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Tondo Pitti

Il Tondo Pitti

 

da

La Madonna e il Bambino nella scultura di Michelangelo

di Deoclecio Redig de Campos

fotografie di Giorgio Avigdor

Ente Fiuggi SPA

 

 

In uno con la Madonna Taddei — e del pari senza indicarne la data né il soggetto — il Vasari [VII, 157] ricorda, nel già citato brano, il «tondo di marmo» che Michelangelo «cominciò» per Bartolomeo Pitti. Si tratta di un bassorilievo circolare di cm. 85 di diametro, rappresentante la Vergine col Bambino e san Giovannino.

Don Miniato Pitti, avutolo in eredità da Bartolomeo, suo zio, lo donò (come s’è detto dianzi) a Luigi Guicciardini, e in casa di Pietro, nipote di lui, lo vide il Varchi. Acquistato nel 1823 dalle Gallerie di Firenze, venne esposto l’anno 1873 nel Museo Nazionale del Bargello, dove tuttora si trova [Barocchi, II, 224]. La sua autenticità non è mai stata posta in dubbio.

La Madonna Pitti siede su un basso dado di pietra, con il corpo girato a destra, mentre il volto — che supera l’orlo del clipeo ed è trattato ad altorilievo — guarda di faccia, reso pesante dalle folte chiome, da un complicato copricapo, e dal velo annodato sulla nuca (32). E’ vestita di una tunica con lunghe maniche, e un manto le avvolge le gambe.

La destra regge sulle ginocchia un libro aperto, l’altra mano sostiene il Bambino, il quale, ritto, a gambe incrociate, ignudo e visto di fronte, reclina il capo in atteggiamento soffuso di mestizia. Sopra la spalla della Madre, a sinistra, appare il tradizionale san Giovannino, di cui si vede la sola testa ricciutella e parte del busto, il resto della figura essendo forse stato scalpellato, come suggerisce il Sanpaolesi (33).

Singolare è il diadema della Madonna, ornato di una testa alata di cherubino, a significare — dice il Tolnay [1968, 31] —il dono della conoscenza superiore, e che le conferisce qualcosa come un carattere sacerdotale. Secondo lo stesso autore, la posa del Bambino deriverebbe dal genietto funerario pagano del sarcofago di Fedra (detto della Contessa Beatrice), nel Camposanto di Pisa [Tolnay, 1951, 31].

Il Tondo Pitti è anch’esso in varia misura incompiuto, come quello Taddei e probabilmente per lo stesso motivo: rappresentava uno stadio ormai superato nella evoluzione artistica di Michelangelo, e quindi non lo interessava più. Ma qui il «non finito» raggiunge nel lavoro di gradina una raffinatezza e, direi quasi, una sua autonomia estetica, non inferiore a quella mostrata nel San Matteo (1503) cosa d’importanza per la data da assegnare al nostro rilievo.

A determinare quest’ultima, sia pure in maniera approssimativa, ci aiuta un disegno per la figura della Madre, conservato nel Museo Condé di Chantilly [Dussler, n. 4 e Tolnay, 1968, fig. 32], sul verso di un foglio con studi a penna di nudi e drappeggi.

Il fitto tratteggio incrociato è identico a quello delle note copie da affreschi di Giotto e Masaccio eseguite da Michelangelo negli ultimi anni del Quattrocento [Dussler, nn. 212 e 235]. Si dovrebbe quindi datare il disegno nei primi anni dopo il ritorno a Firenze dello scultore (1501), considerata l’impossibilità stilistica di collocarlo nel primo periodo romano. II foglio di Chantilly fornisce dunque una sorta di terminus a quo per l’inizio della sua elaborazione.

Ma se il Buonarroti ha cominciato presto a preparare questa sua opera, deve avervi lavorato lungamente, poiché fra quante ne abbiamo finora esaminate, essa sembra la più matura, quella più vicina al mondo formale della Volta sistina.

Infatti, nelle contrapposte torsioni del busto e della testa mostrata in rigida frontalità, nello sguardo assorto in un pensiero lontano, e in altri particolari ancora, come l’acconciatura del capo ed il monumentale andamento delle pieghe, non è chi non riconosca in germe la verginale Sibilla Delfica della Cappella di Sisto (34).

Inoltre, l’inserimento delle figure nel disco di marmo mi pare più riuscito e naturale nella Madonna del Bargello di quanto non lo sia in quella di Londra, e l’accennata scalpellatura del san Giovannino avrebbe senza dubbio contribuito a rendere ancora più salda la compagine del gruppo (35).

Tutto ciò — per concludere — ci induce a credere che Michelangelo abbia seguitato a lavorare al Tondo Pitti anche oltre la primavera del 1505, nell’agitato periodo dei primi progetti per la Sepoltura di Giulio II, da lui trascorso fra Roma, Firenze e Carrara, e per lo meno fino al suo incontro con questo pontefice in Bologna, nel novembre del 1506.

 


 

Note

 

32)

Vediamo qui comparire per la prima volta un di quei copricapi bizzarri di cui a volte si compiaceva Michelangelo, e che furono poi molto imitati dai Manieristi come il Vasari ed altri.

33)

P. Sanpaolesi, Il ‘Non finito’ di Michelangelo, in Atti del Convegno di Studi Michelangioleschi, Firenze-Roma, 1966, p. 235. La figuretta del san Giovannino, infatti, ristretta in uno spazio troppo esiguo, è sacrificata, e al tempo stesso nuoce alla monumentalità del gruppo principale, sicchè è da credere, come suppone quest’autore, che essa sarebbe del tutto scomparsa se l’opera non fosse stata, a un certo momento, abbandonata da Michelangelo.

34)

Nell’ordinare i disegni di Madonne di Michelangelo, il Tolnay ha notato «come si possa raggruppare senza artificio il materiale in relativamente poche serie di sviluppo, che cominciano nella gioventù e sono attuali ‘fino alla tarda maturità, come se il Buonarroti fosse ossessionato da questi temi durante tutta la sua vita» (Tolnay, 1968, 12).

35)

Sulle varie datazioni di questo rilievo, e sulle diversità di parere fra i critici circa la precedenza cronologica fra i tondi Taddei e Pitti, cfr. Barocchi, II, 223-225. Alla lista data dalla Barocchi, va aggiunto un recente articolo di Q. Martini, Osservazioni sul Tondo Taddei, in « Antichità viva », fasc. n. 5, 1973 (estratto di 6 pp. non numerate). L’autore ritiene di poter assegnare, per motivi stilistici, il bassorilievo a Baccio di Montelupo.

 


 

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