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RICCARDO MUSATTI

CATALOGO GIOVANILE

DI COSIMO ROSSELLI

Estratto dalla Rivista d’Arte – Vol. XXVI (Annuario 1950)

 

FIRENZE

LEO S. OLSCHKI – EDITORE

1950

 

Riccardo Musatti con Giorgio Soavi a una esposizione di Giacometti

 

Della prima istituzione di Cosimo alla bottega di Neri di Bicci abbiamo una testimonianza documentaria chiara e sicura.1 Ma quando ci adopriamo a trovarne la conferma negli elementi stilistici delle opere rosselliane che più si avvicinano cronologicamente a quel giovanile periodo di tirocinio, risulta quasi affatto impossibile riconoscere in esse particolari articolazioni di linguaggio pittorico che il nostro abbia potuto direttamente derivare dall’operoso artefice fiorentino. Possiamo quindi pensare che la faticosa ed incerta maniera di Neri lasciasse durevole memoria di sé nella pittura di Cosimo specialmente in talune costruzioni composite o stanche, in talune definizioni plastiche aspre e impacciate, o magari in alcune figure di Santi che paion quasi severamente intagliate in un vecchio legno d’ulivo.

1) Dai Ricordi di Neri di Bicci risulta che il Rosselli rimase presso di lui ad imparar l’arte per circa tre anni e, fatto saldo e ragione il I° di marzo del 1455, si allontanò definitivamente il 4 ottobre del ’50. Cosimo aveva allora 17 anni, essendo nato nel 1439. Cfr. VASARI, Le Vite, ed. Milanesi, III p. 258 e V, p. 27 nota 2.

Subito dopo la permanenza presso Neri di Bicci, il Rosselli entra pienamente nell’orbita di Benozzo Gozzoli, la cui influenza sarà decisiva nella formazione della sua pittura. Lo stile di Benozzo s’imprime sulla debole costituzione del linguaggio di Cosimo, lasciandovi una nitida impronta non soltanto di sé, ma di quelle precedenti maniere che in esso si erano calate e trasformate, ma non completamente fuse. E’ appunto attraverso il Gozzoli che il giovane Rosselli conobbe e subì, come già acutamente osservava il Cavalcaselle, l’esperienza pittorica dell’Angelico.

La questione del primo avvicinamento di Cosimo al Gozzoli ci appare strettamente connessa all’altra, non ancora completamente chiarita, dell’attività del nostro a Pisa. Nell’autunno 1466 il Rosselli dipingeva una Storia della Natività, ora perduta, nel Duomo di quella città e l’8 gennaio del ’67 riscuoteva il pagamento « per dipintura et oro et colori »2.

2) Archivio dell’Opera. Ricordanze I, p. 76, e 1893, Ibidem p 421 Libro Rosso  A. Cfr. I.B.SUPINO  in Archivio Storico d’Arte VI, 1893, p.421

Appunto in quest’ anno Benozzo poneva mano al ciclo di affreschi del Camposanto di Pisa, che doveva tenerlo occupato per oltre tre lustri. Fra i numerosi aiuti che coadiuvarono il maestro nell’opera amplissima, è possibile fosse anche Cosimo Rosselli. E’ un’ipotesi plausibile, ma la mancanza di elementi decisamente affermativi sia nel campo stilistico che in quello documentario ci invita a condividere col Van Marle3 una posizione di dubbio.

 3)  VAN MARLE. The development of Italian schools of painting.  The Hague 1935, XI, p. 580.

Invece di ricercare dunque, con scarsa speranza di una soluzione decisiva, la probabilità di effettivi rapporti biografici fra Benozzo e Cosimo, quale maestro ed allievo, giova piuttosto ricostruire la fisionomia stilistica di quel manipolo di opere giovanili del Rosselli che presentano con maggiore evidenza i caratteri dell’ influsso benozzesco.

Il Van Marle credette riconoscere nel « Calvario » della National Gallery of Scotland di Edimburgo (N. 953)4 un’opera rosselliana assai primitiva, in cui i caratteri benozzeschi del paesaggio, già derivati dall’Angelico, non hanno cancellato una certa rigidità propria a Neri di Bicci. Tale attribuzione inesatta (e dal Van Marle stesso riconosciuta ipotetica) si riconnette con un più importante quesito relativo all’eredità artistica del Gozzoli. Il dipinto edimburghese fu infatti inserito prima dal Longhi5, e poi dal Berenson6 nel novero delle opere assegnate al « Maestro Esiguo », altrimenti detto «Alunno di Benozzo».

4) Riprodotto in VAN MARLE, Op. cit., X, p. 587, fig. 357. Per economia di spazio, il corredo iconografico del presente articolo è ridotto alle sole opere inedite, ovviandosi per le altre con rimandi, purtroppo non sempre agevoli.
5) R . LONGHI, in « Vita Artistica» Aprile 1927, pp. 68-9.
6) B. BERENSON, Pitture italiane del Rinascimento, Milano, 1935. Ogni altra volta che nel testo si citi questo critico, s’ intende rimandare, salvo indicazione contraria, a tali Cataloghi.

Si potrebbe pensare dunque di riconoscere in certa parte della produzione del « Maestro Esiguo » gli incunabuli dell’attività artistica del Rosselli. Ed infatti il Brandi ha attribuito a Cosimo un’«Assunzione della Vergine » della Pinacoteca di Siena7 assegnata dal Berenson appunto all’ « Alunno di Benozzo ». In realtà caratteri rosselliani vi appaiono evidenti in certi tipi faciali, minutamente segnati, ed in tutta la parte superiore composta con una ricerca di eleganza e di leggerezza che si risolve invece in un’artificiosa calligrafia.

7)   C. BRANDI,  La R. Pinacoteca di Siena, Roma, 1933, N. 383.

E potremmo inoltre notare che, se, come rileva il Berenson8, la maggior parte delle opere finora assegnate all’ « Alunno di Benozzo »  rappresentano fatti della Passione di Cristo, un’analoga simpatia iconografica è riscontrabile anche nei dipinti più giovanili di Cosimo. Ma insistendo in tale tentativo di avvicinamento cadremmo in un grosso abbaglio. Gli elementi di Benozzo, ripetuti dall’ « Alunno », sono, come indica il Berenson, quelli di un Benozzo tardo che ha ormai vissuto le vaste esperienze degli affreschi del Camposanto pisano. Non sarà quindi lecito neppure supporre un’ identità col Rosselli in una fase  completamente  anteriore  al 1471,  opponendoci  del  tutto all’ opinione   del  Longhi  che  vorrebbe  il  « Maestro  Esiguo » « educato ai segreti tecnici fiorentini da Benozzo, forse verso il 1470 ». Gli elementi rosselliani talora riconoscibili in questo pittore sono agevolmente spiegabili in diversa maniera. Si potrebbe infatti pensare per lui ad uno sviluppo in questa parte parallelo a quello di Cosimo, e forse ritardato da una mentalità artigiana, o piuttosto potremmo credere che il « Maestro Esiguo» oltre che per il diretto accostamento all’opera benozzesca, abbia attinto allo stile di quell’artista anche attraverso talune esperienze compiute da Cosimo nell’orbita esclusiva dell’influsso del Gozzoli.

