Antje Middeldorf-Kosegarten
(4. August 1931 in Manhagen, Kreis Oldenburg in Holstein; † 25. Dezember 2022 in Göttingen)
Nicola e Giovanni Pisano 1268-1278
di Antje Middeldorf-Kosegarten
Da: Jahrbuch der Berliner Museen, 11. Bd (1969)
(Traduzione di Andreina Mancini)
Ai miei genitori
Et salvo et intellecto, si Johannes filius ipsius magistri Nicholi venerit et de voluntate ipsius magistri Nicholi in predicto opere laborare voluerit, quod ipsum ibi stare et laborare permittet et patietur*.
*Citato da: Giusta Nicco-Fasola, Nicola Pisano, Roma 1941, p. 211.
Il presente saggio è stato scritto durante una borsa di studio della German Research Foundation presso il Kunsthistorisches Institut di Firenze.
Questa frase tratta dal contratto stipulato tra Nicola Pisano e Fra Melano da Siena per la realizzazione del pulpito della cattedrale (1265) segna l’ingresso di Giovanni Pisano nella storia. I senesi gli concessero di collaborare alla lavorazione del pulpito se fosse venuto e fosse stato disposto a lavorare secondo le direttive di Nicola. Venne stabilito inoltre che avrebbe percepito i due terzi della paga dei “discepoli” che suo padre avrebbe ricevuto per suo conto, il che dimostra che Giovanni era piuttosto giovane.
La formula prevista da tale disposizione permette anche di concludere che Nicola evidentemente non poteva o non voleva anticipare per forza le decisioni di Giovanni in merito alla sua collaborazione, nonostante la sua giovane età. Vorremmo poi soffermarci sulla questione di come Giovanni possa essersi rapportato a Nicola come scultore durante i dieci anni più importanti del suo percorso artistico, che si collocano tra il completamento del pulpito senese (1268) e quello della Fontana Maggiore (1278).
Le nostre osservazioni in merito ai suoi primi lavori sullo sfondo delle opere paterne si basano essenzialmente sui risultati della critica stilistica. Le due opere che a nostro avviso rappresentano lo stile di Nicola e Giovanni intorno al 1270/75: il rilievo con la cosiddetta “Elevazione del Beato Buonaccorso di Pistoia” (prima a Berlino) e un tondo marmoreo pisano con la Madonna del Museo di Empoli, non sono ascrivibili con certezza agli scultori, ma sono attribuzioni.
Il fatto che gli studiosi considerino entrambe le sculture come opere scolastiche è poco incoraggiante; a ciò si aggiunge il fattore del tutto negativo che conosciamo il rilievo di Buonaccorso solo da due fotografie, anche se molto nitide. I presupposti sono quindi sfavorevoli. Un approfondimento del metodo di lavoro di Giovanni nel decennio in questione, tuttavia, sarebbe talmente significativo al fine di valutare non solo la sua arte, ma anche, retroattivamente, quella del padre, che in assenza di prove documentarie, è giustificato intraprendere la strada della critica stilistica quando non se ne aprono altre e le opere stesse parlano così chiaramente da permettere di individuare una soluzione.
Dal punto di vista artistico-biografico il problema è di particolare interesse. È raro che un figlio, come allievo di un grande padre, gli succeda nel proprio genere artistico come capo della stessa bottega nello stesso posto e fino alla morte lavori nella stessa sfera di attività, non rimanendo nell’ombra come un successore più o meno importante, ma rivendicando il proprio posto come artista di primo, primissimo piano. Inoltre, sappiamo fino a che punto il lavoro di Nicola fosse determinante per Giovanni. Come Nicola e a differenza di Arnolfo, egli divenne famoso soprattutto come scultore di pulpiti.
Questi fatti offrono il massimo interesse per lo studio dei suoi esordi, soprattutto perché possiamo osservare e seguire il processo di affermazione dell’artista rispetto alla tradizione e il suo distaccarsi da essa, una volta tanto nel contesto della bottega medievale, che era caratterizzata da regole precise e dove le prime intuizioni individuali erano state a lungo trattenute.
