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RISTUDIANDO GHERARDO STARNINA

MATERIALI E COMPARAZIONI PER I POLITTICI CON I PILIERI

 

DI EMANUELE ZAPPASODI

 

Da NUOVI STUDI, Rivista d’Arte Antica e Moderna, n. 23, anno 2017

 

Ringrazio Emanuele Zappasodi per avermi permesso la pubblicazione del suo articolo (p.p.)

 

 

Fig. 68) Gherardo Starnina: Ipotesi di ricostruzione del polittico con la Madonna col Bambino tra Angeli, Santa Margherita d’Antiochia, san Filippo, san Pietro e santa Maria Maddalena. Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität; Annunciazione, Avignone, Musée du Petit Palais; Thronus Gratiae. Pavia, collezione privata. Martirio di santa Margherita d’Antiochia. Londra, National Gallery; Dormitio Virginis. Chicago, The Art Institute of Chicago; Comunione della Maddalena. Ubicazione ignota.

 

Da Firenze a Valencia e ritorno

Nel 1932 Bernard Berenson riconobbe nella Vergine col Bambino tra santa Margherita d’Antiochia e san Filippo, san Pietro e santa Maria Maddalena (Figg. 68, 70, 76) del museo Martin von Wagner di Würzburg la mano del Maestro del Bambino Vispo, più tardi identificato con Gherardo Starnina, pittore documentato a lungo alla fine del Trecento tra Toledo e Valencia. Il prestigio delle allogagioni ottenute lo rivelano perfettamente integrato nella realtà locale1. Quel soggiorno non significò soltanto la conoscenza di un mondo figurativo alternativo alla sua formazione fiorentina, ma anche un confronto con carpenterie audaci, per lui inconsuete, su cui dovette riflettere attentamente. La spiccata originalità che emerge sempre più nitidamente dall’analisi materiale delle sue opere porta i segni di quell’esperienza.

In questo senso non fa eccezione il trittico tedesco. La sua lettura è in parte pregiudicata dalla rimozione della ricca carpenteria originale e dalla conseguente doratura spuria del legno nudo lasciato a vista.

 

Fig. 70) Gherardo Starnina: Madonna col Bambino tra Angeli, santa Margherita d’Antiochia, san Filippo, san Pietro e santa Maria Maddalena, particolare. Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg.

 

 

Fig. 76) Gherardo Starnina: Madonna col Bambino tra Angeli, santa Margherita d’Antiochia, san Filippo, san Pietro e santa Maria Maddalena, particolare. Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg.

 

Non è semplice circoscrivere con puntualità questa manomissione traumatica (Fig. 76), che forse fu anche l’occasione in cui gli scomparti laterali vennero decurtati in alto rimuovendone la terminazione ogivale, risarcita in seguito da tasselli di restauro che ne travisano leggermente il profilo originario2. Colonnette battenti non solidali scandivano le tavole del trittico, coprendo lungo i margini il gesso della preparazione ed estese parti dipinte che sbordano ben oltre le incisioni verticali sull’oro del fondo, realizzate per delimitare il campo da dorare. La barba del gesso ai piedi dei pannelli del registro principale del trittico indica senza incertezze la presenza in origine di una zoccolatura solidale alla base delle assi, oggi resecata, cui sul retro corrispondeva come di consueto la traversa inferiore. In linea con la prassi operativa fiorentina di serrare la carpenteria con un sistema di traverse poste al vertice e alla base del tavolato, le tracce di un’altra traversa a mezz’altezza sul tergo presuppongono uno sviluppo verticale rilevante del polittico (fig. 68), che può essere calcolato ribaltando, oltre i segni della traversatura mediana, la distanza tra questa e la traversa inferiore rimossa (82 cm). L’altezza notevole che ne deriva, di circa due metri – come chiarito dai rilievi di Ciro Castelli dell’Opificio delle Pietre Dure – impone di pensare a un registro superiore, probabilmente figurato, difficile da immaginare con puntualità allo stato attuale, ma dal disegno slanciato e relativamente compatto3, dietro al quale è suggestivo intravedere un ricordo a distanza dei tavolati continui dei retablos spagnoli4.

 

Fig. 67) Gherardo Starnina: Dormitio Virginis. Chicago, The Art Institute of Chicago.

 

Fig. 77) Ricostruzione della predella del polittico di Würzburg.

 

Fig. 81) Gherardo Starnina: Dormitio Virginis, ricostruzione grafica con il risarcimento degli archi ciechi trilobati impostati sui peducci. Chicago, The Art Institute of Chicago.

 

La predella col Martirio di santa Margherita della National Gallery di Londra (Fig. 67), la Dormitio Virginis dell’Art Institute di Chicago (Fig. 81) e la Comunione della Maddalena d’ubicazione ignota, tutti analoghi per dimensioni e ornati5 (fig. 77), aumentava lo slancio di questa carpenteria ambiziosa, che in alto si rastremava per accogliere le tabelle apicali, l’Angelo annunciante e l’Annunciata del Petit Palais di Avignone (fig. 96), ai lati del Thronus Gratiae in collezione privata, collegato al complesso dal Boskovits6, assecondando così uno schema iconografico ampiamente diffuso a Firenze tra Tre e Quattrocento, da Jacopo di Cione in San Pier Maggiore a Giovanni dal Ponte per San Giovanni Evangelista a Pratovecchio.

 

Fig. 96) Gherardo Starnina: Annunciata, particolare. Avignone, Musée du Petit Palais.

 

“Per essersi fatto sì gentile e sì cortese” 7

La critica ha talvolta giudicato in minore il trittico di Würzburg (fig. 68), cercando anche di stanare nelle parti più capricciose la mano di un collaboratore spagnolo di Starnina, travisando completamente l’aspetto più fecondo della sua pittura8: un’ambiguità costitutiva, figlia della sintesi riuscita di orientamenti opposti, di cui il trittico è un manifesto eloquente. Vi convivono, infatti, affondi spaziali e nitori plastici di marca fiorentina, con una “vivacità ridente”9, fatta di scivolamenti sbrigliati e lumeggiature sguscianti che si spiegano solo alla luce dell’incontro bruciante con Pere Nicolau e Marçal de Sax durante gli anni valenzani. Il tono estroso di quest’opera s’accompagna a uno sforzo orafo squisito che ne fa un vero e proprio tour de force scintillante. Lo dichiara la varietas raffinata degli ornati dei nimbi e della veste di Maria decorata da un motivo vegetale granito, a tratti velato con lacche rosse e azzurre; la sua corona gemmata è realizzata con la foglia d’oro non brunita, dall’effetto opaco, quasi ramato, stesa a missione direttamente sull’oro lucente del nimbo applicato sul bolo (Fig. 70). Oro su oro, come alcune frange del manto di Margherita e dell’apostolo Filippo che sconfina oltre la figura finendo sulla lamina del fondo dorato a guazzo, un particolare replicato da Starnina anche nel San Vincenzo del Museum of Fine Arts di Boston, relativamente comune a Siena nel corso del Trecento, ma raro a Firenze, se non più tardi nelle opere dell’Angelico. La descrizione di tanti dettagli è incantevole: i libri dalle bindelle borchiate d’oro; le roselline selvatiche dai petali gonfi della coroncina di Margherita; l’alabastro azzurrato del vaso degli unguenti della Maddalena (fig. 76); la viella con la cordiera d’avorio incisa; il traforo a giorno della buca del salterio, suonato dall’Angelo con le dita e col plettro; l’organo portativo dalle canne in lamina d’argento, ormai ossidata, che dovevano rilucere con ben altra vivezza sull’azzurro del manto di Maria.

Lo sguardo non penetra mai la verità epidermica delle cose e i dettagli più sottili sono come soverchiati da un tono chiassoso che sottomette ogni particolare. E in questo clima festoso ed esotico si riconosce il segno ancora vivo e attuale dell’esperienza spagnola, di cui il polittico costituisce un primissimo bilancio. Delle opere iberiche permane la fantasia decorativa degli ornati, l’espressività intensa delle scene narrative, la cromia squillante delle vesti10, ma gli spasmi lineari più sventati – come il sudario tutto occhielli e spirali che avvolge il Cristo nella Deposizione di Collado de Alpuente (fig. 66) o la gonnella dell’angelo che, nel Battesimo di Cristo del retablo di Porta Coeli, rotea d’improvviso dinanzi al Dio Padre benedicente sulla nube di bambagia sfatta 11 – si acquietano leggermente.

 

 

Fig. 66) Gherardo Starnina: Pietà e deposizione di Cristo al sepolcro, particolare. Collado de Alpuente, chiesa parrocchiale.

 

I volumi si espandono stimolati dalla rilettura dei capisaldi della pittura fiorentina del Trecento, che si colgono nitidi dietro allo splendido profilo perduto dell’angelo in primo piano, dall’ala abilmente scorciata in diagonale, e nel gesto prepotentemente plastico con cui la Vergine fende lo spazio e sostiene il Bambino (fig. 68). Stimoli simili avevano animato anche la Madonna dell’Umiltà Langton Douglas pubblicata dal Longhi12 (fig. 69), forse ancora del tempo spagnolo, ricalcata alla lettera sulla Vergine giottesca dell’Ashmolean Museum13, particolarmente vicina nella pienezza palpitante del volto arrossato di Maria e nel bambino sornione, che a Würzburg (fig.68) gira lo sguardo come nella tavola della Christ Church di Oxford e nella Madonna dell’Umiltà in collezione Crespi, oggi nel Museo Diocesano di Milano, quest’ultima licenziata in quello stesso torno d’anni 14. Il passo mentale è analogo a quello degli affreschi frammentari della cappella di San Girolamo nella chiesa fiorentina del Carmine – prezioso punto fermo nel  percorso del pittore perché documentati tra il 1402 e il 140415 – accomunati dalle stesse lumeggiature uncinate che serpeggiano sulle vesti falcate (fig. 72, 74).

 

 

Fig. 72) Gherardo Starnina: Santa martire, particolare. Firenze, chiesa di Santa Maria del Carmine.

 

 

Fig. 74) Gherardo Starnina: Sant’Agnese, particolare. Firenze, chiesa di Santa Maria del Carmine.

 

 

Fig. 71) Gherardo Starnina: Madonna col Bambino tra Angeli, santa Margherita d’Antiochia, san Filippo, san Pietro e santa Maria Maddalena, particolare. Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg.

 

Proprio il confronto tra la Margherita d’Antiochia di Würzburg e la Santa martire frammentaria del Carmine – proposto a suo tempo con intuizione profetica da Luciano Bellosi, compiendo un passo significativo verso l’identificazione del Maestro del Bambino Vispo con Gherardo Starnina16 – è tanto eloquente da suggerire non solo l’identità di mano, ma anche una contiguità cronologica assoluta tra le due opere, maturate in un clima di riflessioni e convincimenti comuni. Del resto, nelle Storie di san Girolamo, ormai quasi completamente perdute, tramandate da alcuni disegni e incisioni di Seroux-d’Agincourt, agli anni valenzani rimandavano esplicitamente anche “alcuni abiti spagnuoli in quel tempo usatisi in quel paese”17, che non mancarono di stupire il Vasari centocinquant’anni più tardi e che nella Firenze di quegli anni suonavano provocatori.

Certo è che col linguaggio divagante ed estroso dell’altare di Würzburg e delle pitture del Carmine, “come persona che andava ghiribizzando sulla natura” 18, Starnina guidò la svolta fiammeggiante che divampò anche a Firenze all’aprirsi del nuovo secolo. Il suo esempio doveva apparire polemico ed equidistante sia dal neo-giottismo “inquisitorio” 19 di Niccolò di Pietro Gerini, sia dalla tradizione orcagnesca di Mariotto di Nardo, “egregio pictore” pure cautamente attratto da par suo dagli accenti cortesi di quegli anni, provocando un sussulto immediato nelle forze più fresche uscite dalla taglia di Agnolo Gaddi. L’enfasi lineare che d’improvviso ordisce e strattona le vesti dei personaggi dipinti da Lorenzo Monaco nel trittico di Empoli nel 1404, quando Starnina aveva già concluso la cappella di San Girolamo, è stata riconosciuta da tempo come il risultato dell’incontro epifanico tra i due. E in questa conversione repentina del camaldolese già il Longhi, sulla scia di Gamba, aveva colto il ruolo guida esercitato da Starnina “retour d’Espagne, sui primissimi del secolo”20, non meno decisivo anche per l’accentuarsi delle eleganze fiorite del Maestro della Madonna Straus, esibite nell’anconetta del Museo degli Innocenti e nell’Imago Pietatis di Varsavia, datata 1405, ma svolte nella dolcezza rosalatte della sua pittura21. Anche la prima giovinezza di Giovanni dal Ponte, ricostruita intorno alla visionaria, ma ormai sfibrata, Annunciazione di Brozzi22, è segnata in maniera indelebile dell’incontro folgorante con le stravaganze delle prime opere di Gherardo di ritorno in Toscana, che furono invece oltremodo irrigidite nei recuperi letterali di Scolaio di Giovanni, alias Maestro di Borgo alla Collina, che ne immiserì la freschezza del modello23. Con ben altra intelligenza, del resto, anche il Ghiberti, che fin dagli esordi si mostra saldamente orientato verso umori internazionali, ben testimoniati dall’ammirazione sconfinata per lo sfuggente Gusmin e dalla formella del concorso del 1401, nel disegno dell’“Assumptione di Nostra Donna”, messo in opera già nel 1405 dal vetraio Niccolò di Pietro e da Mariotto di Nardo “nell’occhio di mezo” della facciata della cattedrale fiorentina, accelera gli svolazzi della schiera angelica con una ritmica assai affine a quella dell’Assunta di Starnina del Fogg Art Museum di Cambridge24.

 

Indizi di provenienza

Non si conoscono le vicende del trittico che precedono il suo ingresso al museo Martin von Wagner (figg. 68, 76). La critica ha perciò dibattuto a lungo sulla sua destinazione originaria, dividendosi ancora di recente tra Firenze e Lucca. L’assenza nel registro centrale di San Nicola mi pare inficiare la proposta formulata da Dillian Gordon, accolta con entusiasmo da Laurence Kanter, di una provenienza del polittico dalla cappella dedicata proprio al santo e alla Vergine nella chiesa fiorentina di Santa Maria in Campo, realizzata dal banchiere Filippo di Piero di Rinieri25. Più solida sembra la pista lucchese, sostenuta in passato con forza da Alvar Gonzáles-Palacios e Andrea De Marchi26. In questa direzione parlano le citazioni puntuali, avvistate pure da Linda Pisani27, del Maestro di Barga, uno “degli sventati calligrafi”28 usciti dalla sua taglia, che plagia il polittico di Würzburg nelle sante femminili del trittico della Pinacoteca Vaticana, di probabile provenienza lucchese per la presenza di Sant’Acconcio, venerato in città29, e nel pannello centrale della Vergine col Bambino tra i santi Stefano, Giuliano, Lorenzo e Antonio Abate, ora finalmente ricongiunto nella Galleria Nazionale di Parma, dove è ricalcata la posa dell’angelo arpista che si sgranchisce la gamba in primo piano30. Tuttavia, se dovesse cogliere nel segno la proposta di De Marchi di identificarlo con Simone di Francesco, sodale di Starnina documentato a Valencia nel 1402 e poi a Lucca tra il 1409 e il 1420, la consuetudine di vecchia data tra i due lascerebbe aperta la possibilità di un riuso smaliziato sulla scena lucchese di invenzioni esibite da Gherardo in opere di destinazione fiorentina, anche a distanza di tempo31.

 

Fig. 80) Gherardo Starnina: Martirio di santa Marghertia d’Antiochia, radiografia che evidenzia in alto le tracce dei peducci rimossi (ex Gordon 2003). Londra, National Gallery.

 

Decisamente verso Lucca mi pare orienti anche il particolare arrangiamento della predella del polittico, non ancora valutato a dovere dagli studi. Le analisi radiografiche (fig. 80) degli scomparti pubblicate dalla Gordon, oltre a evidenziare la continuità della venatura del legno certificandone l’appartenenza ad un unico complesso, rivelano alla sommità dei pannelli tracce di peducci rimossi, oggi malcelate da dorature moderne, che meritano di essere commentate32. Su questi peducci, infatti, si impostavano degli archetti ciechi che decoravano il margine superiore degli scomparti, segati e rimossi più tardi in seguito allo smontaggio della predella (figg. 77, 81). Una soluzione simile è rara in Toscana a quest’altezza cronologica: non si conoscono esempi a Siena, mentre a Firenze compare nel polittico Quaratesi dipinto nel 1425 da Gentile da Fabriano, destinato a San Niccolò Oltrarno33, oggi smembrato tra la National Gallery di Londra (la Madonna col Bambino), la Galleria degli Uffizi (i santi laterali), la Pinacoteca Vaticana e la National Gallery of Art di Washington34, dove si divide la predella con le Storie di San Nicola che significativamente fu citata da due pittori di temperamento antitetico come Bicci di Lorenzo nel polittico di San Niccolò di Cafaggio e Giovanni di Paolo nella pala per Sant’Agostino a Montepulciano, ma quanto a scelte costruttive rimase un apax senza seguito35. A monte c’è il polittico realizzato per la chiesa olivetana di Santa Maria Nuova a Roma da Spinello Aretino (fig. 78), ricordato dal Vasari a Monte Oliveto Maggiore36. L’iscrizione in pastiglia celebrava un’articolata banda toscana: l’intagliatore fiorentino Simone Cini, il doratore senese Gabriello Saracini e il pittore Spinello di Luca d’Arezzo. L’impegnativa macchina, allogata nell’aprile del 1384 dal priore del convento fra Nicola da Pisa, un altro toscano fuori sede, oggi divisa tra lo Szépmüvészeti di Budapest e il Fogg Art Museum di Cambridge (Mass.), era per contratto esemplata modo forma et qualitate sulla pala nuper facta dallo stesso Spinello per San Ponziano a Lucca. Quest’ultima, ben inquadrata dagli studi di Angelo Tartuferi e di Stefan Weppelmann37, è divisa tra il Fogg Art Museum, il museo dell’Ermitage e la Galleria Nazionale di Parma, dove si conserva la predella che mostra le stesse tracce dei peducci rimossi, identiche a quelle degli scomparti del polittico di Würzburg.