8)  B. BERENSON, Pitture senza casa: il Quattrocento fiorentino, in « Dedalo » XII, 1932, pp. 837-41.

Sparita, o divenuta d’ impossibile identificazione, la tavola dipinta dal Rosselli nel 1468 per la Cappella dei SS. Nicolò e Antonio nella distrutta Chiesa di San Pier Scheraggio 9, il manipolo delle opere databili anteriormente al 1471 presenta un nucleo stilistico povero, ma chiaro.

9) Della commissione, affidata al Rosselli da Mariano di Stefano Nesi, si ha ricordo in un documento tuttora inedito dell’Archivio di Stato di Firenze, cui accenna H. D. GRONAU (in Thieme-Becker Kunstler-Lexicon, XXIX, p. 34.) Il Gronau, certo sulla fede dell’ indicazione del CAVALCASELLE (Storia della Pittura in Italia, Firenze 1898, p. 181) crede d’identificare il dipinto rosselliano con una  «Madonna in trono e i SS. Antonio Abate e Niccolò » segnata nel Catalogo degli Uffizi ed.1890 col N. 64. Questa tavola, che il Cavalcaselle attribuiva alla scuola del Rosselli e diceva già assai restaurata, è stata successivamente tolta dall’esposizione e ne ignoro la sorte.

La tavoletta con il « Cristo morto »10 già Von Nemes poi nella Collezione Goudstikker di Amsterdam, per quanto evidentemente ritoccata, rivela la sua qualità giovanile in una disposizione nitida ed elementare in cui le difficoltà e gli intoppi dell’espressione pittorica sono non pertanto scontati da un nativo valore di schiettezza.

10)  Riprodotta in VAN MARLE. Op. cit,., XI, p. 580 fig. 358.

I colori aspretti e splendenti sono avvicinati con un gusto decorativo che induceva Lionello Venturi 11 reticente su un’attribuzione precisa, a pensare all’opera di un miniaturista, mentre certe giustapposizioni di azzurri e di rossi richiamano, sia pur fievolmente, gli accordi cromatici dell’Angelico. Ma l’ influsso del Gozzoli imprime ben più chiari segni sul pallido volto del Cristo. La stagione giovanile del pittore è poi significata soprattutto dalla lieta descrizione del paesaggio in cui le scene animate di figurette si svolgono tra corsi d’acqua e poggi coperti di verde. La visione serena della natura, macchiata di colore, si differenzia sostanzialmente dalle immagini di picchi squallidi e di arbusti solitari care al « Maestro Esiguo ».

11  L. VENTURI, Catalogue de la Collection Marczell Von Nemes (Vendita 13-14 novembre) Amsterdam 1928.

Un distacco può segnarsi tra questa prima e le opere successive: i motivi e i tentativi si van facendo più vari e complessi, ma con esito incerto e non sempre felice.

La «Deposizione» della Collezione Johnson di Philadelphia 12 ricerca il suo equilibrio in un ampio inquadramento paesistico, ma la visione della natura non perviene ad un’unità di ritmo col dramma che in essa si svolge.

12) Nel Catalogo Johnson (Catalogue of a collection of paintings, etc., Philadelphia 1913, N.72, p. 273, riprodotto) il BERENSON dava il quadro a F. Granacci giovane. strettamente influenzato da David Ghirlandaio, pur già notando nel Nicodemo un netto richiamo al Rosselli. Il nome di questo è stato fatto esplicitamente negli ultimi Elenchi.

Quasi a riempire la scena troppo vasta il pittore dispone attorno a quelle di centro altre figure isolate, goffe malcostrutte ed estranee. Il giovane in piedi, dietro le Marie, è uno spettatore attonito e sproporzionato. In questa disattenta cornice il gruppo centrale sembra levarsi in un coro più raccolto e drammatico. Le figurette delle sante donne sono anch’esse infagottate in un panneggio sommario e gonfio, ma appaiono animate da una fresca vena di ricerca psicologica in un vario atteggiarsi dei volti costernati, delle mani agitate, degli occhi lacrimosi. Dinnanzi a queste figure segnate dall’ angoscia, il corpo ignudo del Cristo, disegnato con un modo secco ma nobile, giace esanime sul bianco Sudario. La Maddalena, coi capelli sciolti, è in atto di baciare la mano del Salvatore. Nei dipinti di Cosimo giovane rivedremo ancora questa figura dolorosamente e faticosamente contorta, come pure quella del vecchio e barbuto Nicodemo.

La maniera descrittiva e brillante della tavoletta Goudstikker, ha qui lasciato posto ad un maggior impegno di narrazione drammatica. Il risultato appare frammentario, oscurato qua e là da incertezze formali, da mal assimilate reminiscenze. Da ciò si sono determinati dubbi di non piccolo momento sulla cronologia e sino sulla paternità del quadro. Tuttavia è proprio il giovane Cosimo che qui si travaglia nello studio di plastici effetti di chiaroscuro, come si nota nel Santo imberbe (in primo piano, a destra), che subisce per altro una chiara suggestione verrocchiesca. Ma l’illuminazione fiacca ed incerta non vale certo ad esaltare, bensì piuttosto a limitare il già debole afflato poetico che anima il quadro.

 

Fig.1 – COSIMO ROSSELLI —  Cristo spogliato e la salita al Calvario  (Londra, Coll. Harris)

 

La Collezione H. Harris di Londra conserva due frammenti rappresentanti « Cristo spogliato »  e « La salita al Golgota», ora raccolti in un dittichetto (fig. 1). La parentela di queste due scene colla « Deposizione » Johnson è comprovata da innumerevoli elementi che vanno dai tipi somatici (vedi la Vergine o il profilo all’estrema destra) al paesaggio ondulato con le strane costruzioni a pinnacoli, tuffate nel verde. Ma le figure sono modellate con maggior scioltezza e senso delle proporzioni sotto un panneggio solcato da ombre profonde. E mancano inoltre quegli inserti di figure estranee alla composizione che qui si svolge con un respiro breve, ma in qualche modo conchiuso 13.

13) I due frammenti Harris dovevano indubbiamente far parte di una serie di storiette della Passione che si potrebbe pensare comprendesse anche la « Deposizione » Johnson, come pannello centrale. Il Berenson avanza l’ipotesi della pertinenza di quest’ultima tavoletta ad una predella. Recentemente però ANDOR PIGLER (Reminiscenze trecentesche a Firenze nell’ultimo quarto del sec. XV in « Annuario 1947 dell’Istituto ungherese di Storia dell’arte di Firenze,» pp. 81-87) ha imbastito l’ipotesi che la tavola di Boston, come pure la tavoletta del Museo Budapest, rappresentante « La Resurrezione di Cristo e la discesa dello Spirito Santo» siano opere della bottega di Cosimo, databili intorno al 1475. L’ipotesi appare assai gracile e mal documentata giacché fin dalla riproduzione fotografica si nota una differenza qualitativa profonda fra il quadro di Budapest, che è davvero un’opera mediocrissima, e quello di Boston, mentre  d’altra parte il Pigler sembra ignorare l’esistenza degli altri dipinti di cui abbiamo qui discorso e che sono essenziali ai fini della ricomposizione critica di questo momento dell’arte del Rosselli.

