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“Amo la mia città con una passione quasi morbosa ed odio tutti coloro che la trattano con tale leggerezza che non conosce perdono… Non un ricordo marmoreo adeguato, non la più grande strada  intitolata alla stirpe dei Medici. Il Palazzo di via Larga si chiama Riccardi e fu dalla stessa casata Medici, fatto costruire dal Michelozzo.  Niente insomma, per farla breve, ricorda, come doveroso,  l’invidiata presenza di questa stirpe. Unica al mondo. Il gesto magnifico dell’ultima Medici, forse ispirato dal cardinale Leopoldo, non ha riscontro. E non lo avrà mai più”.

Così lamentava l’architetto Adolfo Coppedè  che in data 21 agosto 1945, per sopperire a questa mancanza, mise a disposizione del sindaco di Firenze la somma di lire 120.000, perché fosse indetto un concorso per l’esecuzione del modello di un monumento da erigersi alla memoria di Anna Maria Ludovica de’ Medici, figlia del Granduca Cosimo III e della principessa Marguérite-Louise d’Orléans e sorella di Gian Gastone,  l’ultimo granduca della dinastia dei Medici e appellata Elettrice Palatina dopo il matrimonio con il Principe Johann Wilhelm von der Pfalz-Neuburg di casa Wittelsbach di Sassonia, Elettore Palatino del Reno.

Fu lei che legò a Firenze tutto l’ ingente patrimonio artistico di Casa Medici, costituito dalle collezioni medicee conservate agli Uffizi, al Museo delle Cappelle medicee, a Palazzo Pitti e in vari palazzi e ville. Fu lei che con il Patto di famiglia, firmato a Vienna alla fine di ottobre del 1737 dopo la morte del fratello Gian Gastone,  evitò la disgregazione e dispersione di tutti quei beni, regolando il passaggio delle proprietà dai Medici ai Lorena a precise condizioni.

Nell’atto l’Elettrice nominò Francesco di Lorena suo erede universale con l’obbligo però di conservare in Firenze il patrimonio della casa dei Medici “per l’ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri”. “Nulla doveva essere “trasportato e levato fuori dalla capitale e dalla Stato del Granducato”.

Con quell’iniziativa Adolfo Coppedè voleva “riportare nella fulgente luce che essi meritano, tutti i Medici: da Giovanni di Bicci, gonfaloniere della città, padre di Cosimo I, all’ ultima Medici di quel ramo, l’ Elettrice Palatina Maria Ludovica”. “A tutti quei fiorentini che dicono: “Maria Ludovica? O chi era? Il monumento servirà a far sapere chi era”.

In seguito alla deliberazione della Giunta del 22 novembre 1945 fu approvato il bando di concorso di primo grado per la realizzazione del  modello in gesso del monumento di altezza di metri 2.60 – 2.70, indetto fra gli scultori nati o residenti in Toscana da almeno un triennio. Si trattava del  primo concorso, bandito  a Firenze dopo la liberazione, in pieno clima di rinascita della città, dalla prima amministrazione del secondo dopoguerra,  rappresentata dal sindaco Gaetano Pieraccini, conoscitore e studioso della famiglia Medici. 

Il regolamento stabiliva un concorso di primo grado per la scelta tra i partecipanti alla gara di  quattro bozzetti  ai cui autori sarebbero state devolute per ognuno  cinquemila lire per la formatura in gesso del modello a grandezza naturale, rappresentato a sedere o in piedi, ben curato in ogni dettaglio. Il popolo fiorentino, come indicava Coppedè,  avrebbe poi dovuto scegliere attraverso referendum e, se possibile, per sottoscrizione pubblica, quale fra questi quattro doveva essere riprodotto in marmo. 

In pieno clima di fine guerra e di cambiamento radicale dell’ assetto politico, il popolo, “ la cui voce, secondo Mazzini , è rivelazione della Voce di Dio”, era  invitato da Coppedè a “non estraniarsi dalle questioni cittadine e dalla vita dell’Arte”, ma a “prendere parte, come si usava quando Firenze giganteggiava nel mondo intero”.