Il tondo marmoreo di Empoli è conservato in modo ottimale, come raramente si trova (Figg. 1-7). Non manca nessun dito, nessuna punta del naso, la superficie non è corrosa né consumata; solo il bordo esterno della cornice, la corona di Maria e il velo presentano delle leggere scheggiature. Con i suoi 42 cm di diametro, l’opera appare piccola e delicata. Non si sa nulla della sua origine, se non che in passato era collocata sopra il lavabo della sacrestia della Collegiata fino a quando, nel XIX secolo, fu trasferita nel museo della Collegiata come “scuola pisana”.1 Poiché la Collegiata nel XVIII secolo era stata completamente modificata e già prima aveva avuto una diversa sistemazione,2 non è possibile sapere dove il rilievo fosse collocato originariamente; tuttavia, si può supporre che sia sempre appartenuto a questa chiesa. Dato che il bordo esterno del tondo, profondo 10 cm, è lavorato tutto intorno con un bel tratto uniforme di scalpello e non presenta tracce di scheggiatura, siamo portati a credere che non facesse parte di un monumento scolpito più grande, ma che fosse stato lavorato come opera d’arte a sé stante e incastonato nel muro. È molto probabile che sia stato collocato sopra una porta senza ulteriori accessori, in qualche modo paragonabile al tondo della Madonna di Giotto sopra il doppio portale all’interno della chiesa superiore di S. Francesco ad Assisi, o anche al tondo musivo della Madonna con Angeli sopra il portale meridionale di S. Maria in Aracoeli a Roma.3
In letteratura l’opera è poco citata. Innanzitutto, nella IX edizione del Cicerone del 1904, si legge: “Direttamente sotto il suo [di Giovanni Pisano] influsso è stata realizzata la Madonna in tondo del Museo del Duomo di Empoli”.4 Nel 1905 Venturi la descrive come un’opera pisana dell’inizio del XIV secolo, “derivata da una [Madonna] giovanile di Giovanni Pisano”.5 Nel 1906 lo studioso pistoiese Giglioli condivide questa opinione.6 Nel 1951 Toesca fa riferimento al giovane Tino di Camaino, di impronta pisana, dalla cui mano o dalla cui cerchia potrebbe provenire l’opera,7 e il Tondo è oggi considerato direttamente di Tino di Camaino, sulla base di un’affermazione di Ragghianti nella Guida ai Musei di Empoli 8 del 1957 e nel volume edito nel 1959, “Toscana”, del Touring Club Italiano.9 A quanto risulta, nella letteratura monografica relativa sia a Giovanni Pisano che a Tino di Camaino, il tondo non è stato menzionato.
L’unico dato positivo sul quale tutti gli storici dell’arte hanno unanimemente concordato rimane, quindi, la stretta connessione con l’arte scultorea di Giovanni Pisano. Ci sembra che l’insolita concezione dell’opera e la peculiarità e l’alta qualità della sua esecuzione permettano un collegamento con Giovanni Pisano stesso, che vorremmo cercare di spiegare di seguito.