 

 Fig. 78) Aretino: Dormitio Virginis. Siena, Pinacoteca Nazionale.

 

Fig. 79) Spinello Aretino: Adorazione dei Magi. Parma, Galleria Nazionale.

 

Fu proprio a Lucca, del resto, che la predella ad archetti continui conobbe una fortuna ancora quattrocentesca, tornando mezzo secolo più tardi in un’opera di tenerezza lippesca come il polittico di Benabbio di Baldassarre del Biagio e nelle ancone di Bernardino del Castelletto a Vallico di Sotto e Piazza al Serchio38 (fig. 118).

 

Fig. 118) Baldassarre del Biagio: Madonna col Bambino e santi. Benabbio (Bagni di Lucca), chiesa di Santa Maria Assunta.

 

Ancora un arrangiamento simile informa i tre scomparti di predella del Maestro di Borsigliana, alias Pietro da Talada, uno già in collezione Stoclet (fig. 82), gli altri al North Carolina Museum of Art di Raleigh39.

 

Fig. 83) Bernardino del Castelletto: Madonna col Bambino, san Giacomo maggiore e san Cristoforo. Fabbriche di Vallico, chiesa di San Giacomo, Vallico di Sotto.

 

Fig. 82) Pietro da Talada: Adorazione dei Magi. Già Lucerna, collezione F.W. Steinmeyer.

 

Un altro esempio tardivo è la predella del polittico allogato il 29 luglio del 1490 a Vincenzo Frediani e Luca d’Agostino da Montalcino per la Pieve dei Santi Giovanni, Donnino e Prospero a Marlia, destinazione defilata più sensibile al fascino di soluzioni costruttive tradizionali. La predella del polittico è il frutto della curiosa collaborazione tra il Frediani e Ansano di Michele Ciampanti. A quest’ultimo vanno ricondotti i due scomparti laterali (figg. 85, 86), uno già in collezione Sterbini a Roma, l’altro di recente all’incanto presso Sotheby’s a New York, a cui, come mi segnala gentilmente Matteo Mazzalupi, è possibile aggiungere anche il centrale con la Dormitio Virginis al Keresztény Muzeum di Esztergom (fig. 84), senza dubbio di mano di Vincenzo40.

 

 

Fig. 84) Vincenzo Frediani: Dormitio Virginis. Esztergom, Keresztény Muzeum.

 

Fig. 85) Ansano di Michele Ciampanti: San Giuliano l’Ospitaliere uccide i genitori, Martirio di santa Caterina. Già New York, Sotheby’s.

 

Fig. 86) Ansano di Michele Ciampanti: Congedo di san Giovanni evangelista, Carità di san Giusto. Già Roma, collezione Sterbini.

 

L’origine lucchese del trittico di Starnina trova ancor più solidi appigli se verrà confermata la proposta – assai convincente – di Linda Pisani di una sua provenienza del polittico dalla cappella dedicata a San Filippo nella chiesa di San Frediano a Lucca, per la quale Pietro di Filippo Gentili nel 1398 lasciò una somma ingente. La cappella fu terminata solo dopo la morte di Pietro nel 1404 grazie all’impegno assunto dalla moglie Maddalena, “who was in charge of works in the chapel after her husband’s death”41. È inutile dilungarsi sulla convenienza tra la proposta e il programma iconografico del polittico, dove il titolare della cappella è in posizione d’onore, a pendant col santo onomastico del committente, affiancato a sua volta da quello della moglie. L’ipotesi ha anche il vantaggio di suggerire un riferimento cronologico circostanziato del tutto consonante con quanto impone l’analisi dello stile, come ho avuto modo di ricordare di recente42. Nell’occasione avevo anche sottolineato l’anomala connotazione marcatamente muliebre della predella (fig.77), interpretandola però erroneamente come indizio di una provenienza da un monastero femminile, mentre vi andrà riconosciuto l’attivismo di Maddalena, moglie di Pietro di Filippo, solerte nell’omaggiare la santa omonima e Margherita, le cui reliquie non a caso si conservavano proprio in San Frediano.

 

Alterità di Lucca

A confronto con le carpenterie correntemente in uso in Toscana, il trittico di Würzburg marcava una posizione anomala per l’ampio sviluppo verticale e il disegno compatto del registro superiore. Forse ancor più eterodossa doveva apparire l’altra opera sicuramente lucchese di Starnina, il trittico dell’Assunta.

 

Fig. 106) Gherardo Starnina: Trittico dell’Assunta, ricostruzione grafica di Federica Corsini.

 

Ne facevano parte la Morte della Vergine della collezione Johnson del Museum of Fine Arts di Philadelphia, segata di netto dall’Assunzione di Maria (fig. 106) del Fogg Art Museum di Cambridge (Mass.), serrate a sinistra dai Santi Michele Arcangelo, Giovanni Battista, Giacomo, e a destra dai Santi Giovanni Evangelista, Paolo e Pietro, oggi nel Museo Nazionale di Villa Guinigi, ma alla fine dell’Ottocento nella chiesa di San Martino a Tramonte di Brancoli43. Il complesso può essere reintegrato di parte del registro superiore con l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata, già nella raccolta Chiaramonte Bordonaro, pervenuti grazie al lascito Schubert al Museo Diocesano di Milano44. Come ha riconosciuto Andrea De Marchi, la pertinenza di queste due tavole al complesso, proposta da Sonia Chiodo, è assicurata dai segni lasciati dalla peculiare lavorazione del legno sul retro che ritornano identici nei laterali lucchesi. Questi ultimi hanno una larghezza sostanzialmente analoga a quella dell’Angelo annunciante e della Vergine Annunciata, che dovevano sormontarli ed erano ricavati in continuità su assi uniche. È una carpenteria dal disegno serrato e compatto, non troppo dissimile da quella del trittico di Würzburg, e che non a caso ha fatto evocare i “tavolati continui e chiusi dal guardapols dei retablos catalani e valenzani”45, mostrandosi equidistante sia dalle carpenterie in voga a Firenze, sia dai polittici rastremati more senese, e può essere parzialmente intesa guardando al trittico di Battista di Gerio nella Pieve di Camaiore, eseguito probabilmente per la chiesa di San Giovanni e Reparata a Lucca46.

L’ambiguità tipologica dei polittici di Starnina, inconcepibile a Firenze, era possibile solo a Lucca, città relativamente franca e permeabile dall’esterno, proiettata naturalmente a settentrione verso l’Emilia, a ponente in direzione della Liguria, e adusa a contaminazioni di modelli diversi.  Starnina vi incontrò un clima favorevole, dove fermentavano da tempo umori latenti che grazie al suo esempio poterono definitivamente maturare. In città si era conclusa da poco, infatti, una stagione di sperimentazione spregiudicata, avviata nei primi anni ottanta del Trecento grazie alla presenza congiunta di Spinello Aretino e Angelo Puccinelli che, in aperta competizione, mostravano due mondi figurativi divergenti, accomunati però dalla predilezione per ritmi lineari sciolti e dal gusto per le superfici cariche, impreziosite dalla lavorazione sapiente delle lamine metalliche, presagendo futuri sviluppi in senso cortese che non tardarono ad arrivare. E se la predella del trittico di Würzburg è un omaggio esplicito al polittico di San Ponziano di Spinello, la pala dell’Assunta fu invece l’occasione per un  confronto in corpore vivo con il pulsare sanguigno dell’arte del Puccinelli, perché esemplata modo et forma sul trittico dipinto dal lucchese nel 1386 probabilmente per San Giacomo della Tomba, smembrato tra la chiesa di Santa Maria Foris Portam e la collezione van der Quast di Radenslebem presso Berlino47.

In quest’opera, la sottile indagine epidermica del primo tempo del Puccinelli48 ha lasciato il campo al calligrafismo nervoso e alle esplosioni plastiche che tradiscono un ripensamento radicale alimentato dal dialogo alla pari intessuto sia con “la maniera larga”49 e il turgore crepitante di Antonio Veneziano – in quegli anni stabilmente al lavoro nel vicino Camposanto pisano – sia col gruppo di sculture assegnate senza certezza al capomastro del duomo lucchese Antonio Pardini50. Starnina seguì il modello fedelmente nel cambio di scala pronunciato tra i santi degli scomparti laterali e le figure del centrale, ma scardinò volutamente l’andamento spaziale invertendo la fuga prospettica del pavimento verso l’esterno e rinserrando l’intera composizione della scena narrativa in un formicolio febbricitante  di gesti caricati, con la Vergine che s’avanza in primo piano, così da suggerire una sensazione più fremente e transitoria. Il cromatismo è libero, le tinte trascolorano con una freschezza nuova, che rimanda agli anni valenzani, richiamati anche da dettagli tecnici puntuali come il decoro a rondelle sgraffite e granite sull’oro del lenzuolo della Dormitio, già messo in opera nella tunica scintillante dell’arcangelo Gabriele nella cuspide del retablo di Porta Coeli.

 

Fig. 75) Gherardo Starnina: San Giovanni evangelista, san Paolo e san Pietro. Lucca, Museo Nazionale di Villa Guinigi.

 

Fig. 76) Gherardo Starnina: Madonna col Bambino tra Angeli, santa Margherita d’Antiochia, san Filippo, san Pietro e santa Maria Maddalena, particolare. Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg.

 

Il punto di stile è lo stesso del polittico di Würzburg, più esuberante e meno meditato, ma vicinissimo sia in dettagli come il volto corrucciato di San Pietro, sia nella fitta intelaiatura di pennellate leggere che modellano le carni, presto abbandonate in favore di impasti più densi. Simile è pure l’orografia accidentata dei panni e il lumeggiare violento, come al Carmine, per cui vale il confronto palmare, già proposto dalla critica, tra il San Benedetto degli affreschi fiorentini (figg. 72, 74-75) e l’Evangelista Giovanni del laterale lucchese51.

Non è possibile sapere se il trittico del Puccinelli prevedesse un registro superiore dal disegno audace simile a quello messo in opera da Starnina, come ci si potrebbe aspettare dalla fedeltà dell’ordine mediano, ma certo la sua predilezione per tipologie aliene alla tradizione toscana, su cui gli studi hanno posto l’attenzione solo di recente52, poté essere apprezzata da un artista girovago come Gherardo, incline a contaminazioni ardite.

Il polittico di Würzburg e il trittico dell’Assunta cadono in una congiuntura felicissima vissuta da Lucca all’inizio del Quattrocento, favorita dalle aspirazioni personali di Paolo Guinigi e dal suo gusto internazionale, abilmente alimentato da Jacopo della Quercia53 in quegli anni in città. I buoni uffici di quest’ultimo agevolarono la presenza di importanti artisti padani alla corte del Guinigi, assicurando un clima cosmopolita davvero irripetibile, in cui l’esempio di Starnina fu un modello paradigmatico per la nuova generazione di pittori. Oltre al Maestro di Barga, uscito da una sua costola, il suo linguaggio fu decisivo per la maturazione del Pirez e di Battista di Gerio, pittore dal “temperamento delicato e pieno di umore”54, riverberandosi anche su un provinciale di talento come il Maestro di San Davino, che nell’anconetta Larderell – purtroppo ridipinta nei carnati – si emancipa completamente dalla pittura garbata di Giuliano di Simone, in favore di scivolamenti più scopertamente gotici.

 

Santini da pilastro: precisazioni cronologiche

 

Fig. 90) Gherardo Starnina: Santa Elisabetta d’Ungheria. Collezione Martello.

 

Fig. 93) Gherardo Starnina: Santa. Collezione Martello.

 

Al polittico di Würzburg di recente è stato accostato un gruppo di santi da pilastro o da predella, riunito in un saggio molto denso nel 1975 da Miklós Boskovits55, di cui fanno parte una Santa Elisabetta (fig. 90), una Santa con libro (fig. 93), appartenute alla raccolta newyorkese di Emmet Hughes, e una Sant’Orsola  frattanto confluite in collezione Martello56; due Evangelisti del Rijksmuseum di Amsterdam (figg. 98, 101) , sicuri pendant di un’altra coppia, resa nota più tardi da van Os, divisa tra una collezione privata di Norwich e la raccolta dell’Ente Cassa di Firenze57; un Santo imberbe in sgargiante veste rossa, nel gennaio 1938 all’incanto da Bachstitz a L’Aja, oggi in collezione privata58 (fig. 85) quindi una Santa Maria Maddalena di ubicazione ignota59 (fig. 105).

 

Fig. 92) Gherardo Starnina: Sant’Orsola. Collezione Martello

 

Fig. 101) Gherardo Starnina: Evangelista. Amsterdam, Rijksmuseum.

 

Fig. 101) Gherardo Starnina: Evangelista. Amsterdam, Rijksmuseum.

 

Fig. 89) Gherardo Starnina, Santo imberbe, Collezione privata.

 

Fig. 100) Gherardo Starnina: Evangelista. Firenze, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.

 

Fig. 105 Gherardo Starnina: Maddalena. Già New York, collezione Wildenstein.

 

A questi posso ora aggiungere uno splendido San Giuliano (figg. VI, VIII, 87), squisito nella veste azzurro intenso gallonata di pelliccia che si intravede sotto la mantella violacea soppannata di vaio, a Londra in collezione privata60, e un San  Domenico (figg. VII, IX, 88) in collezione Giovanni Sarti a Parigi, di recente sul mercato svizzero con una attribuzione al Maestro di Borgo alla Collina proposta da Gaudenz Freuler61, ma che nell’espressione immalinconita – da Angelico avant le lettre – nella posa sicura, nel fluire sciolto e animato delle vesti che si spampanano a terra in gorghi d’ombra liquida, va assegnato senza incertezze alla mano eletta di Starnina.

 

Fig. VI.) Gherardo Starnina: San Giuliano. Collezione privata.

 

Fig. VIII) Gherardo Starnina: San Giuliano, particolare. Collezione privata.

 

Fig. VII) Gherardo Starnina: San Domenico. Parigi, Galleria G. Sarti.

 

Fig. IX) Gherardo Starnina: San Domenico, particolare. Parigi, Galleria G. Sarti.

 

Boskovits aveva proposto per questo gruppo una comune provenienza dal polittico Acciaiuoli. Tuttavia, l’assenza di santi certosini, notata per prima dalla Syre, ha finito con l’affievolire l’ipotesi, presentata con maggiore tepore dallo stesso studioso e da quanti si sono occupati di queste opere dopo di lui, fino al recente intervento di Dillian Gordon che le ha dirottate sul polittico di Würzburg, perché “the panels seem closer in style to the altarpiece”.62

In effetti, all’unisono col registro centrale alcuni di questi santi sembrano davvero acclimatati nel pieno della stagione degli affreschi del Carmine, come suggeriscono raffronti palmari, anche minuti, per cui basti osservare le mani del San Domenico (fig. 73) sovrapponibili a quelle della Sant’Agnese (fig. 74) dei freschi fiorentini, identiche nel pollice stondato e nel gesto un po’ innaturale con l’indice e l’anulare che si stringono in punta.

 

Fig. 74) Gherardo Starnina: Sant’Agnese, particolare. Firenze, chiesa di Santa Maria del Carmine.

 

Fig. 73) Gherardo Starnina: San Domenico, particolare. Parigi, Galleria G. Sarti.

 

Benché semplificati, poi, i panni di questi santi su cui fruscia la luce netta si animano degli stessi piegoni profondi che paludano altre figure del polittico, accomunate anche dalla medesima aria di famiglia. L’Annunciata di Avignone (fig. 95) è davvero gemella carnale del Santo imberbe (Fig. 96), con cui condivide il volto appuntito, i capelli morbidi e chiari ravvivati da ciocche rossicce, gli occhi schiusi e allungati, le sopracciglia nette, il naso aquilino dalla canna uncinata di biacca, il prolabio lumeggiato, la bocca stretta, le labbra carnose, il mento leggermente infossato.

 

Fig. 96) Gherardo Starnina: Santo imberbe, particolare. Collezione privata.

 

Fig. 95) Gherardo Starnina: Annunciata, particolare. Avignone, Musée du Petit Palais.

 

Così la grande falcatura che solca la sopravveste rosa di Sant’Orsola (fig. 92) intacca anche il manto verde dell’Apostolo ai piedi della Vergine del pannello di Chicago (fig.67) e scava quello oltremare dell’orientale con la barba rossiccia in primo piano nello scomparto di Londra (fig. 91). Qui le pieghe seghettate della clamide rossa, annodata sulla spalla e aperta sulla lorica di cuoio dorato indossata dall’inturbantato, sono le stesse che scheggiano la casula di Zosimo nella Comunione della Maddalena (fig. 94) d’ubicazione ignota e arrotano i panni della Santa col libro (fig. 93) in collezione Martello, dalla tunica verde, sotto il manto azzurro foderato d’arancio.

Fig. 92) Gherardo Starnina: Sant’Orsola. Collezione Martello

 

Fig. 67) Gherardo Starnina: Dormitio Virginis. Chicago, The Art Institute of Chicago.

 

Fig. 91) Gherardo Starnina: Martirio di santa Margherita d’Antiochia, particolare. Londra, National Gallery.

 

(Fig. 94) Gherardo Starnina: Comunione della Maddalena, particolare. Ubicazione ignota, cortesia della Biblioteca Berenson -Fototeca, Villa I Tatti – The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies.

