PRESENTAZIONE
Il mondo intorno a Mirva Fiorini,
(Milly)
Mostra commemorativa (1954-2021)
del percorso di vita di una artista insegnante
Palazzo Ghibellino, Empoli
Maggio 2023
Circolo Arti Figurative
di Silvano Salvadori
Il mio primo imbarazzo nel presentare la Fiorini è quello di chiamarla col suo vero nome, Mirva, dal momento che fra amici la conoscevamo come Milly; e questo nome leggero le si addiceva per la sua leggiadra snella figura con una coda di capelli.
Milly ha scelto la sua via; poteva avere un ruolo ed una sistemazione nella confezione di famiglia del padre Vasco che forse per difenderla non aveva accettato sul momento di mandarla a studiare all’Istituto d’arte di Firenze.
Lei invece era ansiosa di imparare le tecniche artistiche e a sedici anni vinse con la sua caparbietà quelle diffidenze e iniziò il suo percorso, ricorrendo, al di là degli insegnamenti scolastici, a frequentare gli studi di artisti empolesi, come Gino Terreni e Virgilio Carmignani, per aver delle dritte.
Veniva anche a casa nostra, da Bruna Scali, per far pratica degli schemi con cui si deve impostare la posizione di una figura.
Ma Milly aveva urgenza di esprimersi al di là dell’imitazione mimetica della realtà e, come vedremo, anche la stessa pittura come qualcosa di delimitato da un contorno le stava stretta.
In fin dei conti anche dipingere è specchiarsi nell’opera come in una sorta di nostra anima portata all’esterno: i fiori, i cieli, i tronchi sono gioie, voli e nodosità; in noi infatti tutto il mondo si riconosce secondo la propria esperienza interiore.
L’impegno nella scuola
Il fare era ciò che interessava a Mirva, per questo all’approfondimento di una abilità accademica preferiva l’indagine le esperienze contemporanee spesso astratte.
L’ho rincontrata nel periodo in cui ero dirigente al Liceo “Il Pontormo” dove insegnava, molto cambiata: capelli corti e soprattutto colorati. Ricordo che organizzò un incontro nell’auditorium con la sua amica Cinzia Fiaschi, artista di “action painting”, che dipingeva grandi superfici colorate con interventi gestuali e materici.
Così per le gite scolastiche Mirva preferiva portare gli studenti alla Biennale di Venezia in cui il fare materico delle installazioni era legato ad una concettualità da indagare. Con le colleghe Daniela Manetti e Daniela Petri andarono all’Expo di Milano; frequentarono anche i corsi di formazione di Palazzo Strozzi (Educare e pensare) e del museo Pecci di Prato.
È prioritario anche per i giovani avere uno sguardo sul presente per non farci sorprendere dal futuro: era questa la lezione di Milly anche secondo appunto la testimonianza delle altre insegnanti della disciplina.
L’altra sua collega, Alessandra Scappini, ricorda un messaggio e-mail di Mirva ormai in pensione:
“Io sto bene e se ho degli acciacchi sono dovuti, mi dicono, all’età.
Vi ho pensato molto voi docenti in prima linea in questa novità totale
della lezione a distanza, immagino che la complicanza si aggiunge
alla precarietà del momento e tutto assume un altro volto. Non so
quale pensiero ti sia fatta sul futuro e mi piacerebbe parlarne con
te… … per quanto mi riguarda nel primo anno di pensione e dopo un
periodo come quello passato nell’anno precedente, questa chiusura
totale delle relazioni è stata un bel banco di prova. Credo comunque
di avere mantenuto un buon equilibrio mentale!! E meno male
perché ho ancora tante cose da vedere e fare”.
Purtroppo le “tante cose da fare” sono rimaste un sogno; in quanto a quelle “da vedere” credo abbia raggiunto il massimo acume con la vista del cuore, basta leggere il suo ultimo messaggio che troverete alla fine.
Dopo l’insegnamento alla scuola media Vanghetti, Mirva aveva finalmente ottenuto nel 2002 la cattedra di Disegno e Storia dell’arte al liceo scientifico “Il Pontormo”, allorché il professor Antonio Sedoni se ne era
andato in pensione.
Le esperienze sulla disabilità le erano state a cuore e le furono utili nel tessere rapporti empatici con coloro che soffrono di qualche difficoltà in uno studio liceale così impegnativo.