Solo il vincitore avrebbe avuto l’incarico di realizzare l’opera finale in marmo, che sarebbe stata collocata “nel chiostro grande della basilica di S. Lorenzo, circondata dai grandiosi edifici che da soli bastano a dimostrare la grandezza e la munificenza della stirpe medicea: la Basilica di S. Lorenzo costruita in massima parte dai Medici del tempo di Giovanni dei Bicci e successori, la Biblioteca Laurenziana, il grande Mausoleo che racchiude i sepolcri della casata”.

Sin dall’inizio si discusse animatamente sulla sede teorica: galleria o piazza? Chiostro o giardino pubblico? Questo era il punto. C’era chi sosteneva che luogo migliore fosse il chiostro maggiore della chiesa di San Lorenzo e chi, invece, lo riteneva luogo troppo nascosto. Se la statua, poi si diceva, doveva stare al coperto, perché non il salone dei Cinquecento o quello dei Duecento? Altri proponevano l’arco degli Uffizi che affaccia sull’Arno, ritenuto da altri poco idoneo in quanto avrebbe turbato “l’armonia dell’insieme del portico” e luogo che era bene rimanesse completamente libero;  altri proponevano la nicchia del vestibolo d’ ingresso alle Gallerie degli Uffizi.

Tanti avevano messo in discussione il chiostro di S. Lorenzo perché all’aperto il marmo era soggetto a deteriorarsi facilmente. Coppedè propose la sistemazione nello smusso del muro all’ angolo di piazza S. Lorenzo di fronte al Canto dei Nelli, essendo vicine le cappelle medicee, chi, invece, segnalò le gradinate della Chiesa di San Lorenzo “all’angolo più prossimo a Giovanni dalle Bande Nere, che era pure un Medici”.

Al concorso di primo grado parteciparono 24 scultori ed i bozzetti furono esposti al pubblico nel maggio del 1946  nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Tra questi  la commissione giudicatrice di primo grado, nominata all’ interno del Collegio dell’ Accademia delle Arti e del Disegno, nella riunione del 23 maggio 1946 scelse quattro bozzetti : l’ opera dal motto “Salus medicea” dello scultore Raffaello Salimbeni, “Dio, amore e arte” di Antonio Berti, “Florentia”di Ivo Barbaresi ed il bozzetto dal titolo “Niente” di Girolamo Bonomi.

Le opere degli scultori Berti e Salimbeni furono scelte  all’ unanimità e gli altri due a maggioranza di voti.  L’ esito del concorso suscitò polemiche tra le quali quella dell’artista Pietro Annigoni, che criticò la giuria per aver escluso l’ opera dal motto “Fior Novello” di Alfonso Boninsegni, che riteneva “unico bozzetto che preludesse ad una vera statua” e quindi l’ esclusione costituiva per lui “un errore imperdonabile cui si deve porre rimedio

I quattro concorrenti , a cui fu concessa una elargizione di cinquemila lire a titolo di rimborso spese, vennero invitati , come da regolamento, a presentare un modello in gesso a grandezza naturale delle rispettive opere  improrogabilmente entro il 30 settembre del 1947 . Terminate le quattro statue modellate in gesso, queste non poterono per la loro grande mole essere sistemate convenientemente in Palazzo Vecchio e per questo sorsero grandi difficoltà per trovare ambienti adatti per la loro esposizione.

Finalmente dopo vari mesi fu concesso dal principe Ginori Conti, commissario dell’Opera di S. Croce, il grande salone del Museo al piano terreno del  Chiostro grande del Convento di Santa Croce.  Le difficoltà e gli impedimenti erano ancora all’ inizio. Le quattro statue rimasero lì depositate in attesa della loro sistemazione, la quale venne ritardata sia per superare il periodo invernale, sia per l’attesa degli scultori Berti e Barbaresi, assenti da Firenze per il concorso della nuova Porta di S. Pietro a Roma.

Nel frattempo era avvenuto anche un curioso incidente: i quattro artisti prescelti furono invitati ad accogliere un quinto concorrente “fuori concorso” e cioè lo scultore Adolfo Boninsegni, il cui bozzetto era stato eliminato dalla  Commissione giudicatrice di primo grado, ma chepretendeva di esporre la propria opera, già modellata in grandezza naturale. La maggioranza dei concorrenti legittimi giudicò  la proposta assurda e senza precedenti in concorsi d’ ogni genere e tempo.