 

Questa vivacità di tinte e i contrasti cromatici netti allignano direttamente sulle opere valenzane, verso cui puntano con decisione anche le scilacche di luce risolte tutte sul piano che profilano le creste affilate delle vesti. Caratteri che si spiegano bene nell’immediatezza del rientro in Italia del pittore63, a una cronologia più alta rispetto a quella di norma indicata dalla critica, che ha talvolta dato un giudizio limitativo di queste figurine da pilastro, mettendone in dubbio l’autografia. Eppure, al pari del registro centrale della tavola di Würzburg, finezze squisite non mancano: come nel soggolo di Sant’Orsola (fig. 92) realizzato con pennellate lievi di biacca nelle massime luci, tratti rapidi di lacca rossa nelle ombre, e per il resto da sole velature trasparenti stese direttamente sulla lamina, così da restituire tutta la leggerezza impalpabile della stoffa, che s’addensa sul collo e sulla fronte della santa, più contadina che principessa, dalle guance paffute affocate dalle mitezze primaverili che sembrano averla colta d’improvviso.

 

Starnina, Ghiberti e Lorenzo Monaco: un dialogo crescente

La presenza della Maddalena nel registro centrale sia nel trittico di Würzburg (fig. 76), sia nello scomparto di Berlino, impone una provenienza alternativa per la tavola (fig. 105) già Wildenstein raffigurante la santa64, i cui tratti marcati, la mascella squadrata, il naso adunco, gli occhi cerchiati, l’umore pesto, mi paiono gli stessi dei protagonisti accigliati della predella del polittico lucchese dell’Assunta (figg. 103, 104), con cui condivide al centimetro l’altezza, tanto da farmi chiedere se non possa scandirne uno degli scomparti a destra65.

 

Fig. 105 Gherardo Starnina: Maddalena. Già New York, collezione Wildenstein.

 

 

Fig. 103) Gherardo Starnina: Adorazione dei magi, particolare. Kansas City.

 

Fig. 104) Gherardo Starnina: Presentazione al tempio, particolare. New York, collezione Richard Feigen.

 

 

Fig. 106) Gherardo Starnina: Trittico dell’Assunta, ricostruzione grafica di Federica Corsini.

 

Analogamente anche i quattro Evangelisti hanno differenze materiali e proporzionali così macroscopiche da scoraggiare una loro pertinenza alla stessa serie delle altre tavole66, come da ultimo ha riconosciuto Larry Kanter che ha avvistato nell’Evangelista (fig.88) di Amsterdam in veste rosata un collaboratore spagnolo di Starnina, responsabile a suo dire anche dello scomparto destro e degli Angeli intorno alla Vergine del polittico di Würzburg. Di conseguenza i quattro Evangelisti sono stati ricondotti proprio al trittico tedesco, suggerendone una cronologia alta, in stretta continuità con la fase iberica di Gherardo, mentre i “Martello saints and the formerly in the collection of Carlo De Carlo” sarebbero “considerably later in style”.67 Eppure, l’identità di stile tanto stringente tra i singoli Evangelisti non lascia spazio per scorgervi due mani diverse e i loro paludamenti mi paiono assai lontani dai guizzi di Würzburg. A ben vedere, infatti, le ammaccature dal sapore iberico che spiegazzavano le vesti degli altri santi riuniti dal Boskovits lasciano il posto a falcature a un tempo più gonfie e cedevoli, e a lumeggiature più teneramente sfumate che scivolano sui volumi più saldi e slanciati, tradendo mi pare una reazione a caldo, bruciante e perentoria, al Ghiberti. Uno scarto leggero, ma netto, verso un’idea più organica della forma, ispirata ai modi falcati e coerenti di Lorenzo. Se si accostano queste figure agli Evangelisti e ai Padri della chiesa dei registri bassi della Porta Nord del Battistero fiorentino (figg. 97, 100) si rimane davvero impressionati dalle analogie: nell’avvitarsi largo e pausato – come mai prima in Starnina! – dei manti sugli addomi delle figure, nei gesti sospesi, nei ricaschi che si addensano morbidi sulle forme enfiate.

 

Fig. 97) Lorenzo Ghiberti, San Marco evangelista, Firenze, Museo dell’opera del Duomo.

 

Fig. 100) Gherardo Starnina: Evangelista. Firenze, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.

 

Anzi, proprio questi Evangelisti dimostrano al meglio come un osservatore attento quale doveva essere Starnina, che aveva già dato prova di recepire gli stimoli più vitali degli ambienti nei quali aveva operato, una volta riacclimatatosi nel vivo della scena fiorentina, fosse prontamente attratto dal cantiere della Porta Nord, fucina straordinaria che non poteva passare inosservata. L’impresa ghibertiana, pur nella gestazione assai lunga, ben testimoniata dall’inadempienza del contratto del 1403, e difficile da chiarire con puntualità nella sua messa in opera, doveva essere ideata fin nel dettaglio, ma forse anche modellata, assai per tempo. Lo lascia credere la coerenza sostanziale delle singole parti e la logica stessa di un cantiere tanto complesso che imponeva una chiarezza progettuale solerte, analogamente a quanto accadde più tardi per la Porta del Paradiso, come ha chiarito Francesco Caglioti68. E se pensate per tempo, le analogie palmari tra gli Evangelisti dipinti da Starnina e le formelle dei registri bassi della porta aprono spiragli cronologici puntuali, oltrepassata di poco la metà del primo decennio, entro i quali immaginare i dialoghi tra Gherardo e Lorenzo. In favore di una loro datazione seriore nel percorso del pittore va pure letta la dignità morale di questi vecchioni canuti dallo sguardo penetrante che sembra rispondere al rigore claustrale racchiuso nel mondo ghiacciato e lunare di Lorenzo Monaco. Non a caso, la severità di queste figure si accosta senza fatica all’umanità inflessibile ritratta dal camaldolese negli Antifonari di Santa Maria degli Angeli, di cui fa parte il Tobia orante (c. 20r) del Corale 5, miniato nei primi anni del Quattrocento (1400-1405), il Re David (c. 20r) e su tutti l’accigliato San Mauro (c. 95v) del Corale 7 miniato tra il 1406 e il 1408, che chiude la serie69.

Da questo nuovo rapporto dialettico col Ghiberti e Lorenzo Monaco nascono allora gli Evangelisti, in cui sembrano acquetarsi i ritmi convulsi delle opere lucchesi, segnando sul crinale del 1405-1406 una parabola per tanti versi opposta a quella del camaldolese, sempre più sbrogliato con l’avanzare degli anni. Questo nuovo corso dell’arte di Gherardo, che informava già la Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista, Nicola di Bari e quattro Angeli della Galleria dell’Accademia, emerge più compiutamente nel polittico smembrato della Certosa di Firenze, licenziato per la cappella Acciaiuoli prima della morte del cardinale Angelo, il 31 maggio 1408, ma forse già concluso prima del 20 dicembre 1407, quando sono pagati i fregi e le frange destinate all’allestimento della cappella70. In quest’opera le punte più capricciose del linguaggio starniniano si stemperano in forme più sciolte ed eleganze più esibite; il modellato si fa più largo, le carni si ammorbidiscono grazie a sfumature tenere e un pittoricismo vibrante, che guarda ora con decisione a Lorenzo Monaco. I ritmi delle vesti si fanno più fluenti e addolciti, analogamente a quanto avviene negli Evangelisti, tanto da farmi chiedere se quest’ultimi non provengano proprio dall’altare certosino, con cui condividono, del resto, anche alcuni marginalia rivelatori, come la modanatura di tre fili rossi del gradino di marmo screziato che battono anche sulla base delle cuspidi con l’Annunciazione conservate allo Städel Museum di Francoforte (figg. 101, 102).

Dello stesso tempo è anche la splendida anconetta Cook, oggi in collezione Alana, licenziata da Starnina per il matrimonio tra Antonio di Filippo Lorini e Agnola di Jacopo di Francesco Venturi celebrato nel 140771. Il manto rosa-arancio filettato d’oro di Santo Stefano è lo stesso che avvolge un Evangelista di Amsterdam (fig. 101), vicino anche nel carnato olivastro e nelle mani snodate, mentre il profilo del diacono, così ben disegnato, si sovrappone al volto dell’Angelo frammentario in collezione privata genovese proveniente dall’altare della Certosa, a conferma di una datazione simile di queste opere. Da qui d’un fiato si giunge agli affreschi della Compagnia della Nunziata in Santo Stefano a Empoli, commissionati al pittore nel 1409 in fondo alla sua attività, dove l’apostolo Andrea è della stessa pasta, solo più ingrigita di qualche anno, dell’Evangelista (fig.100) dell’Ente Cassa, vicino persino nella bocca serrata leggermente storta verso sinistra.

Difficilmente potrà essere sopravvalutata l’importanza del dialogo a tre voci intessuto da Starnina, Ghiberti e Lorenzo Monaco in questi anni. La prima maturità di Giovanni dal Ponte, la parabola altalenante ed eccentrica del Maestro del 1419, l’attività di Rossello di Jacopo Franchi, si spiegano tutte nell’eco di quella dialettica, che sopravvisse ancora nella squisita decadenza di un calligrafo come il Maestro del Giudizio di Paride, incidendo anche sugli esordi sinuosi di Masolino e di Paolo Uccello, presto attratti dalla verità d’epidermide e dalla ricchezza sontuaria del tutto inedita di Gentile da Fabriano e dalla nuova razionalità masaccesca.

 

Per un’analisi materiale dei supporti

L’osservazione dei retri degli Evangelisti assicura sulla loro originaria pertinenza dai pilieri e non dai registri alti di un polittico, come pure ipotizzato con molta prudenza in passato72. Sul verso di ciascuna delle tavolette di Amsterdam (figg. 110, 111), infatti, le ampie feritoie scavate all’altezza dei margini laterali sono i segni dell’alloggio dei chiodi a T – a volte in uso in carpenterie del periodo – che giuntavano la fronte del pilastro ai fianchi, e che sono stati estratti dal retro dopo l’assottigliamento delle tavole73.

 

Fig. 110) Gherardo Starnina: Evangelista, foto del retro assottigliato. Amsterdam, Rijksmuseum.

 

Fig. 111) Gherardo Starnina: Evangelista. Amsterdam, Rijksmuseum.

 

Sul verso dell’Evangelista dell’Ente Cassa (fig. 100), che ha mantenuto lo spessore originario, la tempera gialla sottile spuria, stesa in maniera grossolana, lascia intravedere i segni della lavorazione del legno74, sormontando lungo il margine destro i residui di colla utilizzata per giuntare il fianco del pilastro alla fronte; meno chiaramente, residui simili si osservano anche sul lato sinistro della tavola, dove insiste lo stelo di un chiodo, infisso dal davanti, segato con una sega a ferro.

 

Fig. 112) Gherardo Starnina: Evangelista, foto dello spessore. Firenze, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.

 

Sulla fronte del pannello fiorentino (fig. 112) sono stati applicati con colla e chiodi gli elementi della cornice costituita da due paraste angolari autonome e da tasselli di raccordo che inquadrano le lobature del campo figurato, con un disegno asimmetrico: in alto l’elegante cornice modanata e incavata lascia parte del supporto a vista, in basso lo sormonta completamente. La doratura di questa incorniciatura è moderna, diversa da quella più calda su cui si staglia l’Evangelista. In ogni caso la carpenteria è senz’altro originale: sul pennacchio in basso a destra, infatti, una piccola lacuna rivela le tracce della doratura antica, sulla quale è stata stesa la doratura moderna. Per simmetria, allora, mi pare lecito pensare che l’incorniciatura di almeno uno degli Evangelisti di Amsterdam (figg. 98, 101) – non conoscendo la foggia del quarto presentato da van Os – sia stata manomessa nella parte alta con l’inserto di tasselli triangolari in sostituzione della cornice originale ancora visibile a Firenze. Un probabile maquillage antiquariale finalizzato a camuffare l’aspetto frammentario dei due santi. In questa stessa occasione le tavolette sono state allungate in alto e in basso con listelli orizzontali che hanno reso le immagini più centrate e simmetriche e tutti i tasselli sono stati ripreparati e ridorati per rendere omogenee le addenda spurie con le paraste angolari originali sul cui spessore, infatti, si conservano tracce di oro antico, come mi segnala gentilmente Giulia De Vivo.

Le leggere differenze di profondità del piano di marmo screziato su cui poggiano le figure permettono, a ben guardare, di precisare che il Santo di Norwich doveva porsi sullo stesso ordine dell’Evangelista ammantato di giallo di Amsterdam, sovrastando l’altra coppia posta alla base del pilastro, come del resto sembra confermare la soluzione dell’incorniciatura asimmetrica della tavoletta dell’Ente Cassa, che evidentemente si alleggeriva in alto con l’intaglio modanato, assente in basso. È forse proprio grazie all’esempio autorevole del modello starniniano che l’incorniciatura lobata elegantemente traforata ebbe una discreta fortuna tra secondo e terzo quarto del Quattrocento, ben testimoniata dal polittico di San Giuliano del Maestro del 1419 conservato nel Museo Civico di San Gimignano, databile intorno alla metà degli anni venti e dal trittico della National Gallery di Londra con l’Ascensione di San Giovanni Evangelista di Giovanni dal Ponte, dove non senza significato il gesto incamottato di San Bernardo che imbraccia il libro è una citazione puntuale del San Benedetto dipinto in controparte da Starnina nell’altare certosino.75

Questo arrangiamento per i pilieri, del resto, passò poi all’Angelico che poté metterlo a profitto forse fin da una primizia giovanile come il polittico di san Domenico a Fiesole, licenziato verso il 1424-2576 e di certo nella Deposizione Strozzi dipinta per Santa Trinita, iniziata da Lorenzo Monaco e dopo la sua morte conclusa dal domenicano entro il luglio 143277. Qui nei santi da pilastro si raggiunge un vertice impareggiabile nelle pose e nelle espressioni programmaticamente variate delle figure che sembrano aggallare dal fondo blu, ormai scurito, emergendo con forza sul podio dorato con una razionalità lontanissima dal linguaggio tutto umori crepitanti di Starnina, rivelatrice per contrasto del nuovo corso inesorabile intrapreso ormai dalla pittura fiorentina di quegli anni78.

 

Lo smusso a quartabona tronca

Se scattivati dalla Maddalena ex-Wildenstein e dagli Evangelisti, i sei santi rimasti si dividono in due gruppi di larghezza differente: il San Giuliano, la Santa Elisabetta e la Santa col libro sono sensibilmente più larghi della Sant’Orsola, del San Domenico e del Santo imberbe (18 cm ca. contro 12 cm ca.), questi ultimi due caratterizzati da una incorniciatura rettangolare più semplice rispetto agli altri79. Nondimeno, le figure hanno tra loro rapporti proporzionali identici – tutte infatti sono alte circa 42,3 / 43 cm – compreso il San Giuliano che pure è stato tagliato in alto e presentava con grande probabilità un coronamento trilobato che se reintegrato seguendo la curvatura dell’imposta originale, assicurata dalla barba del gesso conservata,  necessita di un’aggiunta di quasi 4,8 cm80.

I segni ben evidenti dei rompitratta orizzontali e dei chiodi sui retri dei pannelli di Londra e Parigi (fig. 107) chiariscono senza incertezze che queste tavole decoravano i pilastri di un polittico e non scandivano né gli scomparti, né i dadi di una predella. Non è possibile compiere verifiche simili sulle sante in collezione Martello, perché durante un restauro condotto da Alfio del Serra nei primi anni ottanta, le tre tavole sono state fissate su un pannello difficile da rimuovere senza traumi. Nell’occasione le dorature spurie sono state eliminate recuperando il disegno originale delle aureole, ed è stato aggiunto in basso un listello ligneo su cui per simmetria è stata ricavata una lobatura.81 Eppure la presenza di consistenti tracce di oro che emergono sul margine inferiore della pittura permettono di stabilire come la superficie dipinta terminasse a quell’altezza, con la base stondata non dissimile dal taglio dei santini del registro superiore dei pilieri del polittico di Giovanni del Biondo conservato alla Galleria dell’Accademia di Firenze, proveniente dall’altare della Vergine Annunciata in Santa Maria Novella.82

Tutti questi santi sono poi accomunati da una stessa caratteristica costruttiva che va messa in valore: le tavolette – ad eccezione del Santo imberbe che è stato parchettato e assottigliato – presentano su un fianco uno smusso a quartabona tronca, mentre il lato opposto con lo sciavero corre rettilineo. Questo smusso procede dalla fronte verso il retro della tavola, per cui la superficie pittorica è più larga del tergo. Il San Giuliano e la Sant’Orsola (fig. 115) hanno lo smusso a destra, il San Domenico (fig. 109) e le due sante Martello invece a sinistra; in tutti i casi esso ha profondità identica.

 

Fig. 115) Gherardo Starnina: Sant’Orsola, foto dello spessore della tavola che evidenzia lo smusso a quartabona tronca su un solo lato, particolare. Collezione Martello.

 

Fig. 109) Gherardo Starnina: San Domenico, foto dello spessore della tavola che evidenzia lo smusso a quartabona tronca su un solo lato. Parigi, Galleria G. Sarti.

