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GLI INTERVENTI DI RESTAURO

 

Frutto di un lavoro di squadra è stato il progetto di manutenzione e restauro della Cappella del Cardinale del Portogallo necessario e reso possibile dal generoso contributo della Fondazione Friends of Florence. I vari restauratori coinvolti nel progetto sono intervenuti sul complesso e ricco monumento applicando in primis il principio del minimo intervento e della compatibilità dei materiali e mettendo a punto metodologie innovative per risolvere alcuni problemi legati alla pulitura delle superfici. Di seguito si forniscono indicazioni dettagliate sugli interventi effettuati alle opere presenti nella Cappella del Cardinale di Portogallo.

 

LE PITTURE MURALI

Alessio Baldovinetti e Piero ed Antonio del Pollaiolo

 

 

Il 27 settembre del 1466 Baldovinetti venne incaricato di dipingere “ tutt’e vani della Chappella” per la somma di centoventi fiorini.  Il ciclo pittorico parietale  firmato “Alessio Baldovinetti” è costituito, infatti, da quattro lunette raffiguranti i Quattro evangelisti ed i Padri della Chiesa occidentale (San Gregorio Magno, San Girolamo, Sant’Agostino, Sant’Ambrogio), dieci pennacchi con profeti e patriarchi ed una lunetta con raffigurato l’Hortus posto sopra la tavola con l’Annunciazione dipinta dallo stesso artista.

Completano la decorazione parietale gli Angeli-reggidrappo dipinti da Piero ed Antonio del Pollaiolo  di compendio alla pala d’altare dipinta dagli stessi artisti.

Per quanto riguarda la tecnica esecutiva sappiamo dalle fonti  e dai risultati delle indagini scientifiche svolte in occasione del presente restauro che il Baldovinetti  dipinse l’intero ciclo a secco attraverso l’impiego di un legante organico su di un intonaco molto liscio. Così Vasari esamina la tecnica del Baldovinetti nella Cappella Gianfigliazzi in S. Trinita: “Alesso abbozzò a fresco e poi finì a secco, temperando i colori con rosso d’uovo mescolato con vernice liquida fatta a fuoco: la qual cosa pensò dovesse difendere la pittura dall’acqua”.

Il restauro eseguito ha quindi offerto la possibilità di approfondire e di studiare alcuni aspetti della tecnica esecutiva delle pitture caratterizzata da peculiarità non solo nel legante ma anche nel disegno preparatorio, nella scelta di certi pigmenti, primo fra tutti la biacca. 

Dopo un’accurata campagna fotografica nel visibile in alta risoluzione si è proceduto alla campagna diagnostica per immagini per ottenere informazioni relative alla morfologia del manufatto,  ai materiali non distinguibili a luce visibile, all’evidenziazione di composti organici e all’ identificazione di alcuni tipi di pigmenti, tramite riprese in ultravioletto ed infrarosso.

Dal punto di vista conservativo, le pitture si trovavano in un discreto stato di conservazione, grazie al restauro condotto nel 1974 da Giuseppe Rosi e seguito dall’OPD. 

Il principale fenomeno di degrado era costituito da un attacco biologico, costituito da funghi e batteri, presente in determinate zone e causato dalla commissione di microclima e sostanze organiche presenti sulle superfici.

Il problema è stato risolto analizzando le specie in laboratorio e testando in vitro i possibili biocidi, scegliendo così il quantitativo minimo di principio attivo da impiegare sulle superfici con la garanzia di una risposta performante. 

La delicata fase di pulitura, preceduta da accurati test, si è indirizzata principalmente verso  metodi a secco, privilegiando il cosiddetto dry cleaning, tramite l’impiego di gomme in lattice vulcanizzato.

Trattandosi di superfici pittoriche complesse la pulitura è stata differenziata in base alle zone da trattare e per questo si è avvalsa di un fondamentale strumento come quello  del laser, fornito gentilmente da El.En Group ed  impiegato per la pulitura del drappi rossi degli angeli del Pollaiolo.