Assai vicina a quella di Philadelphia è un’altra storia della Passione conservata al Fine Arts Museum di Boston 14. Allo spirito raccolto e statico della « Deposizione » Johnson questa «Discesa dalla Croce » contrappone una composizione che vuol essere movimentata e complessa, ma che si riduce infine a un abile gioco di manichini 15.

 

Fig. 2 – COSIMO ROSSELLI –  La Pietà, (Berlino, Kaiser Friedrich Museum) 

 

La « Pietà »  del Kaiser Friedrich Museum di Berlino (N. 71) (fig. 2) appartiene senza dubbio allo stesso momento stilistico delle tavole precedenti, ma è forse databile in un periodo cronologicamente di poco posteriore. La scena anziché disperdersi in gruppi variamente atteggiati, è raccolta nella chiusa cornice architettonica di un tempietto funerario e le figure debbono adattarsi nel breve spazio. Questo tentativo di dare al quadro un ritmo più serrato non ha però esito e la voluta semplicità ingenera quella freddezza che è conseguente all’artificio. Il pittore ripete stancamente gli stessi tipi: rivediamo la Madonna infagottata in un ampio manto dalle pieghe negligentemente disposte, ed è la stessa Maddalena della tavola Johnson che, sparse le bionde trecce sulle spalle incurvate, bacia ancora una volta la mano del Salvatore. Non sapremmo pertanto escludere completamente l’intervento di un aiuto che abbia determinato un ulteriore scadimento dei già scarsi valori formali.

 

Fig. 3  –  COSIMO ROSSELLI –  Mosè e Abramo. (Firenze, Galleria dell’ Accademia)

 

 Fig. 4 – COSIMO ROSSELLI –  Due evangelisti, affreschi nella volta della C. Salutati (Fiesole, Duomo)

 

Le due tavolette della Galleria dell’Accademia di Firenze, rappresentanti l’una Mosè e Abramo (N. 8633) (fig. 3), l’altra David e Noè (N. 8632) (fig. 4) sono probabilmente frammenti di una stessa predella e, come parti di secondaria importanza di un’opera maggiore, potrebbero rivelare anch’esse la mano di un aiuto. Tuttavia sia Adolfo Venturi 16 che Bernardo Berenson le hanno assegnate senz’altro al maestro, non precisandone però il momento stilistico.

 16)   A. VENTURI, Storia dell’arte italiana. VII, P. I, p. 696.

Non pertanto è innegabile la strettissima parentela di tali figure con quelle virili della Pietà di Berlino. Vediamo la stessa trattazione dei volumi a masse ampie ma senza sodezza plastica, lo stesso studio coloristico ingenuo e monotono. Gli occhi piccoli sono tagliati nella medesima forma e le ciocche dei capelli sono segnate con eguale, compiaciuta minuzia. Tra il Nicodemo di Berlino e il Noè si potrebbe addirittura parlare di identità iconografica.

Allo stesso periodo primitivo dell’attività di Cosimo è attribuibile l’altra Pietà di proprietà del Sig. Oscar B. Cintas di New York, indicata nei Cataloghi del Berenson 17. Essa ripete sostanzialmente lo schema compositivo della tavola di Boston, però con un più stretto aggruppamento intorno al motivo centrale di una grande Croce drizzata in mezzo alla scena.

17) Ho potuto vedere una riproduzione di tale opera nell’Archivio fotografico del Signor Berenson, che colgo qui l’occasione di ringraziare per la sua squisita liberalità.

Il Berenson indica ancora un affresco con la « Deposizione  » nella Cella 32 del Convento di San Marco a Firenze. Ma, senza neppur sottolineare il significativo silenzio della tradizione circa una possibile attività di Cosimo nell’ambito di quel Convento, i caratteri che potrebbero togliere questo dipinto, di schema troppo semplice e schietto, ai seguaci dell’Angelico per attribuirlo al Rosselli giovane sembrano piuttosto dovuti ai numerosi guasti dovuti al tempo e alle ridipinture.

Il Cavalcaselle assegnava dubitativamente a Cosimo gli affreschi della volta e della parete di fondo nella Cappella Salutati del Duomo di Fiesole, ma accanto al nome del nostro poneva come possibili quelli di Alesso Baldovinetti e del Gozzoli. Ai caratteri stilistici di quest’ultimo, precipuamente nel periodo di San Gemignano, le quattro figure di Evangelisti nella volta (fig. 4) sono in verità strettamente legate. Ma un certo impaccio nella costruzione dei corpi, un panneggiare trito e ridondante e soprattutto l’atteggiarsi e il giuoco delle ombre sui  volti,  rivelano la mano di Cosimo  nello stesso momento formale delle opere precedenti.

 

  Fig. 5 – COSIMO ROSSELLI – S. Leonardo                                               (Fiesole, Duomo)

 

Invece le figure di San Leonardo (fig. 5) e di San Giovanni Battista sulla parete di fondo sono disegnate con un profilo così fermo da ricordare quel gusto quasi d’ intarsio pittorico caro al Baldovinetti18. Ma i rinnovati e radicali restauri permettono ormai soltanto un limitato e condizionato giudizio.

18)  L’opinione del GRONAU, loc. cit. secondo cui questi affreschi sarebbero stati eseguiti tra il 1402 (anno della dotazione della Cappella) e il 1466 (anno di morte del vescovo Salutati) e rappresenterebbero pertanto l’opera più primitiva del Rosselli, appare di conseguenza infondata.

Lo stesso modulo stilistico e iconografico del San Leonardo (i due Santi vestono, tra l’altro, un identico abito diaconile) si ritrova in una figura di San Lorenzo conservata nella Walker Art Gallery di Liverpool19. Si nota qui un disegnare più puro e corretto, non scevro anche da qualche vaghezza calligrafica; ma un ulteriore infiacchimento del senso plastico ci fa apparire ancor più ridicola l’attribuzione a Masaccio recata dal cartellino della raccolta inglese.

19)  Riprodotto in « The Connoisseur», LXI, 1931, p. 189. Vedi pure p. 195.

Una datazione categoricamente precisa di ogni singola opera del gruppo sin qui esaminato è senz’altro impossibile. L’esecuzione dovette distendersi durante il decennio 1460-1470 poichè è certo che tutti questi dipinti vanno collocati in un’epoca nettamente distinta e anteriore alle tre opere datate « 1471 » che segnano un deciso distacco di espressione e d’ intenti.

Cosimo ha finora seguito essenzialmente la sua vena nativa di principiante ancora incolto e alieno da un lungo studio delle opere dei maestri maggiori. Gli esempi di questi hanno finora riecheggiato pianamente e frammentariamente nella visione rosselliana che si è espressa attraverso schemi timidi e incongrui, ripetuti passivamente o tralasciati con improvviso disgusto.