Ciò che colpisce e che è unico nella scultura di questo periodo è la versione dell’immagine della Madonna come quadro rotondo indipendente, come tondo. In accordo con le imagines clipeatae dei sarcofagi romani, la mezza figura di Maria è posta davanti a un campo circolare concavo (nell’antichità significava originariamente l’interno di uno scudo). È molto probabile che i numerosi sarcofagi con clipei di Pisa abbiano ispirato direttamente il Maestro del tondo empolese (Fig. 8).10
A lui più vicini nel tempo sono i medaglioni allineati anch’essi concavi, con busti di profeti, di uno degli scultori bizantino-romanici del periodo intorno al 1200, nell’arco del portale principale del battistero pisano (Fig. 9).11
L’immagine scolpita di forma circolare dell’antichità viene qui tramandata da Bisanzio come disposta in fila, come nei mosaici bizantini o nelle sculture in avorio. La rotondità particolarmente profonda, non “a lastra” ma sferica, dei medaglioni di questi profeti corrisponde formalmente più al tondo di Empoli che non ai clipei dei sarcofagi romani. Infatti, anche la composizione della Madonna del tondo è una variazione diretta del tipo di Odigitria bizantina, che può essere ritrovata negli avori bizantini in forma di busto all’interno di una cornice rotonda (Fig. 10), o, come nel nostro tondo, come mezza figura, sotto un arco.12
Molto probabilmente lo scultore del rilievo aveva familiarità con queste piccole opere d’arte bizantine. L’immagine plastica a tutto tondo della Madonna esiste anche nell’opera di Nicola Pisano, sebbene in una concezione molto diversa. Come abbiamo cercato di dimostrare, fu probabilmente sua l’idea di sostituire l’enorme mezza figura della Vergine e del Bambino nella tipologia della Nicopoia sopra il portale principale del Battistero pisano con un grande rilievo circolare, per farli risaltare rispetto alla fila di evangelisti e profeti ai lati, situati sotto gli archi (opera di bottega).13 Anche in questo caso la nostra ipotesi che il tondo empolese fosse collocato sopra una porta sarebbe quindi giustificabile. Nella forma specifica del motivo sul Battistero, si potrebbe vedere una goticizzazione del monumentale busto tondo della Porta Capuana di Federico II,14 la cui decorazione scultorea nel contesto del Battistero è stata riconosciuta per la prima volta da Keller. Anche qui, sopra la porta, si trovava il grande tondo con la Justitia, affiancato da tondi con i busti dei più stretti seguaci di Federico II.15
Tuttavia, la Madonna nel tondo del Battistero non è un “tondo” in senso stretto, anche se va sottolineato che nella sua solenne frontalità acquista potenza e indipendenza grazie all’inquadratura rotonda, che si può spiegare solo con un deliberato riferimento all’antica forma bizantina dell’immagine rotonda.
Una ripresa più evidente dell’antica immagine marmorea circolare si trova invece nella più stretta cerchia di Nicola a Siena: su una delle lastre scolpite provenienti dalla balaustra del coro o, come si è ipotizzato, dall’altare maggiore dugentesco della cattedrale senese, si vede il busto di una Ecclesia? alla maniera di un “ritratto nel calice a foglia” romano, in un clipeo leggermente ovale e concavo, circondato dai quattro simboli degli evangelisti (Fig. 11).16 Nella cerchia di Nicola, il motivo del clipeo compare anche su pulpiti con l’Ascensione di Cristo, in cui la mandorla di Cristo è quasi circolare: ad esempio, sul pulpito pistoiese di Fra Guglielmo (Fig. 38).17
I presupposti storico-tipologici del rilievo di Empoli sono quindi da ricercare nella tradizione artistica italiana, poiché nel gotico francese non si trovano tali fasi preliminari. Qui i rilievi, la chiave di volta o il medaglione formano singole parti indissolubili di un sistema globale; non era scontato rendere indipendente la forma circolare.
Si può ipotizzare che la scelta di questa forma nel tondo di Empoli si spieghi in modo specifico con il clima “proto-rinascimentale” della bottega di Nicola. Sotto l’influenza della vastissima esperienza artistica di Nicola, questa bottega si era trasformata in un crogiolo di ispirazioni dalle origini più diverse, ma prevalentemente antiche:18 nel suo ambiente, lo scultore del tondo di Empoli avrebbe potuto incontrare versioni romane, bizantine e bizantino-romane, e imbattersi nelle versioni italo-Hohenstaufen e nicolesche dell’immagine rotonda. Tuttavia, egli si distingue dal trattamento quasi giocosamente libero del motivo nella cerchia di Nicola, facendo della forma del tondo in piena purezza l’idea portante della sua opera, che, come improvvisa cristallizzazione di vari tentativi precedenti, appare tanto naturale quanto inedita.
