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RESTAURI A PIERO DELLA FRANCESCA

di Cesare Brandi

dal Bollettino d’Arte, IV Serie, 1954, Fascicolo III (luglio-settembre)

 

 

Tre dipinti di Piero della Francesca avevano bisogno di interventi di restauro, in varia misura, e, affidati all’Istituto Centrale del Restauro, subirono il trattamento che si specificherà per ciascuno. I dipinti erano i seguenti: la  ‘Flagellazione’ e la Madonna di Senigallia’ della Galleria Nazionale di Urbino, il  ‘Polittico’ della Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia.

Il primo di questi dipinti (fig. 1), che è anche il più famoso, accusava due inconvenienti gravi, l’uno nel supporto, l’altro nella superficie pittorica. Il supporto, in epoca che non è stato possibile precisare in base alle lacunose notizie d’archivio, aveva ricevuto l’applicazione di due sbarre di ferro avvitate in senso contrario alle fibre del legno. Tali 4 sbarre, che evidentemente dovettero essere escogitate nell’ingenua speranza di arrestare l’incurvatura delle due assi del supporto, avevano invece determinato due nuove spaccature in corrispondenza della base delle code di rondine (fig. 6)

con le quali precedentemente si era creduto di assicurare le due parti del supporto. La presenza di tali sbarre, oltre ad avere originato il danno gravissimo delle spaccature, costituiva un pericolo non già scontato ma ancora in atto, e giustamente preoccupò avveduti studiosi, che avevano segnalato la cosa.1)

Circa la superficie pittorica, la presenza di una vernice grossolana e marezzata, aggiunta, con ogni probabilità, al tempo dell’applicazione delle code di rondine, toglieva la nitidezza della stesura cromatica del dipinto (fig. I), alterando l’equilibrio luminoso delle parti in luce e di quelle in ombra. Inoltre le lunghe screpolature trasversali denunciavano, ai bordi sollevati, mancanza di coesione al supporto, come dimostra la fotografia a luce radente.2)

Una volta, pertanto, ricevuto il dipinto celeberrimo all’Istituto Centrale del Restauro, fu prima cura documentarlo nel più esteso, minuzioso modo possibile. Fu dunque eseguita la ricognizione fotografica in bianco e in nero, a grandezza naturale con 15 lastre, la fotografia a colori dell’insieme, la fotografia del tergo, e la fotografia alla fluorescenza degli ultravioletti (fig. 2).

 

In quanto alle radiografie (figg. 4, 5), queste dettero scarsissimi resultati, e d’altronde erano rivolte soprattutto ad assicurarsi sullo stato dei bordi di giuntura delle due assi del supporto, dove si sospettava che vi fossero particelle minime di colore autentico nascosto dalla stucca tura.

 

Eseguito tutto il corredo di documentazioni fotografiche, e nella necessità d’intervenire sul supporto, questo fu accuratamente esaminato, e intanto era stato sottoposto alle emanazioni di gas contro tarli, nella cella a gas. Riguardo dunque al supporto, già era possibile notare con una attenta disamina, per altro assente nella letteratura relativa al dipinto, che questo, in epoca imprecisata, dovette essersi scollato nelle due assi, di cui si compone, né queste furono in seguito ricongiunte esattamente: talchè le linee delle scanalature delle colonne e altri riscontri architettonici indubbi non rinfilavano da una sponda all’altra della congiunzione orizzontale delle assi (fig. 7).

 

