvero poco pigmento (fig. 1).
Le sinopie sono doppiamente problematiche: sono una guida inadeguata a ciò che le avrebbe ricoperte, e la loro attribuzione è spesso incerta perché o sono rozze e rudimentali e presentano i loro autori in una forma inedita anche nei disegni superstiti, o sono meccaniche e mostrano poche tracce della mano del loro autore.
In questo caso le cose si complicano ulteriormente perché non si conoscono sinopie certamente di Masaccio e quelle di Masolino mostrano una sconcertante varietà di interventi.
Le sinopie delle scene narrative, probabilmente trasferite da studi compositivi elaborati, mostrano linee spesse, non variate e non spontanee, che potrebbero essere opera di un aiuto.
Le logge, dove presumibilmente si inginocchiavano i membri della confraternita, sono appena abbozzate; le figure e le teste dei ritratti, per le quali sarebbe stata necessaria una certa precisione, sono state probabilmente trasferite da cartoni.
Le quattro sinopie della volta si differenziano da quelle delle pareti, e in modo piuttosto consistente anche tra loro; è qui che si trovano le immagini più drammatiche e memorabili.
La Crocifissione, rappresentata alla maniera del venerato Volto Santo di Lucca, riflette senza dubbio le indicazioni del committente. Ma l’Eucaristia e la Resurrezione mostrano una semplicità e un vigore insoliti nell’opera di Masolino.
Di notevole impatto è anche un’altra immagine: la sinopia di Cristo Portacroce (fig. 10).
Non c’è nulla di nuovo nella disposizione complessiva, per la quale si possono trovare molti precedenti, e il fatto che sia un disegno completo e soddisfacente di per sé non comporta alcuna conclusione sulla paternità dell’opera.
Ma oltre a una delicatezza eccezionale, essa mostra un’articolazione più marcata, una posa più decisa e un drappeggio più pieno e più rivelatore del movimento del corpo rispetto a qualsiasi opera di Masolino che si può presumere l’abbia preceduta.
L’impostazione di questa figura, e forse di altre sulla volta, che sarebbero state dipinte per prime, potrebbero non essere estranee a Masaccio, ad esempio più tardi nel 1423, ed esse, o alcune di esse, potrebbero essere opera sua. Si tratta di un’ipotesi.
Quello che non lo è, è che la Pietà (fig. 5), pur contenendo figure di un peso e di una monumentalità che si avvicinano a quelle di Masaccio, con profonde e semplici pieghe del panneggio, si basa sul famoso prototipo di Lorenzo Monaco del 1404 (fig. 12).
Sia nella Pietà che nel ciclo della Croce Masolino utilizza formule compositive di fine Trecento/inizio Quattrocento. Egli guarda a quegli artisti, Monaco e Agnolo Gaddi (figg. 12 e 13), ai quali Masaccio sembra non rivolgersi mai. E nonostante la sua duttilità, rivela la sua generazione nella sua riluttanza, o incapacità, di evocare pienamente la terza dimensione.
La gamma tonale della Pietà è coerente e, opportunamente, contenuta: i colori del Sant’Ivo sono brillanti e vivaci (figg. 5 e 3). Qui il contenuto umano non è un obiettivo e i tipi tendono alla caricatura gentilesca. Ma nella concezione generale mostra lo stesso interesse per la collocazione delle forme in uno spazio chiuso come le logge della Cappella della Croce.
L’Annunciazione Goldman (fig. 6), dipinta per la cappella Guardini sul tramezzo di San Niccolò Oltrarno, si collega chiaramente al Sant’Ivo.
La tipologia di viso di Gabriele corrisponde esattamente alla fanciulla in primo piano in basso a sinistra e gli ampi scorci degli archi retrostanti sono identici.
Entrambe le composizioni presentano sufficienti somiglianze con quelle del Ghiberti nell’Arresto del Battista (fig. 15) per il fonte battesimale senese, da far pensare che i due artisti fossero a conoscenza l’uno del lavoro dell’altro.