Non ci sono pervenuti altri tondi mariani, né di Giovanni né dei suoi successori. Dopo la partenza di Nicola e la fusione della sua bottega con quella dei suoi allievi, la forma antica dell’immagine non sembra più avere un interesse diretto. Anche il tondo, come opera individuale indipendente, non ha alcun ruolo nella scultura del Trecento.19 Infatti, solo gli scultori del Rinascimento sembrano aver ripreso questo tema.
L’incorniciatura del tondo, che è profondamente scavato tra cerchi lisci senza profilo, suggerisce che potrebbe essere stato decorato con un’ampia fascia a mosaico. Tuttavia non ne sono rimaste tracce. Maria è raffigurata con il bambino in trono sul braccio sinistro che impartisce la benedizione con la mano destra sollevata. La mescolanza di elementi antichi, bizantini e gotici nei costumi di entrambi è particolare. Maria indossa un velo simile a un mantello che le copre le spalle e il petto, drappeggiato come una corona francese. Un’alta corona gotica di gigli poggia sulla cuffietta bizantina a strisce color porpora, di cui è appena visibile il rigonfiamento.
I riccioli insolitamente lunghi e belli del Bambino Gesù ricordano le raffigurazioni paleocristiane. Indossa una tunica con cintura sotto il pesante mantello gotico, con sandali romani, e afferra il rotolo nel gesto dei filosofi antichi. In contrasto con questo Gesù Bambino, le altre rappresentazioni dipinte o scolpite dell’epoca precedente a Giovanni mostrano solo una tunica sciolta o con cintura, spesso bordata, o questa insieme al pallio, mentre nel tondo la veste con la grande fibbia assomiglia di più a un mantello imperiale e forse ha un significato identificativo.20
Maria si solleva leggermente verso l’interno e si sporge un po’ a destra verso il Bambino che sta indicando. Nello stesso tempo, però, gira la testa lontano da lui e, come il bambino, guarda di lato fuori dal rilievo. Si crea così una forte distanza tra i due, che fa risaltare il bambino e i suoi movimenti, senza però che questo sembri compromettere la loro intesa: essa si approfondisce piuttosto nella direzione coincidente dello sguardo, cioè nell’obiettivo mentale comune.
È soprattutto il motivo di questa rotazione della testa che altera così fortemente il modello dell’Odigitria da renderlo quasi irriconoscibile. Eppure il rapporto tra la figura leggermente girata di Maria e il bambino in trono e benedicente appoggiato sul suo braccio, in connessione con il gesto della mano di Maria che indica il bambino, può essere spiegato in modo puntuale e motivato partendo da Bisanzio (cfr. figg. 1 e 10). 21
Toesca ha citato per la prima volta il rilievo a proposito della statuetta della Madonna di Tino di Camaino nel Museo di Torino (Fig. 12).22 Il suo stile è in gran parte influenzato da Giovanni. La statuetta della Madonna recentemente attribuita a lui nel Museo di S. Agostino a Genova, ad esempio, è paragonabile alla sua nella struttura.23
L’influenza prevalentemente pisana della Madonna torinese si intreccia con una spiccata sensibilità per l’ampiezza delle forme scultoree, che Tino aveva presumibilmente già portato con sé da Siena e che corrisponde anche a una tendenza verso una plasticità più marcata nelle ultime opere conosciute di Giovanni. Poiché anche la Madonna del tondo Empolese è caratterizzata da una certa forza e abbondanza di forme, si potrebbe già avanzare l’ipotesi che sia stata realizzata “intorno al 1315”.
A questo si aggiunge il modo in cui è concepito il rapporto tra madre e figlio: la grande distanza tra loro è caratteristica giovannesca in entrambe le Madonne. Ma lo stile di Giovanni è così fondamentalmente diverso in queste opere che non si può pensare a un collegamento, nel senso di una creazione parallela. La struttura della Madonna di Tino è angolare: la parte superiore del corpo si piega all’indietro con un angolo, la testa si inclina in avanti e di lato con un angolo appena marcato, il bambino si allontana dalla madre con un angolo, la testolina si protende in avanti con un angolo. Ogni elemento è fissato in un sistema di triangoli immaginari che si intersecano, in cui ogni arto e ogni piega dell’abito “resta”, per così dire, immobile. Il salto obliquo avanti e indietro all’interno del blocco conferisce al gruppo un che di congelato, malgrado l’espressività del movimento e della direzione.