La « Vergine, S. Anna e Santi » del Kaiser Friedrich Museum di Berlino 20 datata  « 1471 » , presenta invece il nostro pittore già sotto l’influenza viva e operante di modelli insigni e già intento a muovere qualche incerto ma chiaro passo sulla grande traccia.

20) Riprodotto in VAN MARLE. op. cit., XI, p. 592, fig. 360.

L’unico influsso che abbiamo finora notato con una certa continuità e larghezza in Cosimo è quello di Benozzo Gozzoli, che il Van Marle crede di vedere anche in quest’opera. In essa, che è pure tra le tavole maggiormente note del Rosselli, è invece evidente un assai più illustre modello, non ancora mai riconosciuto.

L’ impostazione complessiva, le soluzioni plastiche e luministiche del gruppo centrale con la S. Anna, la Vergine e il Bambino, balbettano umilmente l’eccelso linguaggio parlato dalla « Sant’ Anna Metterza » di Masaccio. Il Bambino biondo e ricciuto riecheggia il tipo di quelli masacceschi di Firenze e di Londra. Ma il corpicino minuto, dalle forme debolmente arrotondate, è ormai ben lontano da quelle masse piene e vibranti.

Il volto della Madonna e le figure laterali dei Santi mostrano invece chiari addentellati stilistici con un altro maestro fiorentino, minore di genio, ma assai studioso dei grandi novatori del Quattrocento. Vogliamo dire il « Maestro del Trittico Carrand », Giovanni di Francesco. Egli dovette ispirare a Cosimo quei volti femminili e in ispecie quello della Santa a destra. Fra i suoi capelli biondi e sottili e sulle superfici finemente digradanti del suo volto brilla la stessa luce che sfiora, più dolcemente, la testa della Madonna Carrand. Anche il San Giorgio ed il San Francesco mostrano un lontano ricordo di Andrea del Castagno, già scolorito attraverso l’incerto tramite di Giovanni di Francesco.

La data dell’ « Annunciazione e Santi »  del Louvre (N. 1656)21 deve essere certamente letta «1471»  e non, come si è sostenuto e si sostiene da taluni, «1473».  Questa di Berlino è dunque un’opera stranamente composita di elementi diversi nel tempo e nel gusto, inegualmente assimilati ed espressi, ma vale assai bene a chiarirci su un’ importante tappa di questo nuovo indirizzo della formazione artistica del Rosselli e sugli elementi che concorsero a determinarla.

21) Riprodotto in VAN MARLE, op. cit., XI, p. 593, fig. 301.

L’influsso di Giovanni di Francesco è ancora vivissimo e sembra non più operare in tratti particolari e staccati, ma piuttosto diffondersi su tutta la fisionomia del dipinto. In questo infatti si nota una maggior fusione degli elementi stilistici, nella quale non stona il più vivo accentuarsi delle reminiscenze del Maestro Carrand visibili nel gruppo centrale. Le architetture drizzate con disegno faticoso e con errato senso dello spazio dimostrano quanto poco giovassero a Cosimo le esperienze prospettiche dei maestri maggiori.

Il terzo quadro datato « 1471 »  e acutamente riconosciuto a Cosimo dal Berenson, è una « Madonna in trono e quattro Santi », conservata nella Chiesa di S. Maria a Lungo Tuono nei pressi di Castelfiorentino. Malgrado le terribili devastazioni della superficie dipinta, non è difficile riconoscere le tracce di un ulteriore cammino di Cosimo sulla medesima direttrice stilistica. Forse sempre attraverso il tramite di Giovanni di Francesco, la presenza di Domenico Veneziano è visibile nel liquido distendersi dei colori schietti e nel giuoco delle luci sul volto della Madonna bionda.

 

Fig. 6 –  COSIMO ROSSELLI  –  Madonna in trono e due santi  (Londra, Coll. Mrs. Henry Maclaren)

 

Non senza fondamento la studiosa che per prima pubblicò questa tavola22 l’attribuiva alla scuola di Domenico. Ma la paternità di Cosimo è sicura, ché la Vergine risente di un tipo che sarà solito al nostro, mentre i Santi Francesco e Antonio Abate, senza voler far cenno alle affinità iconografiche, condividono la ruvida evidenza plastica delle omonime figure dell’«Annunciazione» parigina. 

22)   IRÈNE VAVASOUR ELDER, in «Rassegna d’arte» IX, 1909, N. 10, p. 160 (riprodotto).

La datazione della quasi sconosciuta « Madonna in trono e due Santi » appartenente alla Signora Maclaren di Londra, deve essere pure fissata in questo periodo, malgrado intervenga qualche elemento di dubbio (fig. 6).

Le figure dei Santi Michele e Sebastiano appaiono formate sotto il predominante pensiero di una ricerca plastica. I panneggi sono segnati con un forte effetto di chiaroscuro e disposti con affettata eleganza, e nondimeno gravano freddi sui corpi impacciati. Ma i palmizi duri e stilizzati dello sfondo ci ricordano la pianta che intravvedemmo fuori della finestra della stanza dove si svolge l’ Annunciazione del Louvre. D’altra parte la corazza cogli schinieri ornati di teste leonine è la stessa che indosserà il Marziano schiacciato sotto i piedi della Santa Barbara; e rivedremo questo Bambino, tal quale, nella tavola Huntington.

Questo quadro fu dunque probabilmente dipinto fra il 1471 e il 1475. Infatti quest’ultima data deve segnare, salvo qualche menomo spostamento, l’esecuzione della « Santa Barbara coi Santi Giovan Battista e Matteo », ora nella Galleria dell’Accademia di Firenze (N. 8635)23, che evidentemente precede di non molto l’affresco del Chiostro dell’Annunziata.

 23) Riprodotto in VAN MARLE, op. cit. , XI, p. 595 fig. 302.

Già da tempo (forse, come precisa il Van Marle, sin dall’Annunciazione del Louvre) dovevano maturare in Cosimo i fermenti stilistici della maniera del Verrocchio, se essi si vedono così chiaramente affermati nei Santi e negli Angeli di questa tavola. Ma il gusto del panneggiare verrocchiesco, netto e definito, si è disciolto in una complessa e sovrabbondante disposizione di pieghe, che risaltano da un forte chiaroscuro con effetti quasi metallici. E l’esempio di un altro maestro è presente alla fantasia di Cosimo in questo momento creativo. Senza voler credere, come il Ragghianti,24 all’esistenza effettiva di un archetipo pollaiolesco, dal quale discenderebbe, con questa tavola del Rosselli, anche l’affresco del Ghirlandaio nella Chiesa di S. Andrea a Cercina, è indubbio che l’ influsso di Antonio del Pollaiuolo valse qui a rinsaldare la struttura delle figure, disegnate con linea nitida e precisa, e ad ispirare la bella invenzione del Marziano caduto, racchiuso nell’elaborata corazza scintillante di riflessi metallici. Ma il senso cromatico è ancora triste ed opaco, contesto di toni marciti e scialbi di giallo, di azzurro, di verde.

