Arte e globalizzazione
di Gigliola Tallone
L’artista vive come tutti la realtà del proprio tempo, e come è universalmente riconosciuto, al vertice dell’espressione artistica assurgono proprio quelli che ne hanno anticipato pregi e difetti. Per essere aedo del proprio tempo l’artista ne è testimone e nello stesso tempo un osservatore distaccato. Il suo non è il procedere dell’intellettuale o del filosofo che studia i fenomeni, li organizza, li contestualizza, li confronta, ne tenta una spiegazione e ne traccia un possibile futuro, di speranza o nihilista, a secondo delle epoche e del temperamento personale; l’artista procede attingendo alle emozioni profonde che affiorano dal suo subconscio in un processo di elaborazione per immagini. L’artista vive nel mondo e ne trae linfa, ma è un eremita in contemplazione mentre immagina la sua opera. Il dramma profondo consiste nella consapevolezza di non poter creare, ma solo di poter trasfigurare la realtà.
Il poeta sa che la sua unica poesia è quella che resta nella sua mente, il pittore è conscio dell’immagine primaria di quella che “dovrebbe essere” la sua opera. I mezzi sono imperfetti, la penna il pennello lo scalpello lo spartito non possono corrispondere alla numinosità dell’immagine originale.
Da qui l’immane ricerca all’aderenza dell’opera sua a una sola scintilla di intuito immaginale, con risultati talvolta sublimi che mai sono sufficienti ad un vero artista.
Ma la trasfigurazione è necessaria anche alla vita quotidiana di ogni essere umano, come l’aria che respira e l’acqua che lo disseta. La trasfigurazione ha una dimensione universale, che supera per grandezza di respiro, e scorna la dimensione globale.
Io ho conosciuto persone che mai hanno scritto un verso o tracciato un disegno, capaci di trasfigurare la realtà e di far superare a chi sta loro vicino, come per incanto – è l’unica parola possibile – i confini aridi del quotidiano, arricchendo di senso un attimo prima banale, e risvegliando, in un impeto che sconfina la dimensione estetica, l’umana comprensione. Conoscere uno di questi “artisti” dell’anima è la fortuna più grande che possa capitare in vita.
Il quesito dell’infuenza del mondo “globale” sull’arte non si pone, semplicemente perchè la sottesa idea dell’uniformità globale, in tutte le complesse accezioni, è una blasfemia per l’artista. Senza toccare temi d’ordine spirituale, mentale, intellettuale, la diversità è sustanziale all’arte, che procede per immagini. L’artista troverà il modo di esprimere l’angoscia o la speranza di un mondo ormai già avviato verso la globalizzazione – precocemente intravista dal geniale Warhol – della quale abbiamo per ora risultati disordinati e nefasti, proprio perchè la globalizzazione che dovrà subire come uomo, lo provocherà come artista, e i mezzi di diffusione globali e rapidi di questa ibrida e imperscrutabile nuova modernità, porteranno, – dai pochi ai molti- come disse Modigliani, il messaggio dell’arte che è universale.
Altra è l’implicazione economica della globalizzazione sull’arte, ma questo è mercato, e come un Velazquez è stato al servizio del suo re senza perdere la sua anima, così sarà per il futuro Velazquez.
Vedo invece un effetto devastante sulla percezione dell’arte da parte dei fruitori.
Il messaggio potente della trasfigurazione artistica è stato intercettato, banalizzato e sfruttato a fini di lucro proprio dall’imbonitore della globalizzazione del mercato travestito da Mercurio, che altro non è che la pubblicità. Si è appropiata dei termini connaturati con l’arte, basti pensare al pubblicitario che viene identificato con il termine “creativo”. Usa immagini splendenti, spesso colte direttamente da iconografia artistica, insinua paradisi, vende caffè agli angeli, suggerisce improbabili metamorfosi. Chi sarà capace di distinguere la vera trasfigurazione dalla sua parodia? Chi penserà che possa esistere un “valore artistico” se non può essere contabilizzato? Chi sfuggirà al destino di marionetta?
Per questo sento con intensità che questo tempo deve essere “Estetico” per recuperare un soprassalto etico. Non un fumoso romanticismo edonistico, ma la forza congiunta di quelli che hanno già strappato dai propri occhi il velo, impegnata a distogliere gli sguardi abbagliati dall’immagine falsa di una vita falsa, perchè vedano gli orrori di bruttura materiale e morale perpetrati in nome della lebbra del guadagno, imbellettata da immagini ingannatrici. Le parole tornerebbero a corrispondere ai valori che le sottendono e le energie congiunte di chi raggiunge la consapevolezza d’aver imboccato la strada verso il baratro tornerebbero a indirizzarsi verso la soluzione dei problemi che incatenano l’umanità. E forse allora le cene non saranno più solo scambi commerciali ma convivi tra amici, le lacrime di un bambino ci faranno ancora commuovere, le guerre “giuste” non saranno più uno spettacolo di nefanda abitudine davanti alla TV, e la bellezza di quello che non si può comprare ci scalderà ancora il cuore.