Si apre per lei un periodo di intensi scambi culturali, di incontri nel campo delle esperienze teatrali e di un modello di vita di convivenza di cui parleremo più ampiamente in seguito.
Negli ultimi anni era felice di essere ritornata di casa a Vinci dove dalla finestra vedeva l’amato paesaggio delle colline.
I colleghi la vedevano spesso rimanere a scuola nell’aula insegnanti, con un panino ed una banana portati da casa, soprattutto per preparare con gli studenti i progetti delle Olimpiadi del Patrimonio, progetti che spesso venivano selezionati a livello nazionale fra le opere premiate. Riservata ma sempre disponibile e rispettosa degli impegni presi, si metteva con gioia a disposizione dei bisogni degli alunni. Una empatia naturale quella coi giovani.
Le esperienze artistiche
È possibile chiudere la vita di un’artista nel catalogo delle sue opere? O la vita come sempre deborda dal nostro fare quotidiano e si nasconde immaterialmente dentro la nostra spiritualità, facendosi spesso sogno,
progetto, intento, desiderio?
Ecco: la vita di Milly ha avuto una tale intensità, certo dentro di lei ma anche e soprattutto dentro le relazioni amicali che non tanto consistevano nei quotidiani incontri, ma che erano storia di fatti immateriali quali sono le energie di affetti, le potenzialità di folgorazioni.
Qualcosa che matura e fiorisce in tempi non consequenziali, fatti ora di attimi ora di estensioni infinite, così infinite che si prolungano oltre la nostra stessa vita.
Così la colgo, Milly, parlando con l’amico Claudio Cinelli, in una evocazione in cui tutto quello che è accaduto si espande oltre la vita che si è vissuto, in cui il nostro essere si “tramanda” nella vita degli altri, che magari oggi sono dispersi in varie parti del mondo.
Ci sono dei “geni” culturali che fanno parte del nostro patrimonio e che trasmettiamo a figliolanze
sconosciute in cui inconsapevolmente riviviamo.
I progetti di allestimenti teatrali non erano precostituiti, consistevano nel viverli nel loro dinamico farsi, e l’opera era la condivisione stessa di una esperienza di vita. Certo se ne può dare testimonianza con un prodotto finale, ma il suo valore sta nelle modalità del suo divenire.
L’arte è nell’occhio di chi guarda il mondo; anzi l’arte è un vedere il mondo: ogni visione ottica va passata al laminatoio del cuore e al filatoio del pensiero. In ogni oggetto, naturale o artificiale, il pensiero può
rinvenire la tessitura di una storia, sia essa conseguenza di eventi geologici e ambientali, o di eventi sociali e politici.
Ed è solo la nostra curiosità, la nostra voglia di conoscere che possono portare al momento sublime dell’intima comprensione, dello stupore, quello stupore di cui parla Sant’Agostino: solo lo stupore conosce.
L’artista è sempre fanciullo di fronte al mondo, cioè ricostruisce sempre il mondo secondo codici nuovi, dove la realtà assomiglia più a quella indagata dalla fisica quantistica, dove vale la probabilità, la possibilità che sia altro da quello che sembra, dove non c’è mai nulla di fisso per sempre, dove tutto è ipotesi di scoperta; dove compito dell’artista è portare alla luce ciò che si cela sotto la superficie, secondo la lezione dei simbolisti.
Ecco il senso della passione per l’esperienza teatrale che Milly ha condiviso con Claudio: il teatro come officina alchemica, come ricerca dell’oro nascosto, di quella luce che scompone il soggetto drammatico
quale materia oscura (nelle sue componenti fonetiche, formali e dinamiche) in una totale presa di coscienza attoriale per il coinvolgimento del pubblico.
Lo stesso nome del loro gruppo, Associazione Porte girevoli, suggerisce un entrare che è anche un uscire, una inversione di ruoli continua, la ricerca di un qualcosa che sarà solo dopo che l’avremo trovata, senza
nessun egoistico progetto di possesso.
Così accade nelle officine: la competenza di ciascuno sempre interagisce con il sapere dell’altro e può
deviarlo verso nuove acquisizioni, cosicché alla fine si produce un’opera o ci si trova in uno spazio che non è prodotto da qualcuno ma che è cosa/casa comune condivisa.
È questo il concetto che guidava quell’associazione che prevedeva la vita in comune fra i vari operatori per produrre spettacoli, una utopia, un non – luogo che fosse segnato da una identità precisa, ma aperto in quanto l’abitare dei partecipanti variava spostandosi di stanza in stanza a seconda delle competenze, per confluire poi in momenti di condivisione che potevano trasformare perfino il soggiorno in un bivacco notturno comune.