24) C. L. RAGGHIANTI. La formazione del Ghirlandaio, in «L’Arte », XXXVIII, 1935 pp. 178-181. La medesima tesi è ripetuta dal Ragghianti nel breve Profilino popolare di Cosimo Rosselli (in « Miscellanea minore di critica d’arte » Bari 1946 pp. 129-33). Tuttavia tra gli ispiratori della «Santa Barbara » appaiono questa volta citati, accanto al Pollaiolo, anche il Baldovinetti e Andrea del Castagno.

A Cosimo non potremmo tuttavia stavolta negare il merito di un’espressione compiuta, che ha ormai trasformato i suggerimenti e gli esempi, raggiungendo un fermo equilibrio nella definizione della chiara solennità delle figure. Il suo pennello si è altresì raffinato in una certa squisitezza del disegno che s’ indugia con compiacimento a intessere il broccato di una veste o di una tenda, o a cesellare la rifinitura di una cornice di marmo.

 

Fig.7 – COSIMO ROSSELLI  – Madonna con il Bambino.             (S. Marino California, Huntington Museum)

 

Un disegno, scevro questa volta di ogni preziosità calligrafica, e rispondente invece ad un’esclusiva necessità compositiva, qualifica l’inedita « Madonna col Bambino » dell’Huntington Museum di San Marino California (fig. 7). Il volto della Vergine bionda ripete il tipo della Santa Barbara, arricchito da una vena di melanconica serenità. I tratti del viso, il ricadere dell’ampio mantello oscuro, la mano bellissima sono delineati con un sobrio ed asciutto segno. La figura del Bambino è invece costruita con un senso banale della forma che ricalca stancamente i moduli verrocchieschi. La povertà inventiva è ancora una volta dimostrata dal ripetersi del volto grassoccio del Putto, in quelli dei cherubini disposti nella mandorla. Il suo riapparire in altre opere del Rosselli conferma maggiormente l’attribuzione di questo quadro, dovuta a Bernardo Berenson.

Nel 1476 Cosimo poneva mano al suo primo affresco murale di ampia composizione, la « Visione e vestizione di S. Filippo Benizzi  » nel Chiostrino della SS. Annunziata in Firenze25.

25) Riprodotto Fig.7 – COSIMO ROSSELLI  – Madonna con il Bambino. (S. Marino California, Huntington Museum)n VAN MARLE, op. cit., XI, p. 596, fig. 303. La data di esecuzione è riferita da G. RICHA (Notizie istoriche delle Chiese fiorentine, Firenze 1754-62. T. VIII, P. IV, p. 108) che attinse probabilmente a un documento antico, oggi perduto.

Trovandosi dinnanzi ad un’esigenza illustrativa era naturale che egli si rivolgesse con rinnovato fervore agli esempi di Benozzo. Ma la maniera ferma ed equilibrata di questo riecheggia nel Rosselli con accenti frammentari e disuguali. I monaci che circondano il giovane Filippo in atto di ricevere l’abito di servita, appartengono certo alla stessa frateria di quelli che piangono la dipartita di S. Agostino nelle storie benozzesche di San Gemignano. I volti sono modellati con eguale incisiva finezza, le tonache ricadono con lo stesso panneggio accurato e preciso in un nitido effetto di chiaroscuro. Del pari un medesimo gusto innalza le quinte architettoniche progettate con minuzia veristica. Ma al confronto il dipinto rosselliano rivela un’accentuata secchezza di modi. Il San Filippo inginocchiato certifica in Cosimo un attento studio delle forme anatomiche ed una certa disinvoltura disegnativa, ma il corpo asciutto e quasi stecchito ricorda ancora i nudi legnosi, perquanto corretti, delle giovanili scene della Passione. E a ben vedere anche i volti dei frati indulgono assai più di quelli di Benozzo ad un puntuale verismo. Le architetture infine sono disegnate con un incerto senso della prospettiva e dell’ atmosfera. Di lontano però il panorama di Firenze e dei suoi lieti colli apre al quadro uno sfondo arioso e particolarmente preciso. Ma alla sobrietà del gruppo di sinistra risponde a destra una composizione vuota e leziosa. Sotto un portichetto è inginocchiato Filippo, gli occhi rivolti in alto, rapiti dalla visione celeste. La veste che indossa il giovane ricade in pieghe disegnate con scarso senso plastico, ancor più affievolito dall’acquoso colorito azzurro. E altrettanto si potrebbe dire del volto rossiccio e senza nerbo di modellatura, se non fosse probabilmente così sfigurato dai molti ritocchi 26.

26) B. DEGENHART ha pubblicato (« Burlington Magazine», LXI, 1932-33, p. 6) un disegno, conservato nel Gabinetto delle Stampe di Aschaffenburg (Baviera) e rappresentante due figure inginocchiate in atto di preghiera. Dei confronti iconografici con figure di affreschi rosselliani dimostrerebbero ad usura, sempre secondo il Degenhart, la paternità di Cosimo e una datazione fra il 1475 e il 1480, ed anzi indicherebbero nella figura del giovane un disegno preparatorio per l’affresco dell’Annunziata. Tale disegno sarebbe pertanto l’unico conservatoci del periodo giovanile del Rosselli. Successivamente (in «Le Arti », III) C.L. RAGGHIANTI, attaccando acerbamente il Degenhart a motivo di una nuova metodologia da quest’ultimo proposta per lo studio e la classificazione dei disegni e dal Ragghianti considerata, a ragione, come inefficace negatrice di ogni valore estetico, rifiutava l’attribuzione al Rosselli, come dovuta appunto all’applicazione del nuovo sistema, proponendo invece come autore un tardo e mediocre seguace di Fra Filippo. Non riteniamo che si possa considerare come definitiva questa seconda attribuzione, ma par certo che il disegno risenta di un modellato più molle e snervato che non il San Filippo Benizzi e che soprattutto si debba collocarlo in un ‘età più tarda del settimo decennio del sec. XV.

La deleteria azione dell’umidità e delle conseguenti ridipinture, già denunciata dal Cavalcaselle, ha snaturato completamente i valori cromatici dell’affresco. I colori hanno perduto ogni originale qualità di limpidezza e si sono alterati in toni torbidi e opachi di bruno, di verdastro, di scialbo indaco.

Ma tuttavia si può di certo affermare che in questo affresco appare già ben caratterizzato l’elemento negativo che resterà capitale nella maniera di Cosimo e cioè l’impossibilità di fondere gli elementi stilistici in una visione improntata da originale unità e non solo da professionale abilità livellatrice.

Ma le doviziose e liete fantasie in cui Benozzo aveva istoriato le pareti della Cappella di Palazzo Medici Riccardi, rielaborando i suggerimenti degli estremi illustratori gotici, non potevano restare senza un’eco nella pittura di Cosimo. La tavola dell’ «Adorazione dei Magi »  agli Uffizi (N. 494) 27 ha una storia critica complessa.

27) Riprodotto in VAN MARLE, op. cit., XI, p. 507 fig. 364.