Il restauro si è concluso con le operazioni consuete di stuccatura e di ritocco pittorico condotto con acquerelli.

 

 

LE TAVOLE DIPINTE

Alesso Baldovinetti

 

 

Annunciazione

Il lavoro svolto sulla preziosa tavola dipinta da Alesso Baldovinetti, ci ha consentito di rilevare una grande quantità di informazioni sull’ inconsueta tecnica esecutiva che l’artista impiegò e sulle particolarissime forme di degrado che il dipinto presentava, obbligandoci a individuare soluzioni conservative adeguate. La scena dell’Annunciazione è dipinta con una tempera proteica stesa su un supporto sottilissimo di legno di quercia, privo di ammannitura. Il dipinto doveva in origine essere impreziosito da numerose dorature a missione e lacche rosse, di cui oggi possiamo apprezzare solo poche tracce. Le superfici erano molto inscurite e lacunose, era inoltre evidente un attacco da insetti xilofagi ancora attivo: sono stati contati oltre cinquecento fori di sfarfallamento. Per prima cosa la tavola è stata disinfestata dai biodeteriogeni tramite trattamento in ambiente anossico; sul retro é stato posto un telaio perimetrale dotato di un sistema elastico a molle che consente di controllare i naturali movimenti del tavolato senza bloccarli. L’intervento sulla superficie ha rimosso i numerosissimi ritocchi alterati, dovuti a un restauro degli anni Settanta, alleggerito le sostanze filmogene inscurite presenti e restituito un’unità di lettura tramite puntuali integrazioni cromatiche condotte con colori ad acquerello e matite colorate.

 

Copia della pala di Antonio e Piero del Pollaiolo Santi Vincenzo, Giacomo Maggiore ed Eustachio

 

 

Il dipinto con i Santi Vincenzo, Giacomo Maggiore ed Eustachio, è una copia degli anni Trenta del Novecento della pala di Antonio e Piero del Pollaiolo conservata oggi nella Galleria degli Uffizi. Il dipinto presentava una patina biologica molto evidente e una coltre di depositi dovuti alla combustione di candele; in occasione di un restauro precedente, tutta l’area del cielo era stata uniformemente velata con una vernice pigmentata che ne aveva notevolmente appesantito il tono azzurro.  Rimosse le patine biologiche tramite l’applicazione di un biocida, i depositi e le vernici sono stati alleggeriti tramite l’impiego di miscele solventi.

 

I MATERIALI LAPIDEI

Antonio Rossellino – Tomba del Cardinale

 

 

L’intervento conservativo sul monumento funebre si è occupato della pulitura e del riordino estetico delle superfici lapidee. I consistenti depositi atmosferici che velavano i marmi, sono stati rimossi tramite una preliminare aspirazione e una prima pulitura a secco con spugne in poliuretano. In una seconda fase, gli accumuli di maggiore entità sono stati alleggeriti mediante una puntuale pulitura con tamponi di cotone e soluzioni a bassa concentrazione di sali d’ammonio. Pochissime velature ad acquerello ci hanno consentito di equilibrare le aree leggermente svelate da antiche puliture. Il restauro ha messo in luce piccole tracce di policromia e doratura che in origine dovevano coprire buona parte del marmo, oltre ad aver restituito i giusti equilibri tra le parti scolpite a tutto tondo e gli elementi architettonici, che ora si mostrano in maggiore armonia con il complesso delle superfici della Cappella.

 

Elementi in pietra serena con stemma policromo ed epigrafe in marmo 

 

La ripartizione architettonica della cappella, progettata dal Manetti in pietra serena, è costituita da quattro arcate a cassettoni, decorate da 69 rosoni di pietra rivestita da foglia d’oro su sfondi dipinti probabilmente ad imitazione di pietre più preziose come il marmo ed il porfido. L’osservazione mediante luce UV e le indagini chimiche effettuate hanno infatti messo in evidenza nei fondi l’utilizzo di bianco di piombo (biacca) con striature di colore più scuro e ocra rossa rinvenuta in tracce.