Questo vivere Milly l’ha condiviso ed è anche questa un’opera della sua vita.
Due esperienze, fra le tante altre così vive negli amici che vi hanno partecipato, vanno ricordate. Il progetto di quattro mesi al Teatro Shalom, su finanziamenti della Regione Toscana, con insegnanti di tutte le
discipline e allargato ai vari generi di teatro; l’importanza del colore nel teatro veniva trattato dalla nostra Milly: come valore tonale e simbolico, nelle luci, nella scenografia, nei costumi, sia nei contrasti complementari che negli equilibri, nella saturazione o nel loro dinamico succedersi. Ci si riuniva poi intorno alla relatrice in un simposio di commenti e suggerimenti reciproci.
L’altra quella del Gemellaggio del Festival La Luna Azzurra con il più importante festival del Quebec, Maniganses: in tre anni 2006/7/8 furono messi in scena due testi con due giovani compagnie, uno per nazione (per l’Italia I testimoni di Diego Fabbri; per il Quebec Kiwi di D. Denis).
Nei tre anni, le prove, la messinscena, la vita, le esperienze, il colore: tutto vissuto nella stessa casa di Vinci come "il percorso" condiviso "invisibile" che nella biografia di Milly non deve essere tralasciato.
La biografia, attraverso le opere e le esposizioni, quindi non dà mai giustizia alla vita di una persona. Non tutto si vede, ecco perché c’è bisogno della parola del cuore che ne descriva il contesto: non si vede
bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi. (Antoine de Saint-Exupery)
C’è un momento in cui i vagoni del treno nei quali viaggiano l’anima e il corpo si dividono: il corpo prende uno scambio e si avvia su di un binario non più parallelo ai desideri dell’anima, fino a finire su di un tratto
sconosciuto. L’anima prosegue sulla sua direzione.
Così Milly sperava che quel treno la portasse a vivere il meritato riposo verso il mare di Venturina a fare quadri e coltivare le amicizie e gli affetti familiari. Invece questa è stata solo la direzione dei suoi sogni; e se i suoi ultimi disegni sugli alberi indagavano nodose radici e rami anelanti al cielo, quel suo corpo ha
dovuto combattere una battaglia – ingiusta perché non la Nike ma un demone ne ha segnato la fine – lasciandola sconfitta in un particolare vagone letto che con lo stridore di freni è arrivato ai respingenti di quel binario sconosciuto.
Ma al dolore Milly cercava di non dar peso ed al risveglio di ogni mattina si sentiva felice di godere della luce del sole e delle carezze del vento, anch’esse materiche poesie sulla pelle.
Fino all’ultimo ha sperato, fin all’ultimo ha indagato su quale fosse “il segreto” nel romanzo giallo che l’amico Cinelli andava scrivendo e che ogni giorno le leggeva, capitolo dopo capitolo. E quando lei ha avuto il malloppo del testo stampato ha avuto appena il tempo di dire: “Ce l’abbiamo fatta!”; questo dà la misura della vera Resistenza di cui si può fregiare una vera amicizia.
La Pittura
Qui non si tratta di dar giudizi di valore, ma solo di rendere comprensibile nella commemorazione una amica agli amici perché per naturale pudicizia non sempre si possono mostrare le proprie fragilità o inorgoglirsi della propria forza.
La nostra umanità è così delicata che spesso si cela con maschere; ma dopo il calvario finale sofferto, cade ogni maschera e vogliamo vedere l’essere umano che ha vestito quel corpo che chiamavamo ora Milly e ora Mirva.
Il quadro scelto come copertina del catalogo Mirva Fiorini – Specchiarsi nelle eterne emozioni dell’anima, porta come titolo originale Visitazione, chiara allusione all’incontro per eccellenza di due donne: Maria ed
Elisabetta.
Per una empolese è facile in questo titolo cogliere il richiamo alla splendida opera del Pontormo a Carmignano: ognuna delle due donne rispecchia nell’altra il mistero di un concepimento divino che oltre al
corpo riguarda una rivelazione nell’anima.
Direi che per Mirva è la rappresentazione di un incontro interiore con le proprie emozioni e che costituisce un gioioso momento di accettazione e di introspezione che anche in altri lavori appare.