Sorsero polemiche a non finire  negli ambienti artistici e tra la stampa cittadina, ma dopo molti mesi la questione venne superata non ammettendo l’esposizione e la partecipazione al concorso di secondo grado dell’opera di Boninsegni, già espulso al concorso di primo grado. In questo clima molto complesso sembra che fosse stato  preteso addirittura che i quatto vincitori firmassero una dichiarazione di non gradimento del quinto concorrente.

Tutto sembrava prevedere la continuazione dello svolgimento del  concorso di secondo grado. Veniva approvato il bando di concorso per effettuare la scelta del modello attraverso referendum da parte di quella parte del popolo fiorentino che si trovava raccolto in organizzazioni a contenuto e finalità artistiche. Vennero interpellati tutti gli enti culturali della città per la scelta di elettori chiamati alla votazione. Tra 32 enti furono scelti 2.537 elettori che avrebbero dovuto procedere al referendum.

Tutto ciò avrebbe comportato spese troppo gravose per il bilancio dell’amministrazione per cui questa faccenda suscitò un vespaio di polemiche e fu presto considerata da tutti una complicazione esagerata. Cominciò uno strano tergiversare del Comune che rimandava sempre la procedura,  valendosi anche delle difficoltà di organizzare un referendum popolare e così si procedette in un limbo di attesa senza alcuna risoluzione. Un velo di silenzio si abbassò sulla vicenda e senza esito alcuno furono i solleciti di chi aveva interesse per la conclusione del concorso. I quattro modelli in gesso si ricoprirono di polvere ed alcuni di essi furono danneggiati.   Si stava profilando  uno dei concorsi più lunghi e più complessi  che la storia di Firenze possa ricordare.

Si arrivò all’amministrazione del 1951, rappresentata dal sindaco La Pira, durante la quale l’ assessorato alle Belle arti riprese nel 1952 il filo del concorso rimasto sospeso, ma prospettando una procedura di giudizio diversa da quella prevista dal regolamento, vale a dire la sostituzione del referendum popolare con una giuria ristretta. Il referendum avrebbe presentato complicazioni organizzative, comportato spese enormi, quasi come indire elezioni amministrative, e, si pensava, non avrebbe dato sufficienti garanzie sulla correttezza della votazione e su un valido giudizio estetico.

Finalmente il concorso di secondo grado fu bandito il 15 febbraio 1954 ed i 29 membri componenti la Commissione, costituita in gran parte da scultori, pittori, letterati, musicisti, critici e  artigiani estratti a sorte, presieduta dal Sindaco, per la scelta del modello in gesso del monumento, nominarono vincitore Raffaello Salimbeni , autore della statua  “Salus medicea”, al quale venne corrisposta, a titolo di premio, la somma di lire centomila , quella messa a disposizione nel 1946 dall’architetto Adolfo Coppedè.

Al secondo posto della classifica risultò l’ opera “Dio, amore e arte” di Antonio Berti, al terzo “Florentia” di Ivo Barbaresi ed al quarto la scultura con il motto “Niente” di Girolamo Bonomi. Ai tre ultimi  concorrenti il Consiglio nel 1953 aveva già stanziato, a titolo di rimborso spese, la somma di trecentomila lire divisa in parti uguali e che risultò quindi la stessa cifra spettante al vincitore.

Tutto sembrava appianato, ma la costruzione della statua non fu mai presa in seria considerazione  ed ancora alla fine degli anni Cinquanta restarono sospese le decisioni sul materiale e sul luogo dove sarebbe stata collocata la scultura. Solo dopo diciannove anni dal bando del primo concorso l’amministrazione comunale di Firenze, rappresentata dal sindaco Giorgio La Pira, considerò giunto il momento di rendere giustizia all’Elettrice Palatina.