 

Come mi confermano Ciro Castelli e Andrea Santacesaria, che ringrazio, questa soluzione è del tutto insolita: l’anomalia tecnica rafforza l’idea di una loro comune provenienza, suggerita del resto anche dalle affinità stilistiche parlanti.Pur evitando facili generalizzazioni, si può dire, infatti, che di prassi le facce dei pilastri potevano avere sezione rettangolare assai semplice come nel caso degli Evangelisti di Starnina discussi sopra, dove la cornice era applicata con colla e chiodi direttamente sul supporto. In altri casi la fronte dei pilieri poteva presentare ai lati degli smussi in direzione inversa rispetto a quella dei nostri santi, perché una volta costruita la struttura del pilastro, i lignaioli provvedevano a piallarne i margini laterali della testata per ricavare una superficie obliqua dove applicare la lesena, come si vede bene nel polittico di Taddeo di Bartolo nella Pinacoteca e Museo Civico di Volterra, pur parzialmente manomesso, e ancora meglio nel pilastrino coi santi Ansano e Antonio abate realizzati da Bartolo di Fredi e da Andrea di Bartolo del Princeton University Art Museum, già nella raccolta del conte Giovanni Placidi di Mont’Antico, che mostra il supporto originale a vista nella sola parte alta della struttura, ma anche nel frammento di piliere a massello dipinto da Rossello di Jacopo Franchi con Santa Caterina d’Alessandria della Yale University Art Gallery di New Haven, dai fianchi ben visibili in seguito alla caduta di parte della pastiglia e della doratura83. Con criterio opposto, nella pala francescana di San Sepolcro del Sassetta – indagata di recente con affondi puntuali di rilevanza straordinaria – le lunghe strisce di legno a sezione quadrata della cornice modanata sono state scanalate su un lato per applicarle a un angolo del pilastro 84.Rispetto alla prassi operativa l’insolita asimmetria delle nostre tavole, assicurata dalla presenza su un unico lato dello smusso che insiste sul retro, rimane una singolarità tecnica sorprendente che può essere giustificata solo pensando a una giunzione al vivo delle due facce del pilastro sfruttando l’invito a quartabona tronca. Il rincasso di novanta gradi ricavato sull’angolo d’incontro tra le due tavole era destinato allora ad alloggiare una lesena (fig. 116).

 

Fig.116) Sezione del sistema di giunzione tra lo smusso a quartabona tronca di due tavole e la lesena applicata.

 

Se si rispetta questa ratio costruttiva e si tiene nel debito conto la diversa larghezza delle tavole, la varietà della fonte di luce e l’orientamento dei santi 85, pur con le opportune cautele, mi pare possibile formulare alcune ipotesi sulla foggia di questi pilieri, che in ogni caso dovevano avere incorniciature variate e un registro leggermente più alto degli altri, probabilmente il più basso, assicurato dalla presenza del San Giuliano (figg. VI, VIII, 87), come accade ad esempio nel polittico di Taddeo di Bartolo nel Duomo di Montepulciano del 1401 e nell’Annunciazione di Giovanni del Biondo dell’Accademia di Firenze, già richiamata.

  1. Una prima soluzione può essere quella di un pilastro a sezione quadrangolare, con la fronte scandita dai santi più larghi, affiancata dal lato interno decorato dai santi più stretti, e un lato esterno che poteva essere figurato o meno, oggi perduto, più largo degli altri. Tuttavia in questo caso è difficile spiegare l’asimmetria dell’alloggio per la lesena, ricavato solo su un angolo del pilastro, quello rivolto verso l’interno del polittico dove cioè si congiungono gli smussi a quartabona delle due facce figurate. Un simile arrangiamento avrebbe peraltro reso difficile la lettura del lato interno impattato in qualche modo dalla lesena angolare.

  2. A rigore è possibile ipotizzare un altro assetto, ruotato a novanta gradi: quello di un pilastro col lato interno non figurato, la fronte coi santi più stretti e il lato esterno coi santi più larghi. Il problema di questa seconda soluzione sta nel fatto che i santi più larghi presentano un’incorniciatura più ricca e si dispongono in maniera più chiara e pausata nello spazio disponibile, coerentemente, mi pare, con un punto di vista frontale, mentre i rispettivi compagni più stretti sembrano farsi largo dietro lo spazio destinato alla cornice battente, così da presupporre una visione in diagonale da parte dell’osservatore. Inoltre anche in questo caso non si spiega l’asimmetria dell’alloggio per la lesena ricavato sul solo lato esterno del pilastro.

  3. Un’altra possibilità – che credo la più soddisfacente – è quella di un piliere posto di taglio, inclinato a 45 gradi, spartito in due facce congiunte al centro con lo spigolo aggettante nel mezzo. Questa ipotesi darebbe ragione dell’unico rincasso ottenuto dall’incontro degli smussi, previsto per alloggiare la lesena al centro, spiegando così l’inconsueta asimmetria. Sui fianchi lisci dovevano poi essere applicate le lesene e le colonnine tortili esterne del pilastro, che potevano in qualche modo regolarizzare le diverse larghezze delle due facce del pilastro.86

 

Pilastri posti di taglio

Pilieri simili non sono molto consueti nel centro Italia, mentre hanno grande diffusione in Sicilia: ad esempio nel polittico proveniente dal monastero di San Salvatore a Corleone e nel trittico del Maestro di Monreale, entrambi in Palazzo Abatellis a Palermo, nel polittico di Termini Imerese del 1453 pubblicato dal Longhi, e nel namepiece del Maestro del polittico di Trapani, del Museo Pepoli87 (fig. 113).

 

Fig. 113) Maestro del polittico di Trapani: Madonna in trono col Bambino che incorona santa Caterina e santi. Trapani, Museo Pepoli.

 

Fig. 117) Maestro del polittico di Trapani: Madonna in trono col Bambino che incorona santa Caterina e santi, Particolare. Trapani, Museo Pepoli.

 

Similmente al nostro caso, qui tra la giunzione al vivo delle due facce del pilastro è ricavato lo spazio destinato a ricevere una lesena, la cui presenza è confermata anche delle tracce in alto dei capitelli rimossi. Nelle Marche pilastri simili serravano il polittico perduto del monastero dell’Isola a Cessapalombo (fig. 114), licenziato nel 1425 da Arcangelo di Cola.88

 

Fig. 114) Arcangelo di Cola da Camerino: Crocefissione, san Venanzio, san Pietro, san Giovanni Battista e santo vescovo. Già Cessapalombo, chiesa di Santa Maria dell’Isola.

 

In Toscana compaiono riccamente dorati e intagliati, ma non figurati, nel polittico di Benabbio già ricordato (fig. 118), e nel secolo precedente nel pentittico di Giovanni del Biondo nella sagrestia di Santa Croce a Firenze89 e nell’impegnativa pala d’altare dipinta nel 1387 da Bartolo di Fredi per San Francesco a Montalcino, modello particolarmente calzante per l’opera starniniana anche per la varietas programmatica dell’incorniciatura dei santi (rettilinea, timpanata, trilobata) che si scalano sui registri dei pilastri90 (fig.119).

 

Fig. 119) Bartolo di Fredi: Incoronazione della Vergine e storie della sua vita. Montalcino, Museo civico e diocesano d’Arte sacra.

 

Un arrangiamento simile è stato ipotizzato anche per il polittico smembrato della chiesa pisana di San Paolo all’Orto, dipinto nel 1395 da Taddeo di Bartolo, che poté rielaborarlo qualche anno più tardi nel trittico di Santa Caterina della Notte (1400), dove coppie di santi decorano solo la faccia esterna del piliere, mentre su quella interna corre un serto vegetale in pastiglia dorata, secondo un disegno singolare che non stupisce nel catalogo del pittore, dal linguaggio monocorde, ma sperimentatore instancabile di carpenterie insolite, come documenta bene il polittico di San Francesco a Pisa, i cui pilastri erano vere e proprie colonnette ottenute dalla giunzione di santini a sezione semicircolare, dalla superficie spanciata, come ha riconosciuto di recente con grande acume la Solberg91, di cui non conosco altri esempi.

Del resto, in assenza di ricerche puntuali non si può escludere che pilieri posti di taglio con spigoli vivi aggettanti nel mezzo fossero in realtà più diffusi di quanto non sia stato riconosciuto dagli studi. Anzi, se tenuto nel debito conto, questo assetto potrebbe aiutare a risolvere alcune apparenti contraddizioni difficili da spiegare in altro modo. Penso all’incoerenza delle diverse fonti di luce sui pilastri dell’altare Guidalotti dell’Angelico – montati entro la carpenteria posticcia di primo Novecento – che mal si concilia con la logica cristallina della poetica del domenicano. Eppure, come mi fa notare Andrea De Marchi, anche in assenza di evidenze materiali circostanziate, se posti di spigolo i santini di Perugia acquisterebbero tutt’altra logica, bagnati dal lume spiovente solo da sinistra, come per il resto del polittico, che è un apice cristallino della pittura di luce fuori Firenze92.

In questo senso, mi pare ancor più interessante sottolineare che lo stesso criterio costruttivo dei nostri santi compare sul retro del San Giacomo Maggiore della Lehman collection del Metropolitan Museum a New York (figg. 120, 121), una delle figure che ornavano i pilastri del ricordato polittico di Santa Maria Nuova di Spinello93.

 

Fig. 120) Spinello Aretino: San Giacomo Maggiore. New York, Metropolitan Museum of Art, Lehman Collection. Fronte.
Fig. 121) Spinello Aretino: San Giacomo Maggiore. New York, Metropolitan Museum of Art, Lehman Collection. Retro.

 

 

Fig. 123) Spinello Aretino: San Pietro. Lucca, Cassa di Risparmio di Lucca

 

Sul verso, infatti, lungo un solo lato insiste uno smusso a quartabona – simile a quello già visto sulle tavolette di Starnina – mentre l’altro fianco termina rettilineo. Non è certo un caso, allora, se questa identica soluzione ritorna anche sul retro del San Pietro della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca (fig. 123), che la critica ha collegato da tempo al polittico gemello dipinto da Spinello l’anno prima per San Ponziano, cui sono stati riconosciuti altri santi da pilastro caratterizzati da sottili varietà dimensionali e di incorniciatura, con singolare consonanza rispetto ai santini di Starnina, che come detto esemplò la carpenteria della predella del polittico di Würzburg proprio sui precedenti olivetani dell’aretino.

Il Boskovits ha proposto per primo che ne facessero parte il San Giovanni Evangelista, il Sant’Andrea e un Santo apostolo difficile da identificare, un tempo nella collezione Shoeri a Zurigo (30 x 10 cm), tagliati all’altezza delle aureole, che a giudicare dalle vecchie fotografie sembrano essere stati manomessi nel fondo oro 94, diverso da quello dei quattro Padri della Chiesa Sant’Agostino e Sant’Ambrogio (35,5 x 11,6 cm), già a Londra da Fabrizio Moretti (fig. 122), San Girolamo e San Gregorio Magno (36,5 x 12 cm) un tempo nella collezione di Donald Currie.

 

Fig. 122) Spinello Aretino: Sant’Agostino e sant’Ambrogio. Collezione privata.

 

Questi, legati al complesso con forza da Weppelmann 95, sono caratterizzati in alto lungo i margini laterali da resti di lobature in pastiglia dal disegno sensibilmente diverso se confrontato con le incorniciature dell’Apostolo e del San Pietro (35 x 10 cm) della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca (figg. 123,124), rispetto ai quali sono anche di poco più larghi96. Nel caso del San Pietro, purtroppo, la tavola è stata resecata barbaramente ed incorniciata con semplici listelli moderni che non possono essere rimossi con facilità e che rendono difficoltoso documentare l’invito obliquo del fianco che tuttavia è piuttosto evidente, imponendo di rivedere, come mi confermano Ciro Castelli e Andrea Santacesaria, la proposta formulata con prudenza a suo tempo da Weppelmann, già contestata da Linda Pisani, di ricostruire questi due polittici gemelli pensando a un sistema di quattro pilieri – due più stretti all’interno, due più larghi all’esterno – esemplato sul polittico di Taddeo di Bartolo per il duomo di Montepulciano, così da dare ragione delle larghezze differenti dei santini da pilastro97.

Solo l’analisi materiale sistematica di tutti i santi della serie e l’incrocio comparato di questi dati potranno aiutare a capire più nel dettaglio le scelte costruttive che informavano i pilieri dei due polittici di Spinello, gettando luce riflessa su altri arrangiamenti consimili sfuggiti agli studi, chiarendo a un tempo il ruolo seminale del polittico lucchese di San Ponziano. Nell’attesa, quel che per ora rimane è la traccia suggestiva di un singolare dialogo a distanza, a Lucca, tra Starnina e Spinello di Luca d’Arezzo.

 

Ringraziamenti

Desidero ringraziare Andrea De Marchi, Ciro Castelli, Andrea Santacesaria, Dóra Sallay e Matteo Mazzalupi, per il confronto costante su questi argomenti; Cecilia Frosinini, Marco Ciatti, Cecilie Hollberg e Angelo Tartuferi per aver favorito lo studio del trittico di Würzburg; Duncan Bull e Giulia De Vivo per le utili informazioni sugli Evangelisti di Amsterdam. La mia gratitudine va ad Andrea Bacchi ed Elisabetta Sambo della Fondazione Federico Zeri per aver agevolato il reperimento di parte del materiale fotografico. Per le stesse ragioni ricordo anche Giovanni Pagliarulo della Fototeca Berenson e Paolo Benassai della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi. Preziosi sono stati gli scambi con Francesco Caglioti, Giacomo Alberto Calogero, Virginia Caramico, Loredana Gallo, Giulia Majolino, Linda Pisani, Machtelt Brüggen Israëls, Larry Kanter, Rossella Lari, Neville Rowley, Lorenzo Sbaraglio, Stefano Scarpelli, Carl Brandon Strehlke, Guido Tigler. Inoltre ringrazio Emanuele Barletti, Richard L. Feigen, Arianna Fioratti Loreto, Fabrizio Moretti e Giovanni e Claire Sarti, per avermi agevolato nello studio delle opere. Un aiuto indispensabile l’ho ricevuto da Raffaella.

 


 