Le tante opere dipinte da Milly ci consentono di monitorare il suo percorso. La sua non era una ricerca della bellezza, ma una curiosità di indagare sia il bello che il brutto di cui si veste la vita; lei preferisce le
grandi dimensioni in cui meglio si può esprimere la forza del gesto: il gesto è esso stesso interpretazione e possesso dell’oggetto indagato.
Il gesto viene ripetuto con sovrapposizioni, perché vari sono gli strati di conoscenza così che il primo livello, come in una archeologia all’incontrario, viene nascosto dai successivi. Sono pochi i quadri di Milly
fatti di getto e su cui lei non è più intervenuta.
All’inizio l’amore di ogni pittore è van Gogh e se da questo anche Milly è partita, poi si è spinta sempre più verso l’astrazione secondo la visione di Mark Rothko (1903-1970) o l’espressionismo astratto di Robert
Rauschenberg (1925-2008).
Come lei cercava di far capire ai suoi studenti, si dipinge non per una pura ricerca estetica, ma perché l’opera ci dica qualcosa del periodo storico e politico in cui nasce. Tutto può trasformarsi in arte se capisci che quello che tu vedi non è esattamente quello che tu vedi, perché lo stato d’animo del pittore nel momento creativo fa parte anch’esso della visione.
I soggetti amati da Milly sono sia la Natura che la figura umana, non solo come soggetti autonomi, ma che a volte si sovrappongono dando vita a visioni oniriche o espressioniste.
Ma il soggetto è a volte rinominato in un gioco tipico di Duchamp. È quanto accadde quando a Castelfiorentino espose le grandi tre Onde – blu, marrone e bianca – ispirate a Hokusai, a esse dette il titolo non dell’oggetto, ma del processo: Transumanza, ovvero un viatico di colori e di velature sovrapposte.
Aveva prima misurato la porta dello studio affinché ci potessero passare le tele e non bastarono i pennelli a dar loro vita, perché anche le mani dovevano nuotare in quella parabola d’acqua e imbrattarsi di iridescenze materiche. Opere queste che furono inaspettatamente tutte vendute.
Alla serenità dei paesaggi e dei fiori si contrappone invece la figura umana che spesso si perde in questa natura e vi appare come un fantasma indefinito, con espressioni di dolore, di ansia, in atteggiamenti quasi di angoscia: quell’essere ci chiama con i gesti o si allontana in pellegrinaggi cosmici, in atmosfere sature di rosso.
Un enigma da risolvere che Milly ci ha lasciato dal momento che la risposta l’ha tenuta in sé nascosta.
Quasi mai abbandona di dare evidenza al gesto pittorico, materiale segno vitalistico che prende carne nei grumi di colore, impastati anche con la carta per dar loro più rilievo.
Fra le tante, la mostra a Pistoia del 2013 presso gli spazi di Studio 38 Contemporary Art Gallery, fu una tappa significativa del suo percorso e portava il titolo Materia incolore.
È così presentata:
“La materia creata dall’artista nelle sue tele è tutt’altro che “incolore” ma la materia è incolore perché è energia e quando Mirva Fiorini si approccia ad un quadro non sa quale “colore” si organizzerà sulla tela. “Incolore” è riferito alla maniera nella quale l’artista si accosta al quadro e non al risultato.
Questo è il nucleo della creazione e proprio attraverso questo percorso ottiene quei cromatismi così protagonisti”. La riflessione critica in catalogo è condivisa con l’amico Cinelli: “Materia negata … naufragio.
Materia substrato ‘apparentemente casuale’ che si avvicina più al dubbio, ne impone un dinamismo della mente ed esclude ogni intervento della ragione … relitto.
Materia percorso non indagato, potenziatrice di immagini, palpiti, spazi, tempi, in una perpetua metamorfosi, … nascondiglio. Materia su cui il gesto, l’azione, rimbalzano … tracce … impronte …
smagliature … parvenze luminose … emozioni cromatiche.
Materia di paesaggi di un mondo primordiale e di figure ai confini dell’informale, gravida del potere del ricordo, ne acquista la Sua forma surreale, e allo stesso tempo, sorprende perché risulta estremamente familiare … terra. Materia dell’ansia vergine, bambina, che non teme gorghi e vortici ma esplode saggia con la sua naturale tessitura … incolore”.