Lo stemma del Cardinale in pietra serena dipinta, col “galero” cardinalizio, che campeggia sopra l’arco d’ingresso, è realizzato con pigmenti inorganici stesi a tempera e dorature a missione. Al di sotto vi è un’iscrizione in marmo bianco che ricorda la traslazione del corpo e la consacrazione nel 1466 da parte del Vescovo Alvaro, con dedica ai santi Giacomo, Vincenzo ed Eustachio.

L’intervento si è prefigurato come una revisione conservativa delle superfici lapidee danneggiate da infiltrazioni, più o meno recenti, provenienti dalle finestre collocate al di sotto della volta, e da interventi pregressi che hanno previsto diverse patinature per omogenizzare le svariate sostituzioni di interi elementi lapidei. Le operazioni di pulitura, oltre a rimuovere i consistenti depositi atmosferici, sono consistite nell’asportazione dei sali inquinanti portati dalle acque di infiltrazione e delle patine alterate che nascondevano la tipica cromia della pietra serena.

Gli elementi dorati sono stati puliti con tamponi di saliva artificiale, mentre le parti policrome dei fondi, interessate da un importante attacco biologico, sono state trattate con biocida individuato mediante gli antibiogrammi effettuati sulla cultura dei campioni prelevati. 

Infine è stato eseguito il riordino estetico al fine uniformare le superfici.  

 

LE TERRECOTTE INVETRIATE

Le Quattro Virtù cardinali e lo Spirito Santo di Luca della Robbia

 

 

La volta a vela della cappella del cardinale del Portogallo presenta una copertura in terracotta invetriata che raffigura cinque grandi medaglioni con bassorilievi, con al centro la colomba con lo Spirito Santo e ai lati le quattro Virtù cardinali realizzate in altorilievo. Attorno ai medaglioni il fondo è realizzato con piastrelle a rombi in giallo, verde e porpora. 

Gli elementi figurativi sono stati modellati direttamente in argilla, mentre gli elementi decorativi che circondano i medaglioni sono realizzati a stampo. Le varie piastrelle, per la maggior parte quadrate ma anche di varie forme a seguire l’andamento della volta, sono state decorate incidendo per mezzo di punte metalliche sull’argilla ancora cruda a creare il disegno. 

L’intera superficie della volta mostrava un copioso strato di deposito atmosferico concentrato principalmente sugli elementi più bassi, nelle zone in sottosquadro e sulle figure. 

In particolare, su molte piastrelle del fondo si notavano fratture passanti di varia entità probabilmente riconducibili ad attriti tra i vari elementi in terracotta. In corrispondenza delle figure in altorilievo vi erano invece piccole lacune a livello dell’invetriatura.

Tra il fondo di ciascun medaglione e la rispettiva cornice si osservava la probabile malta originale pigmentata con una colorazione alterata in verde.

Fra i vari elementi si potevano osservare altri stucchi riconducibili a interventi pregressi che talvolta ricoprivano la superficie originale. Parziale era la presenza di oro originale: la decorazione dorata residua era stata in buona parte rafforzata da ridipinture di colore bruno o in porporina, stese in maniera grossolana e oramai alterate. 

L’intervento di restauro si è finalizzato alla messa in sicurezza e consolidamento dei vari elementi in terracotta e delle malte che li tengono insieme a formare una struttura solidale, ma anche al recupero estetico della superficie invetriata. 

Il consolidamento è avvenuto sia superficialmente, mediante applicazione di resine acriliche fluorurate, a ristabilire l’adesione tra lo smalto e il substrato fittile, sia in profondità, per restituire coesione al corpo ceramico, attraverso infiltrazioni dello stesso materiale.

La pulitura della superficie invetriata è stata realizzata attraverso impacchi di soluzione acquosa a ph leggermente basico che ha solubilizzato e quindi rimosso lo spesso strato di deposito presente sulla superficie. È seguita la rimozione meccanica delle malte riconducibili a precedenti interventi di restauro che ricoprivano la superficie originale. Queste sono poi state sostituite da malte di nuova formulazione, a integrare le originali precedentemente consolidate.