A questa operazione di scollamento e rincollamento dovette certo rimontare l’applicazione delle cambre a farfalle o code di rondine per assicurare le due assi fra di loro, metodo, sia detto di sfuggita, che viene ancora seguìto generalmente, ma pericolosissimo. L’applicazione delle code di rondine, che in origine il supporto non prevedeva, dovette essere attuata per il fatto che in origine il dipinto aveva certamente una cornice fissa, che funzionava da telaio al dipinto. Ma, come sempre accade, il telaio fisso, imprigionando il legno, provocava nei punti di minore resistenza sia lo scollamento della cornice, ·sia la disunione delle due assi del supporto. Fu così che, distrutta la cornice, e nel timore che le due assi incollate semplicemente dovessero aprirsi di nuovo, si dovè aver fatto ricorso alle code di rondine. Ma queste costituiscono un “fermo n che immobilizza le fibre del legno contenute nella morsa della cambra, ed ecco che allora le fibre non potendo restringersi e allargarsi naturalmente, provocarono l’incurvatura delle assi. A questa incurvatura si credè rimediare con l’errore delle sbarre fisse, che provocarono addirittura i nuovi spacchi della tavola. Così ricostruita la storia e la genesi dei danni, si doveva passare alla cura. Poiché la cura prevedeva lo scollamento delle due assi, colla remozione delle code di rondine, nonché un certo numero di tagli orizzontali, sia per restituire il piano orizzontale della tavola, sia per arrestare la tendenza all’incurvamento, prima di intervenire sul supporto di una opera tanto famosa, si volle sentire il parere del massimo esperto del legno, il compianto ing. Cormio, direttore della Civica Siloteca di Milano. Venuto a Roma, il consulto fu protratto per cinque giorni, in modo da non lasciare, per quanto era possibile, nessun problema insoluto. Furono dunque esaminati tutti i lati della questione, e, risultandone convalidata la diagnosi dei danni come il metodo del risanamento, fu prelevata una piccola parte del legno, che servì al Cormio per identificarlo in seguito come pioppo, e vennero decise, alla sua presenza, le parti dove compiere i tagli per il raddrizzamento in modo da ottenerlo gradatamente, nel modo più lento e pausato. Un punto rimase e rimane insoluto, la causa dell’andamento trasversale delle screpolature della superficie pittorica, che non corrispondano alla direzione delle fibre del legno e che non trova spiegazione tecnica adeguata. Deciso quindi il lavoro da compiere al supporto, si doveva, prima dello scollamento delle due assi, sia assicurare la statica del colore, riguardo alle screpolature, sia rimuovere la stuccatura fra le due assi, ciò che, eseguito con la massima cura, portò al recupero di alcuni piccoli tratti di pittura coperti dallo stucco. La stiratura della superficie protetta con carta e colletta, portò un notevole abbassamento delle screpolature, senza che tuttavia fosse spinta, per prudenza, ad un totale livellamento. In seguito, tolte le code di rondine, venne operato lo scollamento delle assi (fig. 8),

 

operazione che non presentò difficoltà per lo stato degradato dello strato intermedio di colla, consumata dalle muffe, come risulta dalle macrofotografie del taglio interno delle assi (fig. 9) e dall’analisi fitopatologica. 3)

 

Il raddrizzamento fu eseguito sulle assi separate, e per la riunione delle assi si usò di un adesivo non igroscopico come pure per l’applicazione, nei tagli per il graduale raddrizzamento, delle sottilissime strisce cuneiformi di rovere di Slavonia. Invece, per gli altri risanamenti del supporto – bordi delle assi, angolo sinistro smangiato dai tarli, alveo delle code di rondine – si ricorse a segmenti di legno stagionato di pioppo, perchè avesse cioè simile indice di dilatazione del supporto, legno che fu prelevato inoltre da assi dette mezzoni, che garantiscono maggiore stabilità e uniformità nelle contrazioni inevitabili delle fibre.

Circa l’armatura del supporto, per dare cioè delle rotaie di scorrimento alle fibre del legno, stanti.l fatto che le condizioni generali della tavola erano buone e lo spessore sufficiente, si preferì studiare l’applicazione di due scorrevoli invece di una intera parchettatura. Fu anzi a proposito di questo dipinto, che dava tante e legittime preoccupazioni, che fu approfondito lo studio delle armature dei supporti lignei, e questo, proseguito fino ad oggi, ha portato ad una radicale innovazione nelle armature dei dipinti su legno. E ci piace di darne atto nella relazione di questo restauro, che stette appunto alla base degli studi ora conclusi. Questi studi, che qui si possono solo accennare, condotti in seguito anche con la collaborazione internazionale offerta dall’ICOM, hanno intanto favorito una conoscenza più approfondita del comportamento del legno, e hanno fatto convergere l’attenzione sulla struttura del supporto, cosa che finora era stata appena saltuariamente considerata. Vi è infatti una differenza sostanziale, per il comportamento del supporto alle variazioni termoigrometriche, se questo è composto di assi ricavate dal centro del tronco, dette mezzoni e radiali, o da assi tangenziali. Via via che le assi si allontanano dal centro del tronco, tendono maggiormente a incurvarsi, e in modo convesso rispetto al diametro del tronco. Può darsi inoltre che, nell’ignoranza di questa legge costante, l’antico carpentiere avesse incollato insieme assi tangenziali che tendessero a incurvarsi in direzioni contrastanti: e in questo caso è chiaro come un unico scorrevole possa venire inceppato dalle sollecitazioni opposte delle assi. Non era per fortuna questo il caso del supporto della ‘Flagellazione’, composto di un’asse mezzone quasi radiale, imbarcata convessa, e di una intermedia tangenziale, pure imbarcata convessa (rispetto alla pittura). Perciò, dietro suggerimento del Cormio, furono previsti due scorrevoli, di rovere di Slavonia, il legno più adatto a giudizio del Cormio stesso, che, con il capo-falegname dell’Istituto andò personalmente a scegliere, fra tutti i depositi di legname di Roma, l’asse radiale da cui trarre gli scorrevoli per il prezioso dipinto. Codesti scorrevoli, che per altro si comportarono in modo egregio, furono sostituiti un anno dopo con due scorrevoli metallici in duralluminio (fig. 10),