Note

  1. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance: a list of the principal artists and their works with an index of places, Oxford 1932, p. 341. Per l’identificazione del Maestro del Bambino Vispo con Gherardo Starnina vedi infra nota 70. Per la documentazione inerente il pittore nel suo tempo spagnolo si veda da ultimo M.M. Juan Starnina e altri pittori toscani nella Valencia medievale, in Intorno a Lorenzo Monaco. Nuovi studi sulla pittura tardogotica, atti del convegno di Fabriano, Foligno e Firenze a cura di D. Parenti – A. Tartuferi, Livorno 2007, pp. 32-43, speciatim 39-40.
  2. Ad eccezione del laterale destro, leggermente rifilato, le percolature di gesso lungo i bordi assicurano che gli scomparti non sono stati ridotti in larghezza. Su questi aspetti si vedano D. Gordon, in The Fifteenth-Century Italian Paintings, a cura di D. Gordon, London 2003, p. 375, nota 22; E.Zappasodi , in Giovanni dal Ponte. Protagonista dell’Umanesimo tardogotico fiorentino, catalogo della mostra a cura di A. Tartuferi – L. Sbaraglio, Firenze 2016, p. 72.
  3. Al netto delle cuspidi spurie, gli scomparti laterali decurtati del polittico sono alti circa 129,5 cm, mentre quello centrale è 161,7 cm; a giudicare dalle tracce visibili sul retro delle tavole l’ingombro della traversa mediana era di 12 cm. Come detto, la distanza di quest’ultima dalla traversa inferiore va raddoppiata per recuperare l’intera altezza del tavolato del polittico di Würzburg, serrato secondo la prassi costruttiva fiorentina da una traversatura apicale: 12 cm + 82 cm + 12 cm + 82 cm + 12 cm per un totale di 200 cm.
  4. Secondo un’ipotesi di lavoro di Giovanni Pescarmona, che ringrazio per averla condivisa con me, l’ampio sviluppo verticale del registro superiore prospettato dai rilievi di Ciro Castelli potrebbe forse completarsi coi due pannelli raffiguranti rispettivamente il Profeta Isaia tra due Angeli e, in posizione speculare, il Profeta Geremia tra due Angeli, oggi al Museum of Fine Arts di Boston. Queste due tavole sono di norma collegate al San Vincenzo e al Santo Stefano conservati nello stesso museo americano, parti del registro centrale di un polittico di dimensioni ridotte, completato, come segnalato da Micheal Rinehart, dal San Lorenzo della collezione F. M. Perkins nel Museo del Tesoro della basilica di San Francesco ad Assisi, e da un Sant’Antonio abate già sul mercato antiquario fiorentino, riferito al Maestro del Bambino Vispo da Luciano Bellosi e pubblicato da F. Sricchia Santoro, Sul soggiorno spagnolo di Gherardo Starnina e sull’identità del ‘Maestro del Bambino Vispo’, in ‘Prospettiva’, VI, 1976, pp. 11-29, speciatim 24-25, senza indicarne i rapporti con i santi di Boston, riconosciuti invece da Filippo Todini, per cui cfr. L.B. Kanter, Italian paintings in the Museum of Fine Arts, Boston. I. 13th – 15th century, Boston 1994, pp. 130-136. Le tavole con Profeti e Angeli dovevano sicuramente sormontare il registro centrale di un polittico: lo suggeriscono, per ciascun pannello, le tracce di due pinnacoli fogliati dal lungo stelo ancora visibili sotto le ridorature moderne. Questi pinnacoli si impostano su due tasselli ogivali spuri, aggiunti per risarcire lo spazio occupato in origine dal colmo delle arcate del registro sottostante, come ha riconosciuto per primo Philip Handy. Di conseguenza essi erano pensati in continuità col registro mediano e non a distanza come ha invece proposto di recente A. de Marchi, Gherardo Starnina, l’Annunciazione di Lucca, in Museo Diocesano. Lascito Schubert, a cura di P. Biscottini – N. Righi, Leguzzano (VI) 2014, pp. 23-39, speciatim 38-39, nota 12, che mi comunica di essere ora favorevole a collegare in via ipotetica l’Isaia e il Geremia al polittico di Würzburg in attesa di indagini tecniche più approfondite. A incoraggiare l’ipotesi di ricondurre i due scomparti orizzontali di Boston con i Profeti e angeli al registro superiore del trittico di Würzburg potrebbe concorrere la larghezza pressoché identica dei laterali tedeschi e delle tavole americane che, se soprammesse ai primi, in scala suggestivamente mostrano i pinnacoli fogliati cadere in asse coi santi sottostanti. Solo indagini radiografiche comparate sul trittico di Würzburg e sulle tavole di Boston potranno chiarire definitivamente la validità di questa proposta. Nondimeno va ricordato che un simile allineamento è possibile anche pensando a un registro centrale coi Santi Vincenzo e Stefano, che hanno dimensioni del tutto compatibili e soprattutto condividono coi Profeti lo stesso identico punto di stile e le medesime vicende collezionistiche almeno dagli anni settanta dell’Ottocento quando erano nella collezione di Sebastiano Ranghiasci, per cui mi pare più logico pensare che facessero parte del medesimo complesso fin dall’origine. Sia come sia, come ha sottolineato Andrea De Marchi non è possibile collegare ai santi di Boston né l’Annunciazione Schubert – accostata dal Todini ma da ricondurre al trittico lucchese dell’Assunta – né l’Incoronazione della Vergine della Galleria Nazionale di Parma, che Laurence Kanter identificava come centrale del polittico. Mi pare difficile, tuttavia, accettare la ricostruzione prospettata nella stessa occasione per la predella, di cui avrebbero fatto parte il Miracolo di una donna affogata salvata da un santo monaco – che ha subito in passato un trasporto e verte in non buone condizioni conservative – già Insel Hombroich, ora in collezione Alana, il San Martino e il povero, le Stimmate di San Francesco, entrambi Wildenstein, infine il San Michele che combatte il drago, trafugato dal museo di Langres, reso noto da M. Laclotte Autour de Starnina, de Lucques à Valence, in Intorno a Lorenzo Monaco… cit. (nota 1), pp. 66-75, speciatim 66-69. Se infatti l’assenza di un legame diretto delle scene figurate coi santi del registro superiore, pure singolare, potrebbe spiegarsi con la volontà “di condensare in maniera emblematica la scelta iconografica di un santo”, l’altezza degli scomparti supera la metà dell’altezza del registro principale costituendo un’anomalia insolita ingiustificata. A giudicare dalle dimensioni, sembra più verosimile pensare allora alla pertinenza della Dormitio Virginis del Hood Museum of Art, Dartmouth College, Hanover (NH), prospettata da Laurence Kanter e accolta da Michel Laclotte.
  5. Gli scomparti della National Gallery di Londra e dell’Art Institute di Chicago sono stati collegati tra loro da M. Davies, The Earlier Italian Schools, (National Gallery Catalogues), London 1961, pp. 361-362. A questi due scomparti più tardi C. Volpe, Per il completamento dell’altare di San Lorenzo del Maestro del Bambino Vispo, in ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz’, XVII, 1973, 2/3, pp. 347-359, speciatim 375, nota 10, ha collegato la Comunione della Maddalena, passata a Parigi, alla vendita Palais Galliera, il 15 marzo 1973, prospettandone accademicamente la comune appartenenza dal polittico di Würzburg, subito respinta dallo studioso per obiezioni che non possono essere accolte.
  6. Per la vicenda critica del Thronus Gratiae si veda D. Parenti, in Lorenzo Monaco. Dalla tradizione giottesca al Rinascimento, catalogo della mostra a cura di A. Tartuferi – D. Parenti, Firenze 2006, p. 148, con la sola integrazione di M. Heriard Dubreuil, Valencia y el Gótico Internacional, Valencia 1987, p. 30. Il collegamento all’Annunciazione di Avignone si deve al Boskovits per cui cfr. M. Laclotte, E. Moench-Scherer, Peinture italienne. Musée du Petit Palais, Avignon, Paris 2005, pp. 191, 248.
  7. Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue, insino a’ tempi nostri (1550), ed. a cura di L. Bellosi – A. Rossi, Torino 1991, p. 193.
  8. Ne è un caso rivelatore la lettura di J.K.G. Shearman, The Internationalism of Florentine Gothic Art, in L’Europa e l’arte italiana, atti del convegno di Firenze a cura di M. Seidel, Venezia 2000, pp. 142-155, speciatim 149-151 – già stigmatizzata da A. de Marchi, Gherardo Starnina, in Sumptuosa tabula picta. Pittori a Lucca tra gotico e rinascimento, catalogo della mostra a cura di M.T. Filieri, Livorno 1998, pp. 260-265, speciatim 261-262 – che ha sezionato meccanicisticamente il corpus di Starnina, assegnando le parti caratterizzate da una “striking linear vitality” a un “Anonimo Valenciano” – a sua volta distinto dall’autore del retablo di Bonifacio Ferrer – fraintendendo, in nome di un’idea monolitica e immutabile di autografia, il percorso mobile di una personalità di primissimo piano, capace di scarti e ripensamenti favoriti dagli ambienti diversi in cui si trovava a operare. Su questa linea ‘separatista’, ma con posizioni più sfumate, si è attestata A. de Vries, Opere e giorni: alcune considerazioni sulla produzione e sul funzionamento della bottega di Gherardo Starnina, in Intorno a Lorenzo Monaco… (nota 1), pp. 56-65, speciatim 60-63, e L.B. Kanter, The National Gallery’s new catalogue of fifteenth-century Italian paintings, in ‘The Burlington Magazine’, CXLVI, 2004, 1211, pp. 105-108, speciatim 107-108, per il solo polittico di Würzburg, in precedenza declassato da C. Syre, Studien zum “Maestro del Bambino Vispo” und Starnina, Bonn 1979, pp. 116-126, a opera di “Schüler des Gherardo Starnina”, in linea con un giudizio non lusinghiero espresso a suo tempo da G. Pudelko, The Maestro del Bambino Vispo, in ‘Art in America’, XXVI, 1938, 1, pp. 47-63, speciatim 58, che vi ravvisava un aspetto accademico e rigido.
  9. Sricchia Santoro, Sul soggiorno spagnolo… cit. (nota 3), p. 25.
  10. Sricchia Santoro, Sul soggiorno spagnolo… cit. (nota 3), pp. 22-23; De Marchi, Gherardo Starnina… cit. (nota 6), pp. 262-263.
  11. La predella di Collado de Alpuente, con la Resurrezione già in collezione Pollak a Vienna, è stata attribuita da M. Eriard Dubreuil, Valencia y el Gótico… cit. (nota 5), I, pp. 82-88. Sul retablo di Bonifacio Ferrer si veda il contributo puntuale di C.B. Strelke, in Pintura Europea del Museo de Bellas Artes de Valencia, a cura di F. Benito Doménech – J. Gómez Frechina, Valencia 2002, pp. 22-33, con bibliografia precedente.
  12. R. Longhi, Un’aggiunta al “Maestro del Bambino Vispo” (Miguel Alcaniz?), in ‘Paragone’, XVI, 1965, 185, pp. 38-40. Negli anni venti l’opera era a New York in collezione Levinson, quindi nel 1958 nella raccolta Weitzner, per passare poi a Lucerna presso Fischer (21-27 novembre 1961, lotto 1640), quindi in collezione Artaria a Vienna, a Parigi presso Giovanni Sarti, e in fine a Torino in collezione Cerruti.
  13. Starnina si muove in anticipo rispetto a riletture analoghe svolte nel primo Quattrocento sul medesimo modello giottesco, come la Madonna col Bambino della collezione Corsi a Firenze, riconosciuta da D.C. Shorr, The Christ Child in Devotional Images in Italy during the XIV century, New York 1954, p. 125, a Giovanni Toscani, pittore più volte impegnato in recuperi simili, per cui si vedano le considerazioni sempre puntuali di L. Bellosi, Il Maestro della Crocifissione Griggs: Giovanni Toscani, in ‘Paragone’, XVII, 1966, 193, pp. 44-58, speciatim 47.
  14. D. Parenti, in Dipinti italiani del XIV e XV secolo. La collezione Crespi nel Museo Diocesano di Milano, a cura di M. Boskovits, Ginevra 2000, pp. 80-85; eadem in Lorenzo Monaco. Dalla tradizione… cit. (nota 5), pp. 146-147, dove è proposta una cronologia alta per il polittico di Würzburg, non lontano dal suo rientro in Italia.
  15. U. Procacci, Gherardo Starnina, in ‘Rivista d’Arte’, XV, 1933, pp. 151-190, speciatim 188-190; A.M. Bernacchioni, Lippo d’Andrea in Santa Maria del Carmine, in C. Frosinini – M. Lanfranchi – A.M. Bernacchioni, La Compagnia di Sant’Agnese, nel Carmine di Firenze. Recupero e restauro di una testimonianza di storia sociale e artistica, in ‘OPD Restauro’, XVI, 2004 (2005), pp. 31-52, speciatim 47-48. Il committente degli affreschi, Matteo dei Conti da Gangalandi, era il marito di Maddalena, sorella di Simone Dati, procuratore di Starnina a Valencia. Sui rapporti del pittore e i mercanti fiorentini di stanza nella città spagnola, tra cui Giovanni di Stefano del Migliore, anche lui procuratore del pittore e in rapporti d’affari con i Castellani, si vedano F. Sricchia Santoro, Sul soggiorno spagnolo… cit. (nota 3) pp. 16-17, e A.M. Bernacchioni, Riflessioni e proposte sulla comittenza di Gherardo Starnina, pittore del guelfismo fiorentino, in Intorno a Lorenzo Monaco… cit. (nota 1), pp. 44-55, speciatim 45-46.
  16. L. Bellosi, Affreschi staccati al Belvedere, in ‘Paragone’, XVII, 1966, 201, pp. 74-79, speciatim 75-76.
  17. Vasari, Le vite… cit. (nota 7), p. 194.
  18. Ivi.
  19. Volpe, Il lungo percorso del “dipingere dolcissimo e tanto unito”, in Storia dell’arte italiana, V. Dal Medioevo al Quattrocento, a cura di F. Zeri, Torino 1983, pp. 229-304, speciatim 247.
  20. Longhi, Fatti di Masolino e Masaccio, in ‘La Critica d’Arte’, V, 1940, 3-4, pp. 177, 184 nota 20; C. Gamba, Induzioni sullo Starnina, in ‘Rivista d’Arte’, XIV, 1932, pp. 55-74, speciatim 55.
  21. Offner, The Mostra del Tesoro di Firenze Sacra – II, in ‘The Burlington Magazine’, LXIII, 1933, 364-369, pp. 169-170, ha definito “milk and roses” la pittura delicata del Maestro della Madonna Straus. L. Sbaraglio, in Lorenzo Monaco. Dalla tradizione… cit. (nota 5), pp. 150-152, ha proposto una datazione della tavola del Museo degli Innocenti verso il 1405, posticipando la cronologia molto alta suggerita a suo tempo da M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, Firenze 1975, pp. 363-364, opposta a quella inoltrata prospettata da L. Bellosi, Il Museo dello Spedale degli Innocenti, Milano 1977, pp. 232-233.
  22. Sull’identificazione del Maestro dell’Annunciazione di Brozzi con la fase giovanile di Giovanni dal Ponte, proposta a suo tempo da R. Offner, in G. Kaftal, Saints in Italian Art. 1. Iconography of the Saints in Tuscan Painting, Firenze 1952, col. 357, si veda L. Sbaraglio, Giovanni dal Ponte (1385-1437). Preliminari per una monografia. Catalogo completo delle opere sue e del Maestro dell’Annunciazione di Brozzi, tesi di specializzazione, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Siena, A.A. 20042005, pp. 15-20; idem, Lo sviluppo (altalenante) dello stile di Giovanni dal Ponte, in Giovanni dal Ponte. Protagonista… (nota 2), pp. 13-27, speciatim 15. Per l’Annunciazione cfr. I. Tronconi, in Bagliori dorati. Il Gotico Internazionale a Firenze 1375-1440, catalogo della mostra a cura di A. Natali – E. Neri Lusanna – A. Tartuferi, Firenze 2012, p. 194, con bibliografia precedente. Non mi pare vada svalutato lo stimolo decisivo esercitato da Starnina in questa prima fase del pittore, come invece argomentato di recente da A. Tartuferi, Giovanni dal Ponte tra genio e sregolatezza, in Giovanni dal Ponte. Protagonista… cit. (nota 2), p. 30, che ha enfatizzato il ruolo del ben più modesto Scolaio di Giovanni. Agli esordi di Giovanni dal Ponte va riconosciuta un’Annunciazione, purtroppo sbranata nei carnati e lordata da ridipinture, che in origine costituiva la parte alta di due sportellini di un trittico, poi rimontata rifilandola nello scomparto centrale della predella di un pastiche novecentesco, composto di parti completamente false e altre di varia epoca, passato a Vienna presso Dorotheum il 25 aprile 2017, lotto 7, come Scuola Toscana del XIV e XV secolo. Forse dagli stessi sportellini provenivano anche il San Giovanni Battista e il Santo Vescovo – ormai completamente ingiudicabili – rimontati ai lati dell’Annunciazione. Purtroppo in uno stato larvale è riemersa finalmente a Parigi (Drouot, Lombrall, Teucquam Maison de Ventes, 19 aprile 2017, lot 60, come “dans le goût de l’ecole italienne du XIVème siècle”) la Madonna col Bambino nota fino ad ora solo grazie a uno scatto conservato nella fototeca Zeri, pubblicato di recente da L. Sbaraglio, Giovanni dal Ponte. Regesto delle opere, in Giovanni dal Ponte. Protagonista... cit. (nota 2), pp. 183-223, speciatim 215, cat. n. 72, che ne documenta un’estesa ridipintura quando la tavola era sul mercato fiorentino.
  23. La proposta di identificazione del maestro con Scolaio si deve ad A.M. Bernacchioni, in Mater Christi, altissime testimonianze del culto della Vergine nel territorio aretino, catalogo della mostra a cura di A.M. Maetzke, Cinisello Balsamo (MI) 1996, pp. 46-47; eadem, La bottega di pittura della Badia fiorentina: da Tommaso del Mazza a Masaccio, in ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz’, XVLI, 2002 (2004), pp. 262-269. Per un profilo della sua attività A. Lenza, Il Maestro di Borgo alla Collina. Proposte per Scolaio di Giovanni, pittore tardogotico fiorentino, Firenze 2012, dove tuttavia la cronologia di alcune opere, penso all’anconetta della raccolta Grassi della Galleria d’Arte Moderna di Milano (cat. II, p. 44), è anticipata eccessivamente ancora entro l’ultimo decennio del Trecento, benché il Bambino sia una citazione puntuale della tavola di Starnina della Galleria dell’Accademia di Firenze certo già di inizio Quattrocento.
  24. Ghiberti I commentarii, ed. a cura di Lorenzo Bartoli, Firenze 1998, p. 97. La vicinanza della vetrata ai modi di Mariotto di Nardo è tanto forte da aver fatto dubitare di un coinvolgimento diretto di Ghiberti Luciano Bellosi e Giulietta Chelazzi Dini (L. Bellosi e G. Chelazzi Dini, La pittura a Firenze al tempo della Porta Nord, in Lorenzo Ghiberti, ‘materia e ragionamenti’, catalogo della mostra, Firenze 1978, pp. 141-143, speciatim 142). Affinità tra il disegno ghibertiano e l’Assunta di Starnina sono state segnalate da A. de Marchi, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), p. 269.