Anche Alessandra Scappini, insegnante e critica d’arte, ne parla con queste parole:
Mirva Fiorini, come è solita dire per esprimere le modalità del suo creare, “mette le mani dentro”, si immerge nella materia cromatica per trarne vigore necessario ad alimentare l’energia interna che,
come un flusso coscienziale emerge in superficie e si trasferisce immediatamente sul supporto, seguendo un procedimento automatico che esclude in primis l’intervento della ragione…
Immagini delle sue opere appaiono in alcune pubblicazioni come “Fulvia, straordinaria donna comune” di Elettra Lorini, “Biglie di Mercurio, due monologhi” di Fausto Maria Pico, “Maschere”, racconti di Paola Presciuttini che ha collaborato con lei, scrivendo testi dialogici, come quando ha immaginato un colloquio con Madonna Lisa di Leonardo, per presentare Mirva:
-“Lo sa lei, mia superba amica, che questa terra ha già dato alla pittura tutto quello che poteva dare? E lei, lei che cosa vorrebbe aggiungere, quali risposte?”
-“Me stessa e la mia passione per la vita. Il quadro per me è il luogo della risposta. È il mio punto di vista, e in quanto tale è unico. È così che traduco il mio sentire, che lo capisco e lo attraverso trasformandolo in colori e immagini. È la capacità di esternare l’energia che muove la vita in cerca di un assoluto condivisibile. In cerca di quello che scorre in profondo dentro l’artista perché risuoni
con le profondità dell’altro”.
Ancora diviene stimolo creativo il gioco del senso ambiguo della parola: incolore-in colore. Le parole pur non descrivendo, costruiscono senso! Le Parole sono essenze liquide che prendono i riverberi dei contesti in cui le risciacqui, sono esseri metamorfici che rinascono se persiste l’intenzione di trovar per
loro nuovi nidi in cui deporre uova foriere di nuovi significati, perché la creatività è come il cuculo: si annida nel concetto altrui per espropriarlo con una nuova propria declinazione.
Allora abbandoniamoci a seguire certi flussi di pensieri:
-Fondamentale è l’attesa perché non sappiamo se è dal fare che nasce il pensare o viceversa.
-Gli oggetti a volte non sono che pensieri che dormono, pensieri ibernati in oggetti da scongelare.
-Tessere colloqui fra di noi e con il mondo supponendo che nulla è pienamente comprensibile è la giustificazione della vita stessa.
-Più che l’opera come pretesto è la vita stessa ad essere un capolavoro se coltivata con il colloquio nell’amicizia.
-Ed anche di te stesso devi essere amico creando un tuo doppio che sia allevatore di dubbi perché solo dialogando potrai imparare. Il creativo è in continuo dialogo con le cose concependo pensieri espressi con parole che invertono il senso delle cose stesse.
-Per questo opera d’arte è la vita che si snoda intorno a noi; e sempre qualcosa di inespresso rimane ad attenderci. Occorre sempre oltrepassare l’evento in sé perché ciascuno è foriero di nuove visioni. La bellezza è poter gioire dell’attesa che esse si manifestino.
Una speranza che può durare tutta la vita e che forse anche Milly alla fine ha intravisto potersi realizzare.
(la sua lettera) Vi voglio un gran bene e mi dispiace lasciarvi così presto, così come soffro dell’idea di non poter sentire più l’aria sulla pelle ma la vita è imprevedibile e va presa come viene; ho imparato molto da essa e tutto sommato tutto è stato prezioso, il dolore come il piacere e ritengo che alla fine la mia vita sia stata bella. Vi abbraccio con tutta la forza che ho.
Ogni vita è eterna e completa per chi l’ha vissuta perché non può concepire se stessa come estensione in un tempo che non è; anche l’ultimo atto di speranza è viva sensazione di un presente, un presente che ancor vibra di sé.
Se nulla può essere proiettato fuori di te, quello che con te si chiude è una Eternità.
Così io le scrivevo, quale “insegnante”, alla dolorosa notizia della sua scomparsa:
Eppure ci sono state faville che almeno per una generazione possono trasmigrare, caro insegnante; faville di te mentre bruciavi la tua anima e il tuo pensiero restituendone il calore nelle parole con cui hai spiegato Leopardi, o Michelangelo o il rapporto armonico di una foglia.
Le parole son faville perenni che possono dormire sotto la cenere della disattenzione, ma son sempre foriere di incendi. Ed è questa la tua responsabilità, quella che consente l’immortalità, tramite te, di
infinite genialità che ti hanno fatto divino tramite la tua piena coscienza di essere UMANO, fratello di altri uomini e della natura, custode di una civiltà.