Il coacervo degli elementi tratti appunto dalle preziose figurazioni dei cosiddetti naturalisti e il ricordo vasariano di un’Adorazione dei Magi dipinta da Giuliano Pesello, indussero primamente il Lanzi 28 ad attribuire questa tavola al misterioso maestro che di quegli squisiti pennelli sarebbe stato un continuatore e un erede. Accolta in prima istanza anche dal Cavalcaselle, l’ipotesi fu demolita da Giovanni Morelli 29, che precisò l’attribuzione al nostro pittore, in seguito inserita anche nella edizione italiana della « Storia della pittura in Italia ».

28) LANZI, Storia pittorica dell’Italia ed. V, Firenze 1834, T. I, p. 53.
 29) IVAN LERMOLIEFF, Della pittura italiana: Le gallerie Borghese e Doria Pamphili in Roma. Milano 1897, pp. 256-7.

Il libero motivo della cavalcata benozzesca fra il paesaggio fantastico di rocce e boschetti, popolato di fiere e d’uccelli, fra  squille di colori vivaci, si è qui riassunto e composto; ma meglio potremmo dire rattratto. Lo snodarsi del corteo lungo la strada montana è qui sostituito da un ammucchiamento di figure sulla sinistra, senza ordine e senza giustificazione prospettica, in un monotono ripetersi di tipi inespressivi. Fra i personaggi scalpitano i cavalli, goffi, ingombranti, massicci: i corpi poderosi sono tumefatti da un ingannevole studio plastico e gli scorci audaci  sembrano  parodiare  le  cristalline  imaginazioni dell’ Uccello. Il realismo di certe inserzioni di animali o di altre figurette si è snaturato in un verismo ingiustificato e sterile che, d’altra parte, non riesce neppure a qualche valore di rappresentazione psicologica negli scialbi volti degli assistenti. Ma, forse a ravvivare il nerbo dell’ invenzione benozzesca, Cosimo introduce uno squarcio paesistico, che nella sua disposizione panoramica è certo un pallido riflesso delle distese visioni di natura battute dal vento irreale della fantasia del Pollaiuolo.

Né il pittore termina qui il faticoso lavoro di mutuazione dagli altri maestri.

 

Fig. 8  –  COSIMO ROSSELLI –  Adorazione del Bambino.(Breslavia, Schlesisches Museum)

 

L’«Adorazione del Bambino» dello Schlesisches Museum di Breslavia (N. 171) (fig. 8) è una prima conferma di questa asserzione. Ma entro il più breve ambito della tavola centinata i rapporti sono turbati da palesi sproporzioni e nello spazio mal ritagliato le figure si adattano a disagio. Il Bimbo ignudo e grassoccio ripete il tipo di quello della tavola Huntington, mentre il San Giovannino è una povera figuretta inespressiva e sgarbatamente ravvolta nella veste. Ma l’ inarrivabile goffaggine del braccio rattratto e delle mani sgraziate supera la peggior maniera del Rosselli per accusare l’ intervento di un aiuto. E non diversamente si deve dire della figura contorta del San Giuseppe che siede pensieroso dall’altro lato. Alla alterazione delle masse corrisponde quella delle zone cromatiche. Come la figura della Madonna campisce imponente, così il suo ampio manto largamente disteso sul suolo riempie la superficie dipinta di una grande macchia azzurra. Rispetto a quello dell’Adorazione dei Magi, il volto della Vergine presenta un identico profilarsi dei lineamenti, un’acconciatura dei veli ugualmente leggera e un’espressione che è del pari più assente che raccolta.Il taglio, netto e delicato ad un tempo, del volto della Vergine e il disegno più minuto e gustoso del San Giuseppe, il panneggio abbondevole e arricchito da qualche effetto di cangiante sono un insegnamento del Verrocchio che Cosimo metterà sovente e variamente a profitto.

Se dunque l’ « Adorazione dei Magi » segue cronologicamente l’affresco dell’Annunziata, datato al ’76, e deve quindi riportarsi ad un periodo intorno al ’77 o pressapoco, gli stretti rapporti di quella tavola con questa « Adorazione del Bambino », prototipica di un gruppo di opere che stiamo per esaminare, permettono di datare queste ultime nello spazio di tempo che va dal ’77 all’ 81.

I manierismi non variano sostanzialmente nell’ « Adorazione »  della Galleria di Königsberg (N. 101)30 dove per altro sono introdotti due angeli più chiaramente verrocchieschi. Questa tavola gode inoltre di un più ampio respiro ottenuto con un vasto squarcio di paesaggio nel quale le alture dirupate e gli alberi isolati rievocano ancora alcuni spunti cari a Benozzo.

30) Riprodotto in Fürer durch die Schausammlung Königsberg, II. 1934, tav. 9.

Una più nobile e aperta impostazione e una maggior finezza della qualità pittorica si notano invece in un ‘altra Adorazione della Collezione Hertz (ora a Palazzo Venezia – Roma) 31.

31) Riprodotto in J. P. RIÇHTER, La collezione Hertz, etc. Torino p. 33. Lo stesso sistema di rapporti suggestivi Verrocchio-Botticelli, quale visibile nella tavola Hertz, operò in maniera assai simile su Francesco Botticini. Sia Cosimo che il Botticini furono condiscepoli presso Neri di Ricci, ma si suole inoltre affermare che il primo divenisse poi maestro al secondo. Noi invece propendiamo a credere ad uno sviluppo parallelo, in cui le influenze fra i due artisti  furono  se  mai  reciproche. In talune opere giovanili del Botticini («Coronazione» nella Galleria di Torino e in quella di Berlino. «Madonna e Santi»  nella Galleria di Prato) piuttosto che caratteri rosselliani potremmo quindi riconoscere caratteri comuni al binomio Rosselli-Botticini, derivanti da un paradigma comune. E del resto il supposto influsso di Cosimo su Francesco, dichiarato dal Berenson, documentato dal Van Marle, poté in seguito chiaramente invertirsi. Infatti la tavola rosselliana di « S. Caterina che consegna la regola » (National Gallery of Scotland-Edimburgo N. 1030), certo di poco anteriore agli affreschi di S. Ambrogio a Firenze (1480), ripete indubbiamente e da vicino lo schema compositivo della « S. Monica e le suore» di F. Botticini in S. Spirito a Firenze (1583)  Ma rapporti e distinzioni nel consorzio di minori pittori quattrocenteschi operanti agli altari di quella Chiesa postulerebbero un più partito esame.

Predomina ancora quel rapporto fra rosso e azzurro che, sempre amato da Cosimo, apparisce con maggior frequenza in questo gruppo di opere. Oltre che da questo elemento, la paternità di Cosimo è dimostrata dal solito taglio del volto della Madonna, da una certa vuota abbondanza del panneggio e sovrattutto dall’ impianto sforzato e contorto del corpicino del Bimbo. Il Van Marle propende per un’ attribuzione alla scuola del Botticelli, forse suggeritagli dalle caratteristiche che il viso della Vergine ha in comune con le verrocchiesche Madonne giovanili di Sandro. Ma il vasto e sereno sfondo di paesaggio è affatto estraneo al gusto botticelliano e può invece preludere a quei sensibili squarci di natura che Cosimo inserirà in talune opere tarde.