  25. Il 27 marzo 1403 il banchiere Filippo di Piero di Rinieri aveva ottenuto il permesso di costruire una cappella, ovunque volesse, dedicata a San Nicola e alla Vergine, a nome di Niccolò di Piero Giachi, che aveva lasciato allo scopo 300 fiorini il 22 giugno del 1400. La costruzione di questa cappella, in origine pensata nella chiesa di Santa Margherita, fu bloccata per l’opposizione degli Adimari, dei Donati e dei Cerchi che avevano il patronato nella chiesa. Fu perciò dirottata nella vicina chiesa di Santa Maria in Campo, nella parrocchia di Santa Margherita. Gordon in The Fifteenth-Century Italian… (nota 2), p. 375, n. 32, ha proposto una datazione avanzata del polittico, vedendovi affinità con gli affreschi della Compagnia della Nunziata in Santo Stefano a Empoli, documentati al pittore nel 1409; Kanter, The National Gallery’s catalogue… cit. (nota 6), pp. 107-108, accogliendo la proposta di provenienza fiorentina dell’opera, ne ha rivendicato una cronologia più alta nell’immediatezza del rientro in Italia del pittore.
  26. Gonzales-Palacios, Trattato di Lucca, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 16-25, speciatim 24-25.
  27. A. de Marchi, Pittori gotici a Lucca: indizi di un’identità complessa, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 400425, speciatim 417.
  28. Longhi, Fatti di Masolino e di Masaccio… cit. (nota 18), p. 177.
  29. A. d’Aniello, Maestro di Barga, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 296-299, speciatim 299, nota 3.
  30. Restaurata di recente dallo studio Scarpelli di Firenze, l’opera è stata ricongiunta grazie alla donazione predisposta da Bruno Sala, precedente proprietario dei quattro scomparti laterali, alla Galleria Nazionale di Parma, dove si conservava già il pannello centrale. La derivazione di quest’ultimo dal trittico di Würzburg è stata riconosciuta per primo da G. Pudelko, The Maestro del Bambino Vispo… cit. (nota 6), p. 58.
  31. De Marchi, Pittori ed altri artisti a Lucca al tempo di Paolo Guinigi, in Battista di Gerio in San Quirico all’Olivo. Pittori a Lucca al tempo di Paolo Guinigi, catalogo della mostra a cura di A. d’Aniello, Pisa 2012, pp. 17-27, speciatim 24, 27, nota 14.
  32. Gordon, in The Fifteenth-Century Italian… (nota 2), pp. 364, 366-367.
  33. De Marchi, Gentile da Fabriano. Un viaggio nella pittura italiana alla fine del gotico, Milano 2006 [1992], pp. 210-216. Inoltre A. Cecchi, I Quaratesi di San Niccolò Oltrarno e Gentile da Fabriano, in Gentile da Fabriano agli Uffizi, a cura di A. Cecchi, Cinisello Balsamo (MI) 2005, pp. 59-65.
  34. M. Boskovits, Italian paintings of the fifteenth century. The collection of the National Gallery of Art, systematic catalogue, New York 2003, pp. 293-299.
  35. Per la tavola di Giovanni di Paolo del Philadelphia Museum of Art si veda C.B. Strehlke, Italian Paintings, 1250-1450, in the John G. Johnson Collection and the Philadelphia Museum of Art, Philadelphia 2004, pp. 177-182. Sul polittico di Bicci di Lorenzo Chiodo, Osservazioni su due polittici di Bicci di Lorenzo, in ‘Arte Cristiana’, LXXXVIII, 2000, pp. 270-272, 276, 280, note 21, 25.
  36. Probabilmente il polittico fu commissionato per la chiesa romana di Santa Maria Nuova a Roma, ma poi subito dirottato nel monastero di Monte Oliveto Maggiore, come proposto da A. Tartuferi, Spinello di Luca, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 132-135, speciatim 133; sull’opera inoltre cfr. S. Weppelmann, Spinello Aretino e la pittura del Trecento in Toscana, Firenze 2011, pp. 128-138, con bibliografia precedente. Inoltre A. de Marchi, La tavola d’altare, in Storia delle Arti in Toscana. Il Trecento, a cura di M. Seidel, Firenze 2004, pp. 15-44, speciatim 36-37.
  37. Tartuferi, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 139-142; Weppelmann, Spinello Aretino… cit. (nota 34), pp. 143-159, con bibliografia precedente.
  38. T. Filieri, in Matteo Civitali e il suo tempo. Pittori, scultori e orafi a Lucca nel tardo Quattrocento, catalogo della mostra a cura di M.T. Filieri, Cinisello Balsamo (MI) 2004, p. 328; S. Soldano, Bernardino del Castelletto, pittore a Massa e Michele Ciampanti, Vincenzo Frediani a Montignoso di Massa, Cinisello Balsamo (MI) 1994, pp. 51-77.
  39. Ferretti, Percorso lucchese (pittori di fine ‘400), in ‘Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia’, 3 s., V, 1975, 3, pp. 1033-1065, speciatim 1034, nota 2.
  40. I due scomparti laterali della predella, raffiguranti rispettivamente il Congedo di San Giovanni evangelista, Carità di San Giusto e San Giuliano l’Ospitaliere uccide i genitori, Martirio di Santa Caterina, erano in collezione Sterbini a Roma. Il secondo pannello è riemerso di recente sul mercato newyorkese presso Sotheby’s, Master Paintings and Sculpture Evening Sale, 25 gennaio 2017, lotto 6. Il loro collegamento alla Vergine col Bambino e Angeli tra i Santi Giovanni evangelista e Giusto, Giuliano e Caterina, oggi a Cherasco in collezione Allasia, si deve a Maria Teresa Filieri. La pertinenza al medesimo complesso delle cuspidi con il Cristo benedicente e la Vergine Annunciata della collezione della Banca del Monte di Lucca è stata proposta ipoteticamente da Andrea De Marchi (cfr. G. Dalli Regoli, in Matteo Civitali… (nota 36), pp. 464-467). Il ricordo documentario di Luca d’Agostino – che nel 1491 cederà la commissione al solo Frediani perché possa concluderla – ha spinto R. Massagli, Il pittore di Paolo Buonvisi: proposta per un’identità, in ‘Paragone’, LIV, 2003 (2004), 52, pp. 3-23, a identificarlo con il cosiddetto Pittore di Paolo Buonvisi, il cui catalogo, come sottolineato a suo tempo da E. Fahy, Some Followers of Domenico Ghirlandajo, New York 1976, pp. 177-179, si può pacificamente travasare nel corpus di dipinti già riuniti sotto l’etichetta Maestro dell’Immacolata Concezione, dietro al quale si nascondeva proprio Vincenzo Frediani.
  41. Pisani, Recensione a Giovanni dal Ponte, in ‘The Burlington Magazine’, CLIX, 2017, 1367, pp. 160-162, speciatim 161. La proposta, di cui auspico una celere pubblicazione esaustiva, è stata presentata più compiutamente al convegno Un polittico, una mostra: cantiere aperto sulla pittura tardogotica toscana, tenutosi a Firenze il 23 e 24 gennaio 2017, organizzato dall’Università degli studi di Firenze, la Galleria dell’Accademia e l’Opificio delle Pietre Dure.
  42. Zappasodi, in Giovanni dal Ponte. .. cit. (nota 2), pp. 72-75.
  43. Sull’opera si veda Strehlke, Italian Paintings 1250-1450… (nota 33), pp. 391-398, con estesa bibliografia precedente. Nel proporre la giusta attribuzione della tavola del Fogg Art Museum all’allora Maestro del Bambino Vispo, F. Mason Perkins, Some recent acquisitions of the Fogg Museum, in ‘Art in America’, X, 1921-1922, pp. 43-45, speciatim 44, nota 2, riproduceva a confronto la Morte della Vergine della Johnson Collection, dando l’occasione all’editore della rivista “Art in America”, Frederic Fairchild Sherman, di riconoscerne la comune provenienza da un’unica opera segata, che si espone ora ricomposta nella sua interezza nei due musei, alternativamente ogni due anni. L’Adorazione dei Magi del Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City, già collegata all’Adorazione dei Pastori in collezione privata da Heriard Dubreuil, Valencia y el Gótico… cit. (nota 5), p. 50, è stata riunita al trittico dell’Assunta da E.W. Rowlands, Italian Paintings, 1300-1800, (The Collections of the Nelson-Atkins Museum of Art), Kansas City 1996, pp. 78, 80-82, che, su segnalazione di Federico Zeri, pubblicò nella stessa occasione la Presentazione al Tempio, oggi a New York in collezione Richard L. Feigen, che completa la predella (cfr. L.B. Kanter, in L.B. Kanter, J. M.Marciari, Italian Paintings from the Richard L. Feigen Collection, New Haven 2010, pp. 60-64, con bibliografia precedente).
  44. De Marchi, Gherardo Starnina, l’Annunciazione… (nota 4), pp. 23-39. Nella stessa occasione lo studioso ha proposto di identificare ipoteticamente il Thronus Gratiae della collezione Chiaramonte Bordonaro di Palermo con la cuspide centrale del trittico lucchese. Incoraggiavano sia la larghezza del tutto compatibile con quella della Dormitio di Philadelphia e dell’Assunta di Cambridge, sia la comune vicenda collezionistica condivisa con l’Annunciazione poi Schubert, anch’essa finita alla fine dell’Ottocento nella collezione palermitana, ma acquistata a Lucca, a differenza del Thronus Gratiae comprato nel 1892 a Firenze nella bottega del mercante Ugo Venturini in via dei Fossi. In un intervento recente al convegno Un polittico, una mostra: cantiere aperto sulla pittura tardogotica toscana, tenutosi a Firenze il 23 e 24 gennaio 2017, organizzato dall’Università degli studi di Firenze, la Galleria dell’Accademia e l’Opificio delle Pietre Dure, Carl Brandon Strehlke, grazie a una verifica diretta dell’opera, ha posto l’accento su alcune peculiarità tecniche e di formato (profilatura mistilinea originale dove corre la barba del gesso; granitura estensiva del fondo con motivi a racemi; incorniciature punzonate) del pannello palermitano che impongono di rivederne la pertinenza all’altare lucchese, a cui ora anche Andrea De Marchi mi comunica di non credere più. La cascata del manto avvitato sul fianco e sulle gambe del Dio Padre, i nervosismi grafici insistiti, l’incorniciatura del tutto singolare, hanno un sapore spagnolo davvero forte. Piacerebbe credere a un’origine iberica del dipinto, anche se la sua provenienza ottocentesca fiorentina e l’utilizzo del legno di pioppo, in luogo del pino più comune in Spagna, fanno pensare a una vera più verosimile primizia del pittore appena rientrato in Italia, un valido trait d’union tra la Madonna Langton Douglas – che nel volto del bambino richiama i serafini dai profili appuntiti della tavola palermitana – e il Thronus Gratiae del polittico di Würzburg, dove i vasi baccellati d’oro tenuti dagli angeli ai lati della Vergine hanno incrostazioni di corindoni e perle vicine ai decori della corona del Dio Padre Chiaramonte Bordonaro. Nel catalogo di Starnina la particolare lavorazione granita del fondo oro con motivi vegetali rimane un unicum mai replicato. Il centro di elaborazione di questi motivi fu la corte parigina e borgognona, con episodi salienti quali la splendida Coupe de Saint Agnes del British Museum di Londra (1370-80), e il retablo dipinto e intagliato dell’altare maggiore della Chartreuse de Champmol (Dijon, Musée des Beaux-Arts) da Melchior Broederlam e Jacques de Baerze, realizzato negli anni novanta del Trecento. Fin nel primo decennio del Quattrocento fogliami graniti ebbero un’ampia diffusione tra Valencia e Barcellona, passando precocemente in Sicilia, grazie ai rapporti continui intessuti dall’isola con la Spagna. A date più inoltrate, la granitura del fondo oro con motivi vegetali ebbe grande diffusione a Perugia nelle opere di Pellegrino di Giovanni, Giovanni di Tommasino Crivelli e Mariano d’Antonio, e nell’entroterra tra Umbria e Marche, ad esempio nella Crocefissione con San Francesco di Paolo da Visso, già in collezione Sterbini a Roma, segnalata da Federico Zeri, ma pure a Ferrara, dal Maestro dell’Adorazione di Ferrara allo splendido San Giorgio della collezione Vandeghini Baldi, e a Bologna, ad esempio nelle opere dell’ex Maestro del trittico di Budrio, alias Cristoforo di Benedetto. La sua attestazione è ben più rara in Toscana, dove compare ad esempio nelle opere tarde del Pirez (cfr. E. Zappasodi, La Madonna del latte: un capolavoro del Maestro di Nola, in Il Maestro di Nola. Un vertice impareggiabile del tardogotico a Napoli e in Campania, a cura di E. Zappasodi, Firenze 2017, pp. 9-45, speciatim 29), e in una Madonna col Bambino e cinque Angeli di Francesco d’Antonio in collezione privata svizzera (A. Tartuferi, Nota breve su Francesco d’Antonio, in Scritti per l’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze, a cura di C. Acidini Luchinat – L. Bellosi – M. Boskovits – P.P. Donati – B. Santi, Firenze 1997, pp. 87-94, speciatim 87, 90). I fogliami graniti ebbero invece fortuna nella decorazione dei cofani in pastiglia prodotti a Siena nel primo Quattrocento, come la fronte di cassone per le nozze Buti – Buoninsegni, rimontato nel 1870 in una struttura posticcia nel Museo Stibbert di Firenze (cfr. M. Papini, Frederick Stibbert e il mobile artistico in Toscana: due “troni” inventati con frammenti di cassoni antichi, in Le opere e i giorni. Exempla virtutis favole antiche e vita quotidiana nel racconto dei cassoni rinascimentali, catalogo della mostra a cura di A. De Marchi – L. Sbaraglio, Signa (Fi) 2015, pp. 57-69).
  45. De Marchi, Gherardo Starnina. L’Annunciazione… (nota 4), p. 31. La comune pertinenza è assicurata anche dalle tracce di traverse tutte di 8,5 cm che insistono sia sui retri dell’Annunciazione Schubert, sia dei laterali lucchesi. Non diversamente dal trittico di Würzburg, in questi ultimi, queste tracce corrono a mezz’altezza, poco sotto l’imposta delle terminazioni ogivali, e perciò segnalavano quella che nell’economia dell’intero polittico era la traversa mediana.
  46. La pala va reintegrata con quattro cuspidi timpanate coi Dottori della chiesa, due delle quali, Sant’Agostino e San Girolamo, rintracciate in collezioni private, e di uno scomparto di predella con due Evangelisti e un Santo martire del Musée Archéologique di Montpellier, come riconosciuto da L. Bellosi, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 324-326, e Laclotte, Autour de Starnina… (nota 3), pp. 72-73. Da ultimo si veda De Marchi, Gherardo Starnina. L’Annunciazione… cit. (nota 4), p. 39, nota 16.
  47. Sulla provenienza della pala del Puccinelli cfr. l. pisAni, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 170-172; è stato A. Gonzales Palacios, Posizione di Angelo Puccinelli, in ‘Antichità Viva’, X, 1971, 3, pp. 3-9, a prospettare per primo l’esatta ricostruzione del trittico dipinto dal lucchese, segnalandone contestualmente la puntuale dipendenza dell’opera di Starnina.
  48. Il trittico di San Michele proveniente da San Pellegrino alla Sapienza a Siena, oggi in Pinacoteca Nazionale, è quanto rimane della stagione senese del Puccinelli. Il carattere segaligno di quest’opera, attenta a registrare le irregolarità delle carni olivastre dei suoi personaggi ossuti, mostra una ricerca parallela agli esordi sfuggenti del Fei. In continuità col trittico senese si colloca il polittico diviso tra il Getty Museum di Los Angeles e il Petit Palais di Avignone, cui sembra appartenere il Thronus Gratiae in collezione Alana, secondo la proposta di Andrea De Marchi (cfr. De Marchi in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), p. 160; A. Labriola, in The Alana Collection. Newark, Delaware, Usa. II. Italian Paintings and Sculptures from the Fourteenth to Sixteenth Century, a cura di M. Boskovits, Firenze 2011, pp. 16-20), giudicato per molto tempo senese da parte degli studi, ma la cui provenienza da Lucca (per un’ipotesi circostanziata dalla cattedrale cfr. F. Boggi, Painting in Lucca from the Libertà to the Signoria of Paolo Guinigi: observations, proposals and new documents, in ‘Arte Cristiana’, LXXXVII, 1999, 105-116, speciatim 113-114, nota 20) sembra provata dal timbro della dogana lucchese – introdotto da Maria Luisa di Borbone (1819-1824) – posto sul retro della tavola Alana. Lo stesso timbro ritorna nella Vergine e Santi del Lindenau Museum di Altenburg, stilisticamente affine, che nell’Eva distesa davanti al trono riprende un’invenzione iconografica di Ambrogio Lorenzetti, il cui esempio è dietro pure al tipo muliebre zingaresco della Maddalena dello scomparto di Avignone. In questa fase cade anche lo scomparto di predella, dal chiaroscuro impastato e denso, pubblicato da B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance: a list of the principal artists and their works, with an index of places. 