Un’importante fase di questo intervento è stata la pulitura per mezzo di laser, per la prima volta utilizzata su di una superficie in terracotta invetriata. Tale tecnologia ha permesso la rimozione selettiva delle ridipinture in porporina ormai alterate e la riscoperta della foglia oro originale applicata a missione. 

Infine l’integrazione, prima materica e poi pittorica, ha restituito leggibilità e unità a una delle opere più importanti di Luca della Robbia.

 

IL CANCELLETTO

 

L’intervento di manutenzione straordinaria del cancelletto in ferro battuto, forgiato e parzialmente dorato a foglia, è servito a rimuovere le sostanze applicate in precedenti manutenzioni, all’eliminazione dei prodotti di alterazione ed alla stabilizzazione delle corrosioni.

Nell’intervento è emersa la firma autografa dei fratelli MASCHIETTI, autori del manufatto di delimitazione alla cappella, eseguito a metà ‘800.

 

LE VETRATE 

 

Le vetrate della Cappella sono due circolari (66 cm diametro) e tre a lunetta (cm 63 x 156).

Le cinque vetrate erano sporche di polvere di deposito, schizzi di calce e depositi resistenti.

Avevano alcuni vetri rotti e altri lacunosi, mentre il piombo perimetrale e le barre di sostegno erano in pessime condizioni. I vetri sono planari, vecchi ma non sono rulli. E’ probabile che le vetrate antiche siano state sostituite da queste più moderne nel secolo passato.

Il restauro ha visto lo smontaggio delle cinque vetrate con mezzi meccanici, il loro ricovero negli spazi adiacenti e l’intervento che è stato lo stesso per tutte. Dopo la documentazione fotografica e la spolveratura di rito, ho pulito i vetri e i piombi con soluzione acquosa e tensioattivo neutro: i vetri sono stati asciugati con carta di pura cellulosa. I vetri lacunosi sono stati sostituiti con altri similari, mentre quelli rotti sono stati incollati con resine specifiche. I piombi ammalorati sono stati sostituiti con altri nuovi, e sono state sostituite tutte le vecchie legature con nuovo filo di rame. Tutte le vetrate hanno avuto una nuova stuccatura a sigillatura delle tessere con la tecnica tradizionale. L’intervento si è diversificato dal passato realizzando cinque nuovi telai in acciaio verniciato su cui le vetrate sono state reinserite, legate alle barre e sigillate. I telai con le vetrate sono stati collocati negli spazi esistenti delle imbotti in pietra serena, fissati con viti e tasselli e sigillati con silicone strutturale.

 

IL MONITORAGGIO DEL MICROCLIMA

 

A seguito delle problematiche di umidità rilevate sui diversi manufatti è stata improntata una campagna di monitoraggio del microclima tramite l’istallazione di strumenti di misurazione dei parametri termoigrometrici all’interno della cappella per un periodo di nove mesi. Gli strumenti utilizzati sono stati posizionati a diverse altezze e nei diversi lati della cappella e hanno rilevato l’umidità relativa e la temperatura sia ambientale che a contatto della superficie pittorica.

Dal rilevamento si è visto come le temperature superficiali non vadano mai al di sotto della temperatura di rugiada della miscela d’aria interna, il che significa che durante il periodo di monitoraggio non si sono mai verificate situazioni di rischio dovute alla condensa del vapore acqueo presente nell’aria sulle superfici interne.

Questo dato molto importante ci ha permesso di comprendere che le problematiche rilevate erano principalmente riconducibili alle infiltrazioni di acqua piovana proveniente dalle finestre collocate nell’ultimo registro al di sotto della volta. Pertanto, in accordo con i funzionari della Soprintendenza, è stato deciso di rimontare le finestre restaurate leggermente inclinate, lasciando quindi un piccolo spiraglio in alto per l’areazione della cappella e in modo che la pioggia battente scivoli verso l’esterno. Lo stesso accorgimento, per evitare il passaggio dell’acqua, è stato realizzato mediante la stuccatura alla base delle finestre con uno scivolo verso l’esterno.

 


 

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