Questo vale anche per l’espressione dei volti: il profilo piatto e spigoloso della Madonna di Torino, i suoi lunghi occhi a fessura, la bocca stretta sono caratteristici. Anche il sorriso del bel viso del Bambino ricorda una maschera. La complessità della struttura e l’espressione affilata del volto fanno pensare al periodo intorno al 1315-20, come lo conosciamo anche in Francia. La Madonna Empolese non presenta nessuna di queste caratteristiche.
I marcati contrasti di direzione non si manifestano all’osservatore in primo luogo come un’interessante soluzione scultorea in termini di forma, ma si fondono interamente nel senso della raffigurazione. La prima cosa che lo spettatore vede è la patetica rappresentazione che ha Maria del Bambino, del quale segue partecipe la benedizione.
Ogni movimento, ogni contrasto ha un effetto di esaltazione e chiarificazione esclusivamente in funzione di questo processo. Tale passione rappresentativa ricorda più un gruppo antico che quello di Tino, come nei movimenti delle figure in terracotta: nel sedile antico-contrapposto del bambino, nello sguardo della Madonna sul braccio angolato e sulla spalla drappeggiata, si interpretano direttamente i modelli romani (cfr. fig. 8)25 . Di conseguenza, le vesti delle figure in rilievo sono liberamente drappeggiate in pesanti motivi di tessuto cadente e sgualcito, e le espressioni facciali di entrambe non sono mascherate, ma vigorose e gravi. Nella loro forma specifica, queste peculiarità risalgono al XIII secolo. La distanza temporale e la differenza delle mani presenti nell’esecuzione delle Madonne di Empoli e di Torino separano nettamente l’una dall’altra, sebbene entrambe siano espressione della concezione che Giovanni ha della Madonna. Il confronto tra la Madonna empolese e le due statuette della Madonna di Lucca e di Berlino, citate da Venturi e Toesca a proposito della Madonna, non può che confermare questa opinione. Si tratta, infatti, di opere pisane più tarde, di uno stile forbito e ricercato, la cui affinità con quello del tondo rimane generica.
Venturi ha ragione quando dice che la figura di Empoli presuppone una prima Madonna di Giovanni. La prima Madonna che si può attribuire con certezza a Giovanni Pisano è quella a mezza figura, visibile dal transetto di sud ovest.
Note
1. Odoardo H. Giglioli, Empoli artistica, Firenze 1906, pp. 58-59. Diametro del tondo 42 cm, + cm di larghezza della cornice, 10 cm di profondità del bordo esterno al muro. Il bordo esterno presenta una leggera pendenza, cosicché il diametro posteriore è inferiore a quello anteriore. È tagliato in modo uniforme su tutto il perimetro e presenta un margine sottile di 2 cm di larghezza. La modanatura esterna della cornice sul lato sinistro all’altezza della testa di Maria è stata scheggiata nella parte inferiore e levigata. Piccole scheggiature sul bordo della corona e del velo di Maria e sull’alluce sinistro del bambino. La cornice non conserva tracce di pittura colorata o di intarsio a mosaico.
2. Ders, op. cit., pp. 23 sgg.; Agostino Morelli, Guida turistica della città di Empoli, Bologna 1959, pp. 42 sgg. 1
3. Cesare Gnudi, Giotto, Milano 1958, fig. 19a; Walter Oakeshott, The Mosaics of Rome from the Third to the Fourteenth Centuries, Londra 1967, fig. 233.
4. Jacob Burckhardt, Der Cicerone, 9a ed., Lipsia 1904, p. 389 .
5 Adolfo Venturi, Storia dell’Arte Italiana, vol. IV, La scultura del Trecento, Milano 1905, p. 257, fig. 188.
6 cfr. fig.1.