Solo quando sarai saturo di questa missione potrai con serenità accettare l’ultima sfida, perché imparerai totalmente il vivere solo quando imparerai il morire, acquistando quella scienza che è
semplice accettazione della nostra parabola.
Un esame che Mirva/Milly ha pienamente superato con la massima lode.
Silvano
27-04-2023
TESTIMONIANZE FAMILIARI
Venturina Terme, 24.04.2023
Parlare di zia mi fa sempre tanto piacere e mi rende felice perché è un modo per tenerla viva nei miei ricordi tuttavia mi rende anche triste perché mi riporta alla realtà: non c’è più.
Zia amava la vita più di ogni cosa, sapeva sempre trovare un motivo per essere grati, per essere riconoscenti e felici di esserci nel momento presente che stiamo vivendo; mi diceva: Oggi siamo fortunati perché c’è il sole che ci riscalda, oggi siamo fortunati perché c’è il vento che ci accarezza, oggi siamo fortunati perché abbiamo potuto salutare il mare…..
Insomma ogni giorno trovava una ragione per alzarsi con il sorriso. Zia amava tanto leggere, ricordo che quando ero una bambina e tutti mi regalavano giochi Lei mi regalavi libri. A quell’età devo riconoscere che
non lo apprezzavo affatto! Mi domandavo perché lei insistesse a comprarmene sempre uno nuovo ad ogni occasione!
Da ragazza ha iniziato a regalarmi libri che raccontavano la vita di grandi donne del passato e del presente; quando le sono grata!
Oggi posso dire senza ombra di dubbio che amo leggere grazie a lei… lei che mi ha fatto apprezzare la magia che si racchiude nello sfogliare le pagine di un libro.
Zia amava insegnare, era una donna che lo faceva con coscienza, consapevole di avere un ruolo importante nella crescita e sviluppo dei “suoi ragazzi”, perché sì, li chiamava così, erano i suoi ragazzi.
Se oggi sono la donna che sono lo devo anche a lei, alla mia zia. Grazie a lei ho imparato ad essere felice delle piccole e grandi cose che la vita mi regala, consapevole che ogni giorno va vissuto appieno perché è un dono prezioso.
Grazia Zia!
tua Giulia
Si presentava a Natale con degli strani pacchi incartati in una carta multicolore che li rendeva inconfondibili; “i giocattoli te li fanno tutti” diceva. Solo con gli anni ho capito il senso e il significato di quei regali da cui ho tratto la passione e l’amore per la lettura. Ricordo che per il mio ultimo compleanno, prima della sua scomparsa, mi regalò Furore di John Steinbeck.
Lo considero uno dei più grandi capolavori del 900 e le sarò infinitamente grato per avermi trasmesso questa sua passione che ha arricchito la mia vita per sempre.
Un bacio, tuo Alberto
Ho l’immagine di lei fissa nei miei occhi, la vedo come allora, come quando ero bambina e mi incantava con le storie sulla mitologia greca; conosceva tutto, sapeva rispondere ad ogni mia domanda curiosa, trovava la risposta giusta, quella che ti insegna qualcosa, quella che ti lasciava con il dubbio e con la voglia di conoscere ancora e ancora di più.
Alimentava le fantasie di quella bambina e mi lasciava l’interpretazione personale su tutto ciò che vedevo e sentivo.
La domanda che mi ripeteva più spesso era:
“Tu in questo dipinto cosa ci vedi?” e lì si apriva un mondo pieno di emozioni. Lei è stata la prima persona a chiedere il mio pensiero su qualcosa ed era veramente interessata a ciò che dicevo, a come mi sentivo.
È stato così sempre e sempre penserò a lei come la donna forte e indipendente che era ma anche tanto sensibile dentro che in pochi possono dirlo.
Se oggi mi sento una donna libera e indipendente è anche grazie a lei.
Tua Sara
Sei stata per noi una zia fantastica, amorosa e ti abbiamo voluto un mondo di bene; ricordiamo con gioia i tanti momenti vissuti insieme. Nel forzato allontanamento degli ultimi tempi pregavamo che una stella facesse tornare tutto alla normalità, ma così non è stato.
Eri felice quando stavamo insieme e il tuo sorriso regnava sopra le cose. Ancora ne sentiamo la
mancanza e vorremmo abbracciarti un’altra volta in quegli spazi in cui ora stai volando.
Tuo nipote Romeo