In questo momento della produzione rosselliana s’ inserisce una serie di tavolette sparse in diverse collezioni italiane e straniere. Esse hanno tutte il medesimo soggetto: l’Adorazione del Bambino, con la Vergine inginocchiata insieme con San Giovannino dinnanzi al figlio giacente per terra, in presenza di un angelo e, meno spesso, di San Giuseppe.

Tipica fra tutte è la tavola conservata alla Galleria dell’Accademia di Firenze (N. 8634) 32. Il gruppo Vergine-Bambino ripete lo schema e le forme dell’Adorazione Hertz e per il Figlio si può accennare anche a rapporti iconografici. Il Berenson ritiene che l’esecuzione sia dovuta solo in parte a Cosimo. Ed infatti ci sembra che, pur prescindendo dai guasti, la sommaria trattazione del San Giovannino, l’artificioso coro angelico e il gusto piuttosto rude e semplicistico del paesaggio debbano indicare un’opera di bottega.

32) Attribuita dal VAN MARLE (op. cit., XIII, p. 183, fig. 120) all’ Utili. La stessa attribuzione reca l’analoga tavoletta del Museo Federico (N. 1378 A) da assegnarsi invece a scuola di Cosimo.

Un’ altra tavoletta centinata, appartenente al Sig. Angelo Orvieto di Firenze, è strettamente legata a questa. Però la sostituzione del San Giovannino con un’elegante figuretta d’angelo, l’eliminazione del coro celeste e del busto del Padreterno in alto e un paesaggio più nitido e spaziato, rivelano piuttosto la mano del maestro stesso che qui ci appare coloritore di gusto semplice ma schietto.

Elementi delle tavole già esaminate e specialmente di quella di Breslavia (con essa si può notare, tra l’altro, un’identità del volto della Madonna) riappaiono in un altro dipinto, di proprietà privata a Roma (fig. 9). I tipi sono alquanto più goffi dell’usato, il cromatismo è più acceso, epperò non del tutto spiacevole: è insomma un’operetta modesta, ma che, perquanto si presenti in qualche parte spulita, rivela quasi ovunque il diretto intervento del maestro. È invece probabilmente esecuzione di scuola un dipinto analogo, già nella Collezione Lazzaroni a Roma 33.

33) Pubblicato da G. BERNARDINI ( « Rassegna d’arte» XI, 1911, p. 101-2) con la generica attribuzione a «  Fiorentino ignoto tra il 1400 e il 1480 sotto l’ influsso di Fra Filippo, Neri di Bicci e Benozzo Gozzoli».

Il Berenson attribuisce inoltre, dubitativamente, a Cosimo una «Adorazione» della Kunstakademie di Dusseldorf e un’altra, della Collezione Johnson di Philadelphia, a uno stretto seguace di lui. Quest’ultima tavoletta sarebbe poi della stessa mano dell’autore di una Natività apparsa alla Vendita Galli-Dunn: attribuzione confermata dal Van Marle 34.

34) Il Catalogo Johnson non reca la riproduzione del quadro conservato in quella Collezione, il quale ci è rimasto del tutto ignoto. Ma la tavola già Galli-Dunn (Vendita Roma, Aprile 1905. N. di Cat. 323, riprodotto) ci sembra piuttosto opera di un pittore di scarsissima levatura ravvicinabile al cosiddetto Pseudo-Pierfrancesco Fiorentino.

 

Fig. 9 –  COSIMO ROSSELLI – Adorazione del Bambino e i SS. Giuseppe e Francesco, (Roma, Proprietà privata).

Chiusa la parentesi di questa produzione di secondaria importanza e inquinata da larghi tratti d’esecuzione di bottega, la «Madonna col Bambino» della Walters Gallery di Baltimora (fig. 10) ci riconduce senz’altro al maestro. Non deve essere trascorso gran tempo dall’esecuzione della Adorazione Hertz se il Bimbo ha conservato lo stesso tipo strutturale con un corpicino più rigonfio che rotondeggiante e una testa mal attaccata sul busto, ed il volto della Madonna gli stessi lineamenti netti e fermi.

 

Fig.10  –  COSIMO ROSSELLI – Madonna con il Bambino.                       (Baltimora, Walters Gallery)

 

Ma un ritmo più conchiuso stringe le due figure in un’elegante unità plastica. Il bianco corpo del Bambino si staglia con una linea armoniosa sul manto scuro della Vergine profilato con un accurato stacco tonale sul fondo monocromo.

Un identico nucleo figurativo sta al centro della tavola dell’Accademia di Zagabria (Galleria Strossmayer) (N. 28) 35, ma si ha qui un improvviso e vivace risorgere dei ricordi verrocchieschi. La pennellata si frange e s’ insecchisce; sulle superfici dei capelli il segno si fa più minuto e duro.

 35) Riprodotto in G. FRIZZONI, La Pinacoteca Strossmayer, in «L’Arte», VII. 1904, p.430

Il volto del Bimbo (che nel gruppo della Madre e del Figlio è l’unico particolare che si diversifichi dalla tavola Walters) ha le stesse forme pienotte e inespressive di quello dell’Adorazione di Königsberg. Ma l’ inserto più propriamente verrocchiesco è costituito dai due Angeli che riempiono con le loro figure astratte e leziose la campitura di fondo che nella tavola Walters vedemmo distendersi pura nella sua unità.

Lo stile di questa tavola, pur movendo da Cosimo, è ormai estraneo alla personalità del nostro pittore. L’interferenza pollaiolesca infatti è qui vibrata ad un punto non mai altrove riscontrabile nelle opere rosselliane.Un’ altra tavola con la « Madonna col Bambino e due Angeli» reca da tempo il nome del Rosselli. Si tratta del N. 489 della Galleria degli Uffizi 36.

36)  Riprodotto in VAN MARLE, op. cit. XI, p. 599, fig. 365.

Ma fin dal primo sguardo l’attribuzione tradizionale appare più che dubbia. Gli occhi piccoli, dalle palpebre fortemente ravvicinate, sembrano ammiccare con un’espressione furbesca mai prima riscontrata nella conformistica tipologia del nostro e del pari inconsueto è lo sfarzo dei ricchi e policromi panni e delle gemme nell’abbigliamento della Madonna e degli Angeli. E gli elementi verrocchieschi (ai quali si aggiunga la sgraziata ricerca di vivacità del Putto) sono fortemente commisti ad altri, tratti dalla maniera del Pollaiuolo, che si fa sentire in un pennellare più ricco e molle e in ispecie nello sfondo di paesaggio ondulato e macchiato d’ alberi.

Un ulteriore progresso sulla traccia dei Pollaiuolo si nota poi nell’altra tavola, sempre con la « Madonna e il Bambino »  della Collezione Johnson di Philadelphia (N. 60), attribuita a Cosimo dal Berenson 37.

37) Riprodotto nel Catalogo cit., p. 264. dove l’attribuzione del Berenson recava un interrogativo, tralasciato negli ultimi Elenchi. Ma già da tempo il Mason-Perkins aveva proposto, con maggiore approssimazione, di assegnare il dipinto ad un seguace del Pollaiuolo («Rassegna d’ Arte », V, 1905, N. 8, p. 116).