 

secondo il sistema che nel frattempo era stato perfezionato all’ Istituto e che garantisce definitivamente gli inevitabili movimenti delle fibre, a mezzo di un dispositivo di ponticelli mobili di metallo. Di questo sistema, che ha finalmente risolto il problema delle parchettature, e che sarà descritto a suo luogo, meritava farne cenno qui, a documentare la massima cura che fu presa dall’Istituto per questo preziosissimo fra i dipinti preziosi.

Una volta allora ottenuto il supporto piano, libero ma controllato e sostenuto nei suoi movimenti, fu tolta la carta di protezione della superficie pittorica. Si noti che la precedente stiratura era stata fatta col vecchio sistema della colletta con cui si era applicata la carta protettiva, invece che con la miscela di cera e resina, proprio per attenersi all’uso di materie tradizionali che non potessero dar luogo a riserve circa l’opportunità di servirsi di un metodo poco seguìto e poco noto in Italia e cioè la fissatura a mezzo dei raggi infrarossi.Tolta la protezione si potè constatare ineccepibilmente che la raddrizzatura non aveva modificato affatto il reticolo delle screpolature, e, anzi, per poco che fosse, aveva agevolato la collimazione dei bordi. Vi è infatti qualche timore anche presso capaci operatori, che il raddrizzamento possa portare delle nuove screpolature, ma è timore infondato se le operazioni di taglio e di conseguente raddrizzatura vengono eseguite con estrema progressività, senza la minima fretta, e dopo un approfondito esame del legname da raddrizzare. Cominciava dunque la seconda parte del restauro, relativa alla pulitura. Prima della velatura con la carta, si era intanto prelevato, dal bordo estremo del cielo, una minuta particella per eseguire la sezione stratigrafica (fig. 11),

 

a documentare l’emergenza della vernice aggiuntiva. Si trattava pertanto di giungere alla remozione o quanto meno all’assottigliamento della vernice irregolare, granulosa, color marrone, senza peraltro giungere allo strato puro del colore. In altri termini potrebbe dirsi alla conservazione, se non della vernice originaria non ugualmente conservata, di un velo di patina. In questo caso, infatti, non c’ era da illudersi che si fosse conservata tutta la vernice originaria, e non è dubbio anzi che la stessa vernice aggiuntiva fosse stata data ad arte, in modo così stracciato e irregolare, per confondere le precedenti puliture arrischiate subite dal dipinto.

Sebbene infatti la documentazione relativa alla ‘Flagellazione’ sia assai scarsa e tardiva, è sufficiente, per chi si è dato pena di rintracciarla, ad accertare che il dipinto dovette subire interventi piuttosto drastici anche solo nel breve corso storico, diciamo così, di quest’ultimo secolo. Da una prima ed esplicita citazione del Passavant, risulta infatti che nel dipinto esisteva, ad esegesi del gruppo sibillino di destra, la seguente iscrizione, tolta dai Salmi II, 2: “Convenerunt in unum”[et principes convenerunt in unum adversus Dominum].

Nella traduzione, che dell’opera del Passavant fu fatta in italiano, sembrava che l’iscrizione fosse scomparsa già al tempo del Passavant, ma dal testo tedesco originale non ci può essere dubbio che fu ancora vista e letta dal Passavant stesso, ossia nel 1839: “… im Vordergrund stehen drei iunge Männer … Dabeis steht: Convenverunt in unum. Es ist eine Satyre… Das sehr zart behandelte Bildchen hat noch folgende Inscrift: opus etc.”. Ora nella traduzione italiana (1899), quest’ultima parte suona “porta anch’oggi” il che faceva pensare che la prima iscrizione, per quanto il testo dichiarasse “evvi scritto” fosse già scomparsa e il Passavant la ricordasse per sentito dire, interpretazione che avvalorava l’inciso fra parentesi “(dice la tradizione)” posto dopo l’interpretazione della scritta scomparsa come di una satira. Si deve dunque ritenere che nel 1839 ancora il dipinto della ‘Flagellazione’ non avesse subìto il drastico intervento che portò alla cancellazione della scritta, sicchè in seguito venne riferita persino sbagliata. Infatti diviene (nel Pichi) “convenerunt in eum” che non corrisponde nè al testo biblico nè alla lezione del Passavant. 4)