7 Pietro Toesca, Il Trecento, Torino 1951, p. 257, fig. 44.
8 Umberto Baldini, Itinerario del Museo della Collegiata, Empoli 1957, p. 14.
9 Guida d’Italia del Touring Club Italiano, Toscana, Milano 1959, p. 101.
10 Cfr. Roberto Papini, Catalogo delle Cose d’Arte e di Antichità d’Italia, Serie I, parte II, Roma 1912, fig. (passim). Sull’uso dell’imago clipeata nell’arte tardoantica e paleocristiana, cfr. André Grabar, L’imago clipeata chrétienne, L’Art de la Fin de l’Antiquité et du Moyen Age, I, Paris 1968, pp. 607-13; III, tavole 144-53.
11 Carl Shephard, The East Portal of the Baptistery and the West Portal of the Cathedral of Pisa, Gazette des Beaux-Arts, LII, 1958, pp. 5 sgg.
12 Adolf Goldschmidt e Kurt Weitzmann, Die byzantinischen Elfenbeinskulpturen des X.-XIII. Jahrhunderts, II, Berlino 1943, n. 50, tav. XX, n. 76, tav. XXIX.
13 Antje Kosegarten, Die Skulpturen der Pisani am Baptisterium von Pisa, Jahrbuch der Berliner Museen, X, 1968, pp. 14 sgg.; cfr. anche Giusta Nicco-Fasola, Nicola Pisano, Roma 1941 (di seguito citato come “Nicola Pisano”), fig. 133.
14 Carl A. Willemsen, Kaiser Friedrichs II. Triumphtor zu Capua, Wiesbaden 1955, tav. 98, 99.
15 Harald Keller, Articolo “Büste” in Reallexikon zur deutschen Kunstgeschichte, III, Stuttgart 1954, p. 269.
16 Nicco Fasola, op.cit. (Nicola Pisano), pp. 171-172; cfr. anche Enzo Carli, Lapo Donato e Goro, La Critica d’Arte, VIII, 1949, pp. 177-191, fig. 135.
17 Cfr. infra p. 73, nota 133.
18 Cfr. infra p. 73 sgg.
19 Anche se esistevano rilievi rotondi con mezze figure, ad esempio su sarcofagi, cfr. W. Rudolf Valentiner, Tino di Camaino, Parigi 1935, tavv. 40e, 59a; cfr. anche il rilievo in stile tinesco della Vergine Maria a Washington, Nat. Gall.(Kress coll. 1022). Tuttavia, non si tratta di tondi indipendenti, ma di parti di un sistema decorativo. Anche Arnolfo utilizzò la forma del tondo in senso analogo, ad esempio sulla tomba di papa Adriano V in S. Francesco a Viterbo, sul ciborio d’altare di S. Paolo fuori le mura e sulla facciata del Duomo di Firenze. Cfr. Valerio Mariani, Arnolfo di Cambio, Roma 1945, figg. 1, 37, 52.
20. Sul vestito della Madonna dugentesca, cfr. Renate Jacques, Die Ikonographie der Madonna in Trono in der Malerei des Dugento, Mitteilungen des Kunsthistorischen Instituts in Florenz, V, 1937-40, pp. 2-57; cfr. anche infra p. 52, nota 32.
21Cfr. sopra, nota 12.
22. Cfr. nota 7; perm. Luigi Mallé, Le Sculture del Museo d’Arte Antica, Torino 1965, p. 87.
23. Caterina Marcenaro, La “Madonna” della Tomba di Margherita di Brabante, Paragone XIV, 1963, fasc. 167, pp. 17-21; Max Seidel, Ein neuentdecktes Fragment des Genueser Grabmals der Königin Margarethe von Giovanni Pisano, Pantheon, XXVI, 1968, pp. 335-351, fig. 17.
24. Cfr. Harald Keller, Giovanni Pisano, Vienna 1942, pp. 60 sgg.
25. Cfr. anche Papini, op. cit.
Illustrazioni