Furono reperiti i dieci milioni di lire necessari per far scolpire la statua. Raffaello Salimbeni si impegnò a realizzare l’opera nelle dimensioni esatte al modello di gesso, usando un blocco di  marmo statuario di prima qualità di Seravezza, quel marmo che risultava più resistente alle intemperie e più strutturalmente compatto ed omogeneo. Si sarebbe attenuto rigorosamente fedele alla struttura ed al carattere formale del personaggio raffigurato per una resa di massima aderenza all’immagine e allo spirito del fatto plastico impresso nell’originale della statua in gesso (compatibilmente con la diversificazione della materia)”. Lo scultore s’impegnava a realizzare l’opera entro diciotto mesi a partire dal giorno in cui il blocco di marmo necessario sarebbe stato trasportato presso il laboratorio della Ditta Varlecchi in via degli Artisti n. 10.

Le discussioni e polemiche sulla collocazione dell’opera continuarono incessantemente. Ancora si parlava del chiostro di San Lorenzo, in quanto ambiente aperto, ma sempre circoscritto in uno spazio intimo, quasi monastico, che forse, come altri ritenevano, sarebbe stato, però, intaccato dalla modernità della statua. Altri pensavano al vestibolo interno della Galleria degli Uffizi, altri, contrari, proponevano lo slargo antistante l’ingresso alla Galleria Palatina, motivato dal fatto che l’Elettrice si era ritirata in palazzo Pitti negli ultimi anni della sua vita.

Altri manifestarono l’idea di collocare il monumento nel loggiato degli Uffizi, prospiciente il lungarno che, tra l’altro, porta il nome dell’ Elettrice Palatina. Quest’ultimo risultava essere anche il desiderio degli eredi della famiglia Medici che consideravano quel luogo “più opportuno”, “quasi a simbolica guardia del suo dono, inamovibile per testamento”.

Mentre aumentavano le polemiche, non vennero meno le peripezie ed i rallentamenti . L’ alluvione del 1966 colpì anche l’ ambiente in cui Salimbeni operava ed il suo lavoro si fermò per mesi.  Solo nel 1968 la statua in marmo era stata terminata, “sbozzata”, come si disse.

Ancora negli anni Ottanta non era stato trovato un luogo idoneo dove collocarla e nel 1985 si decise il trasferimento provvisorio a Palazzo Pitti nell’atrio dello scalone Del Moro. Erano passati ormai 47 anni dal concorso di primo grado quando nel 1993 fu sistemata in San Lorenzo al Canto de’ Nelli,  vicino al campanile, una delle ultime opere commissionate dall’Elettrice Palatina.

Da molti fu giudicato un luogo poco idoneo e non adatto a valorizzare un’ opera che da ormai troppi anni attendeva una degna sistemazione. Passando vicino a quel luogo, si aveva la sensazione che la statua fosse stata dimenticata da qualcuno inavvertitamente e dallo sguardo sembrava quasi scusarsi con i passanti di essere lì.

Il tempo passa, arriviamo ai giorni nostri, vale a dire ormai al secondo decennio del terzo millennio ed ancora l’opera di Salimbeni non ha pace e fa sempre parlare di sé. A causa di lavori per la realizzazione dell’ascensore e della nuova uscita del Museo delle Cappelle medicee la statua è stata rimossa e collocata provvisoriamente nella cripta Lorenese. Si parlerà ancora di lei? Si apriranno discussioni in merito a quale spazio più degno e definitivo accordarle?

Nel frattempo altre due statue di autori legati al concorso del 1946 hanno trovato una collocazione più strategica, idonea e soprattutto definitiva. Si tratta, ironia della sorte, della scultura in gesso di Ivo Barbaresi, che risultò terzo classificato al concorso, che è stata collocata a palazzo Pitti e la statua in bronzo  di Alfonso Boninsegni, autore escluso dal primo,  che si trova dal 2010 nella cripta di S. Lorenzo, in prossimità della tomba dell’ Elettrice Palatina nelle Cappelle medicee.

 

Jan_Frans_van_Douven,_Doppelbildnis_Johann_Wilhelm_von_der_Pfalz_und_Anna_Maria_Luisa_de'_Medici_(1708)

 Anna Maria Luisa e Giovanni Guglielmo, ritratto di Jan Frans van Douven, 1708.

 


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