Ché se il testo biblico fosse stato meglio conosciuto, con quell’evidente accenno ai cortigiani (principes) e al Signore (Dominum), anche la controversa interpretazione del gruppo avrebbe offerto meno appigli di dubbio. 5) Quel che è certo, nel 1864, l’iscrizione è data già come scomparsa dal Cavalcaselle, che nel I898, commenta: “Il colore di questo dipinto fu danneggiato dalla soverchia ripulitura”. 6)

Deve essere stato durante questo intervento malaugurato che si produssero, ad esempio, gli squilibri nel soffitto a lacunari. Infatti, per quanto la luce immortale di questo dipinto non sia “centralizzata” come la prospettiva, essendoci non una ma due fonti luminose, l’illuminazione del lacunare intermedio è incomprensibile, e tuttavia risulta inoppugnabilmente fin dalla fotografia Anderson del 1911. È chiaro che, in una con l’iscrizione, dovettero partire, in qualche luogo, delle larghe velature. Come che fosse, mai si sarebbe potuto “correggere” quel probabile guasto antico con una velatura di gusto, e pertanto il dovere dell’Istituto Centrale del Restauro era di ridurre al minimo gli interventi su quella superficie cromatica tartassata e preziosa. Appunto ci si doveva limitare ad assottigliare lo strato della vernice aggiunta, fino a ridurla ad una pellicola la più uniforme possibile e che, senza scoprire lo smalto del colore, assicurasse un’uguale visibilità ai timbri cromatici sottostanti. È quello che fu fatto, con una gradualità che poteva fin parere eccessiva e con una continua documentazione in nero e a colori, macrofotografie e microfotografie, che certamente è consigliabile studiare anche sulle copie dirette (figg. 12, 13, 16).

Circa le integrazioni delle lacune, bisognava rendersi conto del carattere specialissimo di un dipinto che fu condotto con una esecuzione quasi miniaturistica. Spesso le cadute di colore interessavano parti “incompletabili” , la punta del naso, la bocca, un occhio (figg. 13, 14, 15, 16, 17).

 

 

 Per questo non solo non era neanche da prospettarsi la possibilità di un completamento, ma si doveva cercare di conservare le lacune nell’aspetto ormai storico e noto; così in alcuni casi si lasciarono intatte, dove cioè la statica del colore lo consentiva, anche le vecchie stuccature. In un solo punto si trovò necessario intervenire, e fu negli spacchi orizzontali, perché questi disturbavano oltre ogni dire l’intelaiatura prospettica e perciò erano di nocumento attivo. Ma i completamenti minimi, a chiusura degli spacchi, furono eseguiti nel modo con cui l’Istituto fa i completamenti, e cioè a sottilissimi fili ad acquarello, così da essere sempre riconoscibili e di colpo alla visione ravvicinata. In nessun altro luogo del dipinto, essendosi ormai assicurati della tenuta della mestica anche dove la superficie era rotta da piccole lacune, si fecero non diciamo completamenti, ma neppure stuccature.

Le precauzioni, la cura estrema, la prudenza con cui fu condotto questo restauro, e infine la documentazione esorbitante in nero e a colori, 7) dovevano metterlo a riparo di qualsiasi accusa, ma non della maldicenza. Si cominciò con l’accusare l’Istituto nientemeno di avere prodotto le due nuove spaccature: era facile dimostrare la causa di quelle spaccature e la loro emergenza, e che comunque erano chiaramente documentate già da fotografie della Soprintendenza alle Gallerie delle Marche anteriori di due anni alla consegna del dipinto all’Istituto. Caduta questa accusa, fu insinuato che “comunque il dipinto appariva diminuito”. Ora, come può essere diminuito un dipinto, se non solo se ne può controllare l’assoluta identica consistenza con fotografie a grandezza naturale prima e dopo il restauro, ma quando, anche riguardo alla pulitura, si può controllare ineccepibilmente che lo strato della vernice aggiunto – e tanto chiaramente aggiunto che si trovava perfino nelle screpolature – non fu completamente tolto, ma resta come un velo protettivo’? Tali mormorazioni non possono lasciare per lo meno perplessi circa la loro buona fede e serenità, qualora si consideri oltre tutto come nessuna di esse giunse mai a formularsi attraverso la stampa in una critica responsabile allorché la tavola, con ampia documentazione, venne esposta in Palazzo Venezia a restauro compiuto. Tuttavia ne è stato tenuto conto recentemente quando, in occasione della Mostra fiorentina, il restauro della ‘Flagellazione’ in particolare