I rapporti fra il dipinto fiorentino e quello di Philadelphia sono indubbiamente assai stretti: ugual taglio accentuatamente verrocchiesco del volto della Vergine, atteggiarsi del Putto del pari artatamente vivace, identica abbondevole decorazione delle vesti. Ma un imparentamento ancor più forte è verificabile tra la Madonna Johnson ed un’altra del Museo di Besançon già edita dal Francovich38 sotto il nome del Maestro di San Miniato.

38) DE FRANCOVICH, in «Bollettino d’ Arte». N. S. VI, 1920-7, pp. 520-547. Affini a quella di Besançon sono una Madonna del Museo del Bigallo a Firenze, pure pubblicata dal Francovich, e un’altra, già presso un antiquario fiorentino, pubblicata invece da J. H. H. KESSLER in « Burlington Magazine», XLVII. 1925, p. 231.

I tre volti femminili, incorniciati di veli, hanno le stesse impronte plastiche, coloristiche e somatiche; zigomi prominenti, incarnato acceso, labbra vagamente sensuali: pure le mani sono adombrate da uno stesso molle chiaroscuro. Le Madonne degli Uffizi e della Collezione Johnson possono dunque giustificare anch’esse un’assegnazione indicativa al Maestro di San Miniato, la cui formazione, come precisa il Francovich, fu appunto sostanzialmente verrocchiesco-pollaiolesca.39

39) Il Berenson, negli ultimi Elenchi, ritiene il Maestro di San Miniato seguace di Fra Filippo e del Botticelli giovane, mentre nel Catalogo Johnson ne aveva affermata la formazione sotto la guida del « Compagno di Pesellino ».

E accettando, col Berenson, la possibilità di un accessorio influsso rosselliano, è lecito supporre che Cosimo lo esercitasse appunto in questo suo momento stilistico e che egli servisse da tramite diffusore e volgarizzatore di certe inflessioni del linguaggio verrocchiesco e pollaiolesco.

La più limpida vena delle suggestioni di Andrea del Verrocchio riappare con maggior coerenza d’accenti nel Rosselli della «Madonna col Bambino» del lascito M. Friedsam al Metropolitan Museum di New York 40.

40) VAN MARLE, Two Madonnas by Cosimo Rosselli, in « Burlington Magazine», LVIII, 1931, p. 45 (riprodotto).

Il Van Marle pone questa tavola nel periodo fra il 1475 e il 1482 e noi vorremmo precisare negli anni estremi di esso. Gli ultimi echi di Benozzo si sono definitivamente taciuti e, perquanto Cosimo ripeta lo sfondo con la nicchia affiancata da colonne a capitelli corinzi che vedemmo nella Santa Barbara, l’espressione si è fatta assai più pura e sciolta. L’impianto del gruppo con la Vergine e il Bambino è saldo ed equilibrato: né lo turba eccessivamente il gusto alquanto trito per le forme solide e lucide. Infine il motivo, certo più decorativo che strutturale, dei due angeli di mezza spalla s’ inserisce con grazia nella visione, perquanto le loro figure appaiano freddamente modellate e quasi ritagliate e abbian forse tolta in prestito la gentilezza dell’offerta floreale.

Fig.11 – COSIMO ROSSELLI – La Madonna in trono e due angioli (Firenze, Tabernacolo delle Cinque Lampade)

 

In questo gruppo di opere d’ influsso prettamente verrocchiesco conviene inserire anche il rovinatissimo affresco del Tabernacolo delle Cinque Lampade in Via Ricasoli a Firenze (figura 11)41, sebbene i danni subiti impediscano una precisazione stilistica e cronologica maggiore.

41) Pubblicato da A. Jahn Rusconi (Tabernacoli fiorentini, in “Emporium», XXV 1942, p. 160), senza alcuna notazione critica.

Infatti il deperimento causato dagli agenti atmosferici e le conseguenti ridipinture hanno ormai irrimediabilmente alterato le qualità dei colori, che si presentano oggi in toni torbidi e artificiosamente profondi, e la schiettezza delle linee, tormentate ed incerte.

Una grande tavola del Kaiser Friedrich Museum di Berlino (N. 1075) rappresentante la « Madonna in trono fra quattro Angeli e quattro Santi  e molti Santi Innocenti» offre l’unico esempio di una vasta composizione da altare eseguita dal Rosselli sotto il predominante influsso verrocchiesco e quindi, in certo modo, il più notevole esempio di questo momento stilistico42.

42) Riprodotto in I. Kunze, Zu florentinischen Gemälde des im Depotbestand der Gemäldegalerien in « Berliner Museen», LXIII, 1942, p. 31, fig. 3.

Il quadro, incertamente articolato nelle sue parti, ostenta il limitato pregio di un’estrema pulizia di disegno che si compiace di un panneggiare esatto ma rigido, e della fredda trattazione dei volti marmorei. Più gentile è il sentimento che addolcisce il puro ovale della Vergine, che ripete un’ultima volta il tipo della Santa Barbara. Nei Santi Innocenti, graziosi ma inespressivi, è forse dato di riconoscere le prime avvisaglie del nascente influsso botticelliano.

La produzione rosselliana che abbiamo esaminato dovette diffondere largamente la fama dell’artista, perquanto le qualità pittoriche vi si mantengano ad un livello sostanzialmente artigianesco.

Cosimo non ha saputo trovare la via sicura di un’ispirazione, magari indiretta, ma costante in una maniera espressiva. Dopo gli ammaestramenti stilistici tratti da Benozzo, pittore di vasta produzione e dotato di un linguaggio facilmente accessibile ed assimilabile da un giovane ancor lontano da  ogni maturità e  da  ogni  coerenza  artistica, dopo i fugaci, seppur non sempre vani, accostamenti a Masaccio, a Giovanni di Francesco, ai Pollaiuolo, Cosimo si è fermato ai modelli portigli da Andrea del Verrocchio, persistendo in tale ispirazione fino alla sua partenza per Roma. Ma lo spirito fermo e plasticamente deciso della pittura di un Verrocchio non era certo congeniale al Rosselli, piuttosto incline a quella superficialità espressiva che gli permetteva di comporre con un gusto lieve e, più spesso, indifferente.

L’esperienza verrocchiesca, per quanto più prolungata, non fu certo più decisiva delle precedenti per la costituzione essenziale dello stile del nostro. Questi, nei prossimi affreschi della Sistina e dopo, sarà piuttosto versato a perseguire esempi di composizione più facile e discorsiva, di disegno più fluido e decorativo, di cromatismo più limpido e piacevole. La pittura del Botticelli e del suo creato Filippino dovette apparire sostanzialmente caratterizzata da questi elementi al semplice gusto di Cosimo, che li astrarrà con senso futile e frammentario, rifondendoli con sempre incerto afflato. Andrà così perduto nelle trascrizioni rosselliane il maggior tesoro di quelle squisite maniere, che consiste soltanto nell’armonia delle risoluzioni figurative, né l’arte di Cosimo potrà fermamente librarsi a più alto volo.

Roma, 1943.

                                                                                                  RICCARDO MUSATTI

 


 

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