L’impressione complessiva dell’Annunciazione è di un grande lusso, con ricche zone di colore e un’accurata esecuzione di tessuti e di forme – la porta che conduce alla camera da letto della Vergine è realizzata con la stessa precisione del paesaggio della Fondazione (fig. 16).
Comune è anche l’impiego sperimentale della caduta della luce. La colonna centrale proietta una leggera ombra alla sinistra dello spettatore, mentre nessuna delle altre forme lo fa. Ma la luce gioca sulle tende del letto della Vergine e sui bordi della doppia porta con una precisione che non ha precedenti in Italia e che si avvicina alla pittura fiamminga.
L’intera composizione è racchiusa in un arco diaframma con effetto trompe l’oeil, una caratteristica molto utilizzata nella miniatura di manoscritti francesi del primo Quattrocento, in particolare dal maestro di Boucicaut.
Questo, tuttavia, non indica necessariamente una provenienza settentrionale, poiché un espediente simile si trova già nel 1403 nella Pentecoste di Taddeo di Bartolo (fig. 17).
L’arco diaframma risponde probabilmente a una richiesta della committenza, così come il punto di vista dal basso e la provenienza della luce da destra.
Ma Masolino sembra aver utilizzato l’arco come se fosse un proscenio, per creare un evento teatrale: Gabriele è rappresentato come un personaggio esotico grazie al disegno dei suoi drappeggi, un visitatore proveniente da un altro ordine di esseri, nettamente differenziato dalla Vergine. I modelli di Gentile sono quindi utilizzati tematicamente.
Ma anche la decorazione era un elemento, perché, a differenza del Sant’Ivo e di gran parte della Pala Colonna, il bordo del panneggio della Vergine è il più sontuoso ed estremo della sua opera, in aperto contrasto con le pieghe principali che ricadono in una sequenza relativamente sobria, come quelle della Madonna della Pala Carnesecchi.
L’ambientazione, per certi versi reale, per altri versi è di fantasia. La vista sulla stanza della Vergine potrebbe essere quella di un interno fiorentino contemporaneo. Ma la loggia o anticamera in primo piano non ha alcun senso strutturale e Masolino è indifferente sia al rapporto proporzionato delle figure con lo spazio sia agli elementi dello spazio tra loro.
La dipendenza dell’Annunciazione Kress (fig. 6) dall’Annunciazione Goldman (fig. 7) è chiara; la sua struttura prospettica è più evidente, con un pavimento piastrellato che stabilisce gli ortogonali, ma Masolino non ha fatto nessuno sforzo per collocare le figure principali nello spazio.
Gabriele, tuttavia, è più coinvolto drammaticamente con la Vergine, guardandola direttamente, mentre lei incrocia le mani sul petto in segno di sottomissione. L’enfasi è sulla risposta della Vergine piuttosto che sulla sua sorpresa.
Il gesto della Vergine nell’Annunciazione Goldman è convenzionale, qui la sua risposta sembra più ponderata e il gesto di Gabriele è l’espressione di volontà.
Sebbene il disegno della veste di Gabriele sia piatto come quello dell’Annunciazione Goldman, nell’Annunciazione Kress viene utilizzato un motivo fogliare, più organico quanto all’effetto rispetto ai fiori ricamati in oro, e simile alla veste del messaggero di sinistra nella Resurrezione di Tabita (fig. 9).
Anche la predella è significativa. Sebbene Lo Sposalizio della Vergine (fig. 18) sia ispirata a Lorenzo Monaco (fig. 19) e sebbene il posizionamento del gruppo sia tradizionale, la composizione possiede una nuova forza nella sua centralizzazione.
La sua struttura implica una posizione centrale e una visione obliqua per le scene di contorno, come avviene nella Dormitio Virginis, predella della Annunciazione Kress (fig. 20).
Quindi la predella è stata concepita come spazialmente omogenea.