Piero Dorazio : la luce della luce
di Paolo Pianigiani
Piero Dorazio, Endice rosso, 1959, olio su tela, cm 197×97
Prima pubblicazione su Tranfinito, 2004
Arriva, dopo quaranta minuti di traffico-gulag, fra Viareggio e Fortedeimarmi, per inaugurare la sua personale alla nuova galleria di Vera Docci, in piazza Marconi.
Siamo in tanti ad aspettarlo, fra i tanti chi scrive, assolutamente perso fra i colori delle opere, esposte con cura sulle pareti bianche.
Di Piero Dorazio mi sono rimaste dentro da sempre le stesure cromatiche stratificate, le superfici trasparenti tendenti al monocromo, vibranti come musica. C’è un Rosso, del ’59, verticale e assoluto, che attira gli sguardi e trasmette ancora intatta la sua energia. Il suo lavoro, negli anni, si è diretto poi verso soluzioni diverse, eleganti dialoghi di linee e di forme, attraverso continue sperimentazioni, alcune delle quali documentate in questa mostra.
Piero e Vera Docci
Elegante, cordiale, Piero si concede al pubblico in una lunga intervista, mediata dal grande patrono culturale di queste parti, Romano Battaglia, che ha fatto del giardinetto interno della Galleria, una succursale fortemarmina della sua Versiliana. Le domande, per la verità, volano basso: che cos’è l’astrattismo, ci parli del taglio di Fontana, se essere pittori colti aiuta a dipingere bene…
Piero ignora sorridendo le domande e racconta la sua avventura di artista, le motivazioni, le ansie, gli arrivi. Impreca contro il traffico, che lo ha tenuto prigioniero, ricorda i suoi viaggi, gli Stati Uniti, Parigi.
Parla dell’arte come una trasmissione vitale di contenuti e di ricerche fra gli artisti e le generazioni di artisti. Ma senza i musei di arte contemporanea, che in Italia non ci sono, come si fa a trasmettere questa conoscenza? Manca anche il dialogo fra gli artisti, i gruppi, le amicizie, le discussioni.
Noi, agli inizi, siamo sopravvissuti perché eravamo un gruppo, che si chiamava Forma1, con Carla Accardi, Pietro Consagra, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato.
Piero Dorazio, Piquet, 1994, olio su tela, cm 70×50
Ci dice della sua scelta di andare a vivere a Todi, nella serenità francescana dell’Umbria, dove tutto è più umano e ci sono meno automobili. Il dialetto romanesco affiora, accende il dialogo di battute irresistibili.
Oggi ci’avemo Pezzotta… se po’ fa cultura co’ Pezzotta?
Parla del colore, che sempre ha inseguito nel suo lavoro, cercando di fermarlo, di imprigionarlo nelle sue tessiture cromatiche, lasciandolo libero di respirare. Colore come emozione, colore come vita.
Chiude la serata una domanda, questa sì centrata, della gallerista Vera Docci, sul passaggio dai quadri a campitura totale (quelli che mi hanno sempre incantato) a quelli più rarefatti, con le linee oblique in dialogo fra loro.
Piero e Lara-Vinca Masini
La risposta è semplice: erano difficili quei quadri, ci voleva molto tempo a farli. Bastava un nulla, un errore nella stesura verticale dei colori, e buttavi via tutto. Non li ho più fatti.
Semplice, come Piero, come è semplice l’arte quando è grande, come la sua pittura che racconta la luce, nell’elegante distendersi delle sue linee sovrapposte, che si incontrano, che si scambiano i toni, che creano musica.
Riguardo, prima di uscire nel traffico assassino, il Rosso del ’59. Assolutamente splendido. Ha un titolo strano, Endice rosso. L’endice è l’uovo che si mette nel nido delle galline per invitarle a fare altre uova.
Uovo primordiale, origine, da lì poi il tutto…
Sorrido, troppo complicato, l’arte vuole la semplicità.
Ma che te stai a’ penzà, che te ne frega der titolo, direbbe Piero: se ti dà emozione, gòditela. E nun te fa domanne!
La mostra resterà aperta fino al 15 Settembre 2004.
Galleria Vera Docci
Piazza Marconi 4
Forte dei Marmi