3. Central Italian and North Italian Schools, London 1968, I, p. 440; II, fig. 349, come Lippo Vanni e ricollegato al Puccinelli da Gonzales Palacios, Posizione di Angelo… cit. (nota 45), pp. 3-9, che ha lo stesso motivo punzonato a sette petali dei pannelli di Los Angeles e Avignone. Un ripensamento orcagnesco e un timido contatto col plasticismo di Antonio Veneziano – poi decisivo nel proseguo dell’attività del Puccinelli – si avvertono già nel Santo Vescovo, un tempo in collezione Nigro a Genova, quindi a Parigi presso Giovanni Sarti e ora in una collezione privata a Lucca, assegnato da A. De Marchi, in G. Sarti, Fonds d’or et fonds peints italiens (1300-1560). Italian Gold Grounds and Painted Grounds (1300-1560), Torino 2002, pp. 44-53; idem, in Battista di Gerio… cit. (nota 29), p. 128, al pittore lucchese, a cui lo aveva avvicinato anche Roberto Longhi, stando a un appunto sul retro della fotografia del dipinto conservata nella carpetta Anonimi Toscani del XIV secolo nella sua fototeca. A questo scomparto posso ora collegare – come si è accorto per suo conto anche Matteo Mazzalupi – una Santa Caterina nei depositi del Williams College Museum of Art di Williamstown (EL.82.5.1), riferita da M.S. Frinta, Punched decoration on late Medieval panel and miniature painting, Prague 1998, p. 212, dubitativamente all’area camerte, su cui ha attirato la nostra attenzione Larry Kanter. Questa tavola è identica al Santo vescovo per formato, dimensioni, decori, come pure nel particolare piano marmoreo su cui correva l’iscrizione dorata, oggi indecifrabile. La santa è un vero e proprio plagio della Santa Caterina di Simone Martini nel sottarco della cappella di San Martino nella basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Il suo volto richiama quello della Vergine col Bambino già in San Martino, oggi nel Museo diocesano di Siena, assegnata al lucchese di recente da De Marchi, Pittori ed altri artisti… cit. (nota 29), p. 27, nota 14. Il decoro impegnativo della veste anticipa la lavorazione raffinata del lampasso della Santa Caterina nel trittico di Santa Caterina degli Orfanelli, databile verso la metà degli anni ottanta del Trecento, in leggero anticipo sulla Dormitio Virginis, oggi in Santa Maria Foris Portam, firmata e datata 1386, mentre le mani sfinate, ma prensili, che artigliano la palma e la ruota, davvero tipiche del Puccinelli, ritornano nelle figure femminili dei laterali di Avignone e Los Angeles, ma anche più tardi nella Santa Lucia del trittico di San Michele in Foro a Lucca del 1394, migrato nella chiesa di San Nicola a Varano, e nella Vergine del trittico diviso tra il Museo di Villa Guinigi e il Museo Mayer van der Bergh di Anversa (cfr. L. Pisani, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 173-174; A. d’Aniello, in Battista di Gerio… cit. (nota 29), p. 122, con bibliografia precedente). In quest’opera l’innegabile semplificazione dei volumi e i panneggi animati da acciaccature meno vitali rispetto alla Dormitio del 1386 e al trittico del 1394, hanno fatto parlare di bruciante “crisi orcagnesca” del pittore all’indomani del suo rientro lucchese, suggerendo una datazione a monte del Matrimonio mistico (A. De Marchi, Angelo Puccinelli, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 152-154; inoltre Ibidem, pp. 162-164, con una datazione verso il 1382-1385). Tuttavia, la sua espressività caricata, memore della tradizione pisana che rimonta a Buffalmacco e Traini, e l’abbondanza dei decori delle vesti gallonate, tipiche del Puccinelli tardo, mi pare ne suggerisca una cronologia più avanzata. Sembra confermarlo anche lo spampanarsi largo dei ricaschi del manto della Vergine, quasi sovrapponibili a quelli ai piedi della Madonna col Bambino nella chiesa dei Santi Quirico e Giulitta a Veneri, presso Pescia (1400), difficile da giudicare per le ridipinture che le conferiscono un aspetto più addolcito, ma dove la Santa Apollonia e la Santa Chiara – tavole da pilastro oggi rimontate nella predella moderna – si confrontano bene coi volumi espansi e incisi degli scomparti di Anversa, che mostrano un aspetto quercesco ante litteram che ben si sposerebbe con una datazione dell’opera nella seconda metà dell’ultimo decennio del Trecento.
  49. Bellosi, Il grande affresco di Antonio Veneziano recentemente scoperto nella chiesa di San Marco a Firenze: una prima riflessione, in “I vivi parean vivi”. Scritti di storia dell’arte italiana del Duecento e del Trecento, (‘Prospettiva’, CXXI-CXXIV), Firenze 2006, pp. 369-375, speciatim 374.
  50. Gonzales-Palacios, Posizione di Angelo… (nota 45), pp. 3-5, ha sottolineato l’attenzione verso Antonio Veneziano, richiamando anche Giovanni da Milano quale possibile modello per la sua arte. L’importanza del primo è ribadita con forza da De Marchi, Angelo Puccinelli… cit. (nota 46), pp. 153-154, che ha evidenziato anche i debiti maturati del pittore con la scultura e l’oreficeria lucchese di quegli anni.
  51. Non è possibile perciò accogliere la proposta recente di A.M. Bernacchioni, Riflessioni e proposte… (nota 13), pp. 51-53, di legare la committenza del trittico al passaggio a Lucca del pontefice Gregorio XII nel 1408, evento favorito anche economicamente dal cardinale Angelo Acciaiuoli, che aveva commissionato a Starnina il polittico per la Certosa di Firenze. In ogni caso non va esclusa la possibilità di una provenienza del dipinto dall’altare maggiore della chiesa di Santa Maria Foris Portam, dedicato all’Assunta, suggerita nell’occasione dalla studiosa, a patto però di anticiparne la cronologia. Una simile provenienza, del resto, risponderebbe bene al programma mariano del polittico, spiegando al contempo gli scenari che poterono favorire la migrazione dell’opera in San Martino di Tramonte. In precedenza De Marchi, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 266-271, speciatim 270, aveva indicato una sede diversa nella chiesa di San Michele in Foro, che dava ragione della posizione eminente dell’Arcangelo nel laterale lucchese. Per la nuova pala dell’altare maggiore della chiesa, infatti, furono stanziati 120 fiorini fra il 18 novembre 1404 e il 28 marzo 1405, una datazione ben calibrata sul punto di stile del trittico. Il monastero dell’Angelo di Brancoli, vicino alla chiesa di San Martino di Tramonte – dove nel 1897 i laterali lucchesi furono acquistati per le collezioni pubbliche – la chiesa di Santa Maria Assunta a Piazza a Brancoli e l’antica pieve di Lammari (cfr. M.t. Filieri, Cappelle, altari, polittici: dal prestigio delle commissioni alla dispersione del patrimonio, in Sumptuosa tabula picta… cit. [nota 6], pp. 26-41, speciatim 36-37, 41 nota 74) sembrano destinazioni troppo defilate per un’opera tanto ambiziosa.
  52. De Marchi, Pittori ed altri artisti… (nota 29), pp. 19-20, ha riconosciuto la vicinanza ai “motivi diffusi da Venezia nell’Italia padana” nell’anconetta del Musée Jacquemart-André di Chaalis, e la “forma trilobata e fiammeggiante” di una Santa martire, comparsa sul mercato antiquario – purtroppo sfigurata da reintegrazioni nel volto – pannello apicale al vertice di un pinnacolo, secondo un tipo noto a Bologna in età tardogotica del tutto estraneo alla tradizione toscana dei polittici gotici.
  53. Sul carattere internazionale della Lucca di inizio secolo e sul ruolo di Jacopo della Quercia nella creazione di quel clima si veda L. Cavazzini, Alterità di Jacopo della Quercia, in Da Jacopo della Quercia a Donatello. Le arti a Siena nel primo Rinascimento, catalogo della mostra a cura di M. Seidel – F. Caglioti – E. Carrara – L. Cavazzini – M. Ciatti – E. Cioni – A. De Marchi – G. Fattorini – A. Galli – L. Simonato, Milano 2010, pp. 25-26; De MArchi, Pittori ed altri artisti… (nota 29), pp. 20-23. Su Paolo Guinigi si veda inoltre C. Altavista, Lucca e Paolo Guinigi (1400-1430): la costruzione di una corte rinascimentale. Città, architettura, arte, Pisa 2005, pp. 21-78.
  54. Bellosi, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 324-326, speciatim 326.
  55. Boskovits, Il Maestro del Bambino Vispo. Gherardo Starnina o Miguel Alcañiz?, in ‘Paragone’, XXVI, 1975, 307, pp. 3-15, speciatim 15, n. 25.
  56. Le Sante già in collezione Hughes sono state riferite correttamente al Maestro del Bambino Vispo da M. Meiss, in European and American Art from Princeton Alumni Collections, catalogo della mostra a cura di H. Backlin-Landman, Princeton (N.J.) 1972, nota 8. Le due tavolette erano state giuntate insieme e inserite entro un’incorniciatura spuria archiacuta trilobata. Una nota sulla fotografia delle due tavole conservata nella fototeca Zeri di Bologna le ricorda a Firenze nella galleria Sallocchi, prima di un passaggio all’incanto presso Sotheby’s a Londra il 30 maggio 1962, lotto 41. La Sant’Orsola è passata anch’essa a Londra da Sotheby’s, Catalogue of Important Old Master Paintings, 8 dicembre 1971, lotto 77, come Giovanni dal Ponte e più tardi di nuovo presso Sotheby’s, Catalogue of Old Master Paintings, 6 luglio 1983, lotto n. 28, ma con l’attribuzione al Maestro del Bambino Vispo. Su questi dipinti cfr. M. Boskovits , The Martello collection. Paintings, drawings and miniatures from the XIVth to the XVIIIth centuries, Firenze 1985, pp. 134-136.
  57. Van Os, Discoveries and rediscoveries in early Italian painting, in ‘Arte Cristiana’, LXXI, 1983, 695, pp. 69-80, speciatim 75, ricordava in una collezione privata londinese la tavola oggi nella raccolta dell’Ente Cassa di Firenze, dove è giunta dopo un transito in collezione Carlo De Carlo.
  58. L’incanto è ricordato da una nota manoscritta della fotografia del santo conservata nella fototeca Zeri a Bologna (inv. n. 32376). Il Santo è segnalato a Berlino con la corretta attribuzione da Pudelko, The Maestro del Bambino Vispo… (nota 6), p. 57, nota 24, e più tardi da Boskovits, The Martello collection… cit. (nota 54), p. 134, presso Carlo De Carlo, da dove è giunto nella collocazione attuale, per cui cfr. A. Labriola, in Dipinti e sculture in una raccolta toscana, secoli XIV-XVI, a cura di M. Boskovits, Firenze 1991, pp. 45-47.
  59. La Maddalena dovette appartenere a Wildenstein negli anni quaranta, come annotato sul retro di una foto nella fototeca Berenson di Villa I Tatti, in cui si ricorda l’invio “by Wildenstein”, nel “February 1948”, prima che la tavola fosse messa all’incanto presso Christie’s a Londra il 12 marzo 1948, lotto 93 con la giusta attribuzione al Maestro del Bambino Vispo. Nel 1955 la tavola era nella collezione Bellesi dove la ricorda un’annotazione in calce a una foto della Santa conservata nel faldone di Gherardo Starnina della fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze.
  60. L’opera era nota a Federico Zeri che ne conserva uno scatto nella sua fototeca con la giusta attribuzione e alcuni passaggi collezionistici. Come mi comunica l’attuale proprietario, che ringrazio per avermi agevolato nello studio del dipinto, al momento del reperimento sul mercato inglese il San Giuliano aveva un riferimento improbabile a Bicci di Lorenzo.
  61. Sul retro della tavola si conserva l’etichetta della vendita tenuta presso Guy Stein in Rue la Boétie a Parigi nell’estate del 1939, quando il dipinto fu riferito a Giovanni dal Ponte, e due timbri apposti dalla dogana francese. Il San Domenico, noto a Federico Zeri che ne conservava una fotografia sotto il nome del pittore, è giunto in una collezione privata in Svizzera, da dove è riemerso sul mercato a Berna nel maggio 2015.
  62. Gordon, in The Fifteenth-Century Italian… (nota 2), pp. 371-372, Syre, Studien zum Maestro… cit. (nota 6), pp. 123, 172, n. 310, e J. Van Waadenoijen, Starnina e il gotico internazionale a Firenze, Firenze 1983, p. 60, nota 1, hanno dissociato il gruppo dall’altare certosino. Possibilisti su questa provenienza sono ancora Boskovits, The Martello collection… cit. (nota 54), pp. 134-135, A. Tartuferi, in Arte in Lombardia tra Gotico e Rinascimento, Milano 1988, pp. 192-193, Labriola in Dipinti e sculture… cit. (nota 56) e da ultima Parenti, in Sumptuosa tabula picta… cit. (nota 6), pp. 274-276, speciatim 275.
  63. Starnina è documentato l’ultima volta a Valencia nel giugno del 1401, per cui cfr. M. Miquel Juan, Retablos, prestigio y dinero. Tallers y mercado de pintura en la Valencia del gótico internacional, Valencia 2008. Alberto Lenza, nella sua tesi di dottorato – purtroppo non ancora consultabile – ha potuto accertare che Starnina era già rientrato a Firenze il 7 giugno 1402, quando il suo allievo Simone di Francesco riscosse gli interessi delle portate del Monte depositate dal fratello defunto di Gherardo, come anticipato da De Marchi, Gherardo Starnina. L’Annunciazione… (nota 4), p. 38, nota 6.
  64. De Vries, Opere e giorni… (nota 6), p. 65, nota 12. Va sottolineato che le dimensioni sono simili a quelle degli Evangelisti, ma più piccole rispetto agli altri santi.
  65. Confronti palmari avvicinano il volto della santa a quello della Vergine dell’Adorazione dei Magi del Nelson-Atkins Museum of Art a Kansas City, e al giovane imberbe che imbronciato trattiene la cocca del mantello azzurro foderato 103-105 di giallo all’estrema sinistra della Presentazione al Tempio in collezione Richard L. Feigen a New York, per cui c Kanter, in Kanter – Marciari, Italian Paintings from… cit. (nota 41), pp. 60-64, con bibliografia precedente.
  66. Lo scarto proporzionale è stato sottolineato da De Vries, Opere e giorni… (nota 6), pp. 64-65.
  67. Kanter, The National Gallery’s catalogue… (nota 6), pp. 107-108.
  68. Krautheimer, Lorenzo Ghiberti, Princeton 1956, pp. 103-134, ha proposto di dividere la sequenza dei lavori in tre fasi distinte: la prima tra il 1403 e il 1407, la seconda tra 1408 e 1415, la terza tra il 1416 e il 1419. Al di là dell’incedere dei lavori, va ricordata la sostanziale omogeneità stilistica delle formelle ghibertiane che furono verosimilmente “tutte pensate e modellate nei primi tempi dei lavori ben prima che l’opera giungesse a essere montata sui cardini”, come ha sottolineato con forza A. Galli, Lorenzo Ghiberti, Roma 2005, pp. 74, 90. Sulla sequenza dei rilievi della Porta del Paradiso si vedano le considerazioni di F. Caglioti, Reconsidering the Creative Sequence of Ghiberti’s Doors, in The Gates of Paradise: Lorenzo Ghiberti’s Renaissance Masterpiece, catalogo della mostra a cura di G.M. Radke, New Haven 2007, pp. 86-97.
  69. Labriola, in Lorenzo Monaco. Dalla tradizione… cit. (nota 5), pp. 277-284, con bibliografia precedente.
  70. Bernacchioni, Riflessioni e proposte… (nota 13), p. 46. La ricostruzione del polittico della Certosa fu avviata da O. Sirén, Di alcuni pittori fiorentini che subirono l’influenza di Lorenzo Monaco, in ‘L’Arte’, VII, 1904, 1, pp. 337-355, speciatim 349-352, che pubblicò lo scomparto conservato nella Gemäldegalerie di Berlino raffigurante Santa Maria Maddalena, San Lorenzo e il donatore, assegnandolo a un anonimo Maestro del Bambino Vispo e proponendo di identificarlo col laterale di una pala destinata all’altare di San Lorenzo nella cattedrale di Firenze, ricordata in un contratto del 3 marzo 1422, in cui gli eredi del cardinale Pietro Corsini si impegnavano a far realizzare l’opera a Lorenzo Monaco, “il Frate degli Angeli”, o a un altro maestro sufficientemente capace o migliore. Fu quindi A. Colasanti, Quadri fiorentini inediti, in ‘Bollettino d’Arte’, XXVII, 1933-1934, pp. 337-350, speciatim 337-340, a collegare al dipinto tedesco il Martirio di San Lorenzo conservato nella collezione Colonna a Roma, riconoscendovi uno scomparto della predella. Più tardi Pudelko, The Maestro del Bambino Vispo… cit. (nota 6), pp. 52-53, affiancava al pannello berlinese San Benedetto e un Santo vescovo del Nationalmuseum di Stoccolma, proponendo di identificare quest’ultimo con Zanobi, suggestionato dall’ipotesi di provenienza suggerita del Sirén. Pudelko integrava anche la predella del polittico con l’Adorazione dei Magi del Musée de La Chartreuse de Douai e con un Santo vescovo che libera un ossesso dal demonio del Museo Poldi Pezzoli di Milano. Fu quindi Longhi, Fatti di Masolino e di Masaccio… cit. (nota 18), pp. 51-52, nota 20, a riconoscere negli Angeli musicanti del Museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam, nella testa angelica della collezione Carmichael di Londra e nella Vergine frammentaria della Gemäldegalerie di Dresda, i resti dello scomparto centrale. In quest’ultimo frammento, non mi pare sia mai stato notato che la razzatura promanante tutt’intorno alla Vergine si interrompe lungo il margine sinistro della tavola, dove compaiono delle ali sottilmente granite, suggerendo la presenza di un trono di serafini tutt’attorno a Maria. Completa lo scomparto centrale l’Angelo musicante di collezione privata genovese pubblicato dalla Syre, Studien zum Maestro… cit. (nota 6), pp. 11-12, 26, 134 nota 40. Il complesso così ricostruito fu ampliato da R. Oertel, Der Laurentius-Altar aus dem Florentiner Dom. Zu einem Werk des Maestro del Bambino Vispo, in Studien zur toskanischen Kunst (Festschrift Ludwig H. Heydenreich), a cura di W. Lotz – L.L. Mötte, München 1964, pp. 205-220, con l’Annunciazione e il Cristo Redentore dello Städel Museum di Francoforte, a tutta evidenza le cuspidi dell’ancona. Infine C. Volpe, Per il completamento dell’altare di San Lorenzo… cit. (nota 5), pp. 347-360, aggiunse il Miracolo di San Benedetto in una collezione privata fiorentina e la Comunione di Santa Maria Maddalena nel Musée des Hospices Civils a Lione, completando la predella. L’identificazione del pannello di Berlino proposta dal Sirén ha gravato a lungo sulla possibilità di identificare il Maestro del Bambino Vispo con Gherardo Starnina, già morto nel 1413, ben prima della commissione dell’altare Corsini. Solo grazie agli studi di J. van Waadenoijen, A proposal for Starnina: exit the Maestro del Bambino Vispo?, in ‘The Burlington Magazine’, CXVI, 1974, pp. 82-91, e della Syre, Studien zum Maestro… cit. (nota 6), pp. 1-54, si è potuto identificare il cardinale effigiato nello scomparto tedesco con Angelo Acciaiuoli, morto nel 1408, committente di un polittico per la Certosa del Galluzzo ricordato dal Vasari come opera giovanile dell’Angelico. Il santo vescovo raffigurato a fianco di San Benedetto nello scomparto di Stoccolma non è infatti Zanobi, come si era creduto, ma Sant’Ugo di Lincoln.
  71. Freuler, in Moretti, The Middle Ages and Early Renaissance. Paintings and Sculptures from the Carlo De Carlo Collection and other provenance, Firenze 2011, pp. 58-67.
  72. Boskovits, The Martello collection… (nota 54), p. 134.
  73. Sono riconoscente a Duncan Bull e Giulia De Vivo per le foto e le informazioni sullo stato di conservazione dei pannelli olandesi. Tutto il mio debito va ad Andrea Santacesaria dell’Opificio delle Pietre Dure per l’aiuto preziosissimo nell’analisi dei supporti delle opere discusse.
  74. Grazie alla cortesia di Emanuele Barletti ho potuto visionare il retro dell’Evangelista con Rossella Lari, che ringrazio. Il numero di inventario stampigliato in grande evidenza sul retro del dipinto ne certifica un passaggio londinese presso Christie’s finora ignoto.
  75. Per il polittico di Giovanni dal Ponte la Gordon, in The Fifteenth-Century Italian… (nota 2), pp. 104-117, ipotizza che la committente possa essere stata Agata, la badessa del monastero femminile camaldolese di Pratovecchio intorno agli anni venti del Quattrocento, una cronologia in linea con quella proposta da Sbaraglio, Lo sviluppo (altalenante)… cit. (nota 20), pp. 18-19, subito successiva all’arresto del pittore nel 1424. Una provenienza alternativa dall’insediamento femminile di Boldrone, fra Castello e Careggi, dedicato a San Giovanni, è suggerita da A.M. Bernacchioni in Giovanni dal Ponte. Protagonista… cit. (nota 2), pp. 120-121, che ha proposto invece di identificare la committente con la badessa Piera di Filippo della Casa, nominata alla guida della comunità nel 1433, posticipando di conseguenza la datazione dell’opera.
  76. Ai pilastri del trittico di San Domenico a Fiesole appartenevano i Santi Marco e Matteo del Musée Condé a Chantilly e i Santi Nicola e Michele Arcangelo dell’Arp Museum di Remagen (cfr. J.T. Spike, Angelico, Milano 1996, pp. 82-85, 202-203, e più di recente L.B. Kanter, in Fra Angelico, catalogo della mostra a cura di L.B. Kanter – P. Palladino, New York 2005, pp. 64-72, con bibliografia), come certificano delle scritte sul retro dei pannelli. La loro foggia polilobata potrebbe ricalcare il precedente starniniano, ma l’assenza della cornice originale non consente di rispondere in termini perentori. Del complesso facevano parte anche i tondi col Sant’Alessandro del Metropolitan di New York e il San Romolo della National Gallery di Londra, dove si conserva anche la predella (cfr. C. Gardner von Teuffel, Fra Angelico’s Bishop Saints from the High Altar of S. Domenico, Fiesole, in ‘The Burlington Magazine’, CXXXIX, 1997, pp. 463-465; Gordon in The Fifteenth-Century Italian… [nota 2], pp. 2-25); in quest’ultima la fonte luminosa non è pensata da destra come per il resto dell’opera, ma promana dal Cristo col vessillo della vittoria al centro dello scomparto mediano: la luce celeste trionfa sulla luce naturale e la ratio divina scardina e si impone su quella umana.
  77. Come mi suggerisce Andrea De Marchi – che a questo argomento ha dedicato un intervento tenutosi nella biblioteca del convento di San Marco a Firenze nel marzo 2017 – proprio l’arrangiamento dei pilastri di quest’opera poté favorirne il riferimento alla giovinezza dell’Angelico da parte del Vasari, in qualche modo suggestionato dal persistere della stessa soluzione nella Deposizione
  78. L’Angelico utilizzò la campitura lobata anche per i santini nei pilastri della pala di San Marco (cfr. M. Scudieri – S. Giacomelli, Alla ricerca della “Pala” perduta: ipotesi e… fantasie ricostruttive, in L’Angelico ritrovato. Studi e ricerche per la Pala di San Marco, a cura di C. Acidini – M. Scudieri, Livorno 2008, 127-133, con bibliografia precedente), di cui tuttavia non si conserva la cornice originale. Forse il suo tramite poté essere uno stimolo per la pala di Santa Margherita dipinta da Andrea di Giusto nel 1437, oggi alla Galleria dell’Accademia di Firenze, dove l’incorniciatura traforata dei pilastri è solo allusa dal decoro azzurro e rosso alternato steso sui pennacchi.
  79. Il pannello col San Giuliano misura 45,2 x 17,8 cm; la Santa Elisabetta 43,5 x 18 cm, al netto del listello ligneo aggiunto alla base, la Santa col libro 43,3 x 18 cm, al netto del listello ligneo aggiunto alla base, la Sant’Orsola 43 x 13,1 cm, al netto del listello ligneo aggiunto alla base; il San Domenico invece 43,6 x 12,7 cm; infine il Santo imberbe, che è stato leggermente rifilato, è 43,5 x 12 cm.
  80. A rigore non si può escludere che il santo londinese terminasse con una profilatura ribassata che in questo caso dovrebbe essere integrata di pochissimo, intorno a 1 cm di altezza. Una profilatura simile, più consueta in Spagna, è rara in Toscana, ma non unica, comparendo ad esempio nei registri bassi dei pilieri di Andrea Vanni del polittico nel Battistero di Siena.
  81. Boskovits, The Martello collection… (nota 54), pp. 134-136. Indagini radiografiche sulle tre tavole potrebbero confermare la loro provenienza dai pilieri di un polittico.
  82. La carpenteria del polittico di Giovanni del Biondo è stata in parte reintegrata nel corso di un restauro effettuato tra il 1971 e il 1982, come segnalato da M. Boskovits, in Dipinti. Volume secondo. Il Tardo Trecento. Dalla tradizione orcagnesca agli esordi del Gotico Internazionale, a cura di M. Boskovits – D. Parenti, Firenze 2010, pp. 56-62.
  83. Questa soluzione costruttiva per i pilastri è ampiamente diffusa tra Tre e Quattrocento: per fare qualche esempio la si vede bene nel Beato Ambrogio Sansedoni di Giovanni di Paolo della Lehman Collection, licenziato nel 1447 e proveniente dall’altare dell’Arte dei Pizzicaiuoli in Santa Maria della Scala, e, fuor di Toscana, nel polittico di Ludovico Urbani del Museo Diocesano di Recanati. La stessa ratio è usata nei pinnacoli dell’Arte della Lana del Sassetta, per cui si veda la foto della sezione del supporto del Profeta Elia della Pinacoteca Nazionale pubblicata da M. Israëls, The Reconstruction of Sassetta’s Borgo San Sepolcro Altarpiece, in The Borgo San Sepolcro Altarpiece, a cura di M. Israëls, Florence 2009, I, p. 192, fig. 145. Il pilastro di Princeton era insieme ad altre quattro tavole (Madonna col Bambino in trono e due profeti, Sant’Antonio abate, Firenze, collezione Corsi; San Giovanni Battista, già Englewood, New Jersey, collezione Dan Fellows Platt; Santa Caterina d’Alessandria, Assisi, Museo del Tesoro della Basilica di San Francesco; Santa Lucia, Roma, collezione privata) fino ai primi del Novecento nella collezione del conte Giovanni Placidi di Mont’Antico, presso Montalcino, per passare poi nella raccolta di Frederick Mason Perkins. Le tavole dovevano provenire da due complessi diversi come suggeriscono alcune differenze di formato, incorniciatura e incongruenze iconografiche, per cui si rimanda a G. Freuler, Bartolo di Fredi Cini. Ein Beitrag zur sienesischen Malerei des 14. Jahrhunderts, Disentis 1994, pp. 460-468; F. Baldini, in La Collezione Corsi: dipinti italiani dal XIV al XV secolo, a cura di S. Chiodo – A. Nesi, Firenze 2011, pp. 185-190, con estesa bibliografia precedente. A differenza del pannello di Princeton, lo smusso sinistro del frammento di piliere di Rossello di Jacopo a New Haven è ricavato da un listello applicato sul fianco.
  84. Israëls, The Reconstruction… (nota 81), p. 201. Inoltre si vedano le importanti considerazioni seguite all’indagine materiale dei santi dei pilastri svolte nella stessa occasione da R. Bellucci, C. Castelli, C. Frosinini, M. Israëls, in Sassetta. The Borgo San Sepolcro Altarpiece… cit. (nota 81), pp. 549-563.
  85. Nelle opere di Starnina di prassi ci sono due fonti luminose differenti. Il San Giuliano e il San Domenico ricevono la luce da sinistra e, coerentemente con il loro orientamento, si dovevano contrapporre agli altri santi della serie illuminati da destra.
  86. Non è semplice giustificare la costruzione di un pilastro caratterizzato da due facce di larghezza diversa. A rigore non si può escludere che questi santini vadano scissi perciò in due serie provenienti da altrettanti polittici gemelli, come per certi versi sono le pale lucchesi di Würzburg e dell’Assunta, le uniche candidate possibili stando alle ragioni dello stile. Tuttavia l’identità stilistica, tecnica e le peculiarità materiali di queste tavolette – specie le sante femminili – rendono l’eventualità davvero improbabile. Rispetto ai quattro registri utilizzati nella ricostruzione grafica, ben compatibili con l’altezza significativa che emerge dai rilievi tecnici già discussi, è possibile pensare a un arrangiamento meno slanciato con tre ordini, uno dei quali con incorniciature diverse nelle due facce, come ho anticipato in Giovanni dal Ponte. Protagonista… (nota 2), pp. 72-74, 168, dove tuttavia devo lamentare dei travisamenti proporzionali notevoli, non modificati prima della stampa nonostante la mia segnalazione.
  87. Il polittico eponimo, proveniente dalla locale confraternita di Sant’Antonio abate di Trapani, nei pilastri mostra caratteristiche costruttive simili a un altro trittico della stessa mano in Palazzo Abatellis a Palermo, già nella confraternita di San Michele de Indulciis, con l’Incoronazione della Vergine tra due arcangeli, tradizionalmente identificati in Michele e Raffaele, mentre vi si potrebbe forse riconoscere una doppia raffigurazione del primo nelle vesti di guerriero e di psicopompo, come propone con prudenza Giulia Majolino, che mi preme ringraziare anche per le foto del dipinto trapanese. Sull’opera si veda M.C. di Natale, Il Maestro del Polittico di Trapani, la Croce dipinta della chiesa di Santo Spirito di Palermo e il suo contesto storico-artistico, in M.C. di Natale, M. Sebastianelli, Il Maestro del Polittico di Trapani. Il restauro della Croce di Santo Spirito di Palermo, Palermo 2010, pp. 15-27.
  88. L’opera andò bruciata nell’incendio divampato nella notte del 18 settembre 1889, per cui cfr. A. Marchi, Arcangelo di Cola, in Pittori a Camerino nel Quattrocento, a cura di A. De Marchi, Milano 2002, pp. 160-169, speciatim Il disegno “ghibertiano” delle cuspidi dichiara il debito con l’esperienza fiorentina del pittore, che nello scomparto centrale propone una soluzione iconografica foriera più tardi di molti recuperi tra Umbria e Marche.
  89. La carpenteria del polittico di Benabbio è originale, come argomentato dalla Filieri in Matteo Civitali… cit. (nota 36), p. 328, dove sono segnalate le modeste “integrazioni di restauro sia nei pinnacoli che nelle dorature”. Il polittico di Giovanni del Biondo, in parte rimaneggiato, ma affidabile nelle sue linee generali, si conserva oggi nella cappella Rinuccini, già Guidalotti, nella sagrestia di Santa Croce.
  90. Freuler, Bartolo di Fredi Cini… cit. (nota 81), pp. 469-476. Come mi segnala Ciro Castelli nel polittico di Bartolo di Fredi la struttura del pilastro è realizzata a massello, ricavata cioè da un’unica trave lignea.
  91. La proposta di ricostruzione dei pilastri del polittico della chiesa di San Paolo all’Orto si deve a G. Amato, Alcuni chiarimenti sull’attività giovanile di Taddeo di Bartolo e il caso del polittico Casassi di Pisa, in ‘Prospettiva’, CXXXIV-CXXXV, 2009, pp. 101-119, speciatim 112-113; sul trittico di Santa Caterina della Notte cfr. idem in Da Jacopo della Quercia… (nota 51), p. 204, con bibliografia precedente. Sul polittico di San Francesco a Pisa si veda invece G.E. Solberg, Taddeo di Bartolo’s altarpiece at S. Francesco in Pisa: new discoveries and a reconstruction, in ‘The Burlington Magazine’, CLII, 2010, 1284, pp. 144-151, speciatim 148-150. Il registro centrale di quest’opera era costituito dalla Vergine dell’Umiltà fiancheggiata dal Battista e da Sant’Andrea, tutti conservati al Museo di Budapest, affiancati dai Santi Simone e Francesco (già Londra, Fabrizio Moretti). Nel museo ungherese, rimontati in una sorta di predella posticcia, si conservano anche cinque santini provenienti dai pilastri, cui va aggiunto il Sant’Antonio da Padova della collezione Rizzardo-Artoni comparso di recente all’incanto presso Piasa, Parigi, Primitivi Italiani, d’une collection privée, 9 dicembre 2016, lotto 70.
  92. La carpenteria attuale del polittico fu realizzata nel 1915 da Ludovico Caselli e Francesco Moretti sulla base di alcuni studi di Bombe (cfr. la relazione di restauro di S. Fusetti, P. Virilli, Il polittico Guidalotti. Osservazioni e considerazioni durante il restauro, in Beato Angelico e Benozzo Gozzoli. Artisti del Rinascimento a Perugia, catalogo della mostra a cura di V. Garibaldi, Milano 1998, pp. 126-135). Dalla foto dei retri, per cui sono in debito con Marco Pierini, non si vedono tracce di smussi a quartabona su questi pilastri. In ogni caso rimane curioso il fatto che la carpenteria moderna preveda l’alloggio dei santini su due file poste entrambe sulla fronte del piliere, e non le disponga in posizione ortogonale come avviene di prassi. La datazione del polittico Guidalotti, assestata al 1436 dalla cronaca manoscritta di Padre Timoteo Bottonio è stata messa in discussione da A. de Marchi, Per la cronologia dell’Angelico: il trittico di Perugia, in ‘Prospettiva’, XLII, 1985, pp. 53-57, che nella figura di San Nicola ha proposto di individuare un cripto ritratto di Niccolò V Parentucelli, posticipandone di conseguenza la datazione di un decennio.
  93. Weppelmann, Spinello Aretino… (nota 34), pp. 143-159, con bibliografia precedente, dove è discussa la fortuna critica dei santi da pilastro collegati al polittico dagli studi. Ne fanno parte il San Filippo (52,5 x 18,8 cm; superficie dipinta 46 x 13,7 cm) e il San Giacomo maggiore (52,3 x 18,2 cm, superficie dipinta 46,2 x 13,7 cm), entrambi nella Lehman Collection, il San Bartolomeo e la Santa Maria Maddalena passati da Sotheby’s a New York, 4 giugno 2009, lotto 5 (entrambi 54 x 18,2 cm), il Santo apostolo o evangelista e la Sant’Agnese sul mercato newyorkese presso Christie’s, 26 gennaio 2005, lotto 2 (45,7 x 12,7 cm superficie dipinta), una Santa martire (superficie dipinta 45 x 13 cm) a Parigi, Saint-Louis-en-l’Île, Chapelle du Sacré Coeur, il San Giacomo minore (44,5 x 19 cm) passato da Sotheby’s a Londra, 21 aprile 1982, lotto 72, dall’incorniciatura diversa rispetto agli altri santi, ma identica al Santo apostolo (superficie dipinta 34,1 x13,3 cm) di ‘s Heerenberg, Huis Bergh, collezione van Heek, sensibilmente più bassi rispetto agli altri santini. Va poi aggiunto il Santo monaco (32 x 7,8 cm) del Fogg Art Museum di Cambridge (Mass.), che doveva scandire una delle due scene della predella dello scomparto del polittico conservato a Budapest, dove al centro c’è un Santo apostolo (32 x 8 cm) dalle dimensioni identiche, gemello del Sant’Agostino (32,3 x 7,8 cm) nel mezzo della predella conservata al Fogg Art Museum. Non è semplice avere una piena comprensione dello stato conservativo e delle peculiarità materiali di queste tavole, molte delle quali hanno subito manomissioni evidenti, rendendo malagevole poter ricostruire nel dettaglio l’assetto dei pilieri. Mi riprometto di compiere verifiche puntuali sui singoli dipinti. Devo la foto del retro del San Giacomo maggiore della Lehman Collection e le indicazioni puntuali sull’intera serie alla gentilezza di Matteo Mazzalupi.
  94. Boskovits, Ancora su Spinello: proposte e inediti, in ‘Antichità Viva’, V, 1966, 2, pp. 23-38, speciatim 23.
  95. Weppelmann, in Moretti, Dagli eredi di Giotto al primo Cinquecento, Firenze 2007, pp. 34-40.
  96. Weppelmann, Spinello Aretino... (nota 34), pp. 128-138, con bibliografia precedente. Ad eccezione delle tavolette lucchesi, anche per questa serie l’impossibilità di compiere un’indagine materiale puntuale rende scivolosa una ricostruzione precisa dell’assetto dei pilieri di questo polittico. L’osservazione diretta sarebbe tanto più necessaria anche per valutare il fondo delle tavole Shoeri. Nel solo lato destro del San Giovanni Evangelista si osservano a fatica tracce di un’incorniciatura lobata.
  97. Weppelmann, Spinello Aretino… (nota 34), pp. 133, 148, pensava a questa soluzione, cui L. Pisani, Proposte per l’attività di Spinello di Luca fra Pisa e Lucca, in “In nome di buon pittore”, in “In nome di buon pittore”. Spinello e il suo tempo, atti della giornata di studio di Arezzo, a cura di I. Droandi, Firenze 2016, pp. 85-98, speciatim 97-98, si è opposta additando un probabile modello nel polittico di Agnano di Cecco di Pietro, anche se al momento i riscontri materiali sulle tavole di Spinello non sembrano incoraggiare una ricostruzione dei pilastri decorati su tre lati, per cui sarebbe difficile spiegare l’asimmetria dello smusso a quartabona rientrante sul retro. I pilastri del polittico di Cecco di Pietro si impostavano su basi anch’esse tripartite con caratteristiche costruttive del tutto consuete alla prassi, mentre i dadi del polittico di Santa Maria Nuova dovevano essere decorati verosimilmente, come si è accorto anche Matteo Mazzalupi, con i Santi Giacomo e il Santo Apostolo di ‘s Heerenberg, Huis Bergh, collezione van Heek. Le loro altezze, infatti, sensibilmente minori di quelle degli altri santi – differenti anche per le incorniciature – sono compatibili con le misure della predella (superficie dipinta di ciascuna scena circa 35 x 34 cm), scandita come detto da santi molto più stretti. Similmente nel polittico di San Ponziano mi chiedo se il San Giovanni evangelista, il Sant’Andrea e il Santo apostolo già Shoeri, non scandissero la predella del polittico nella Galleria Nazionale di Parma, la cui altezza di 30 cm è identica a quella di questi santi, che, con un quarto mancante, potevano pure decorarne i dadi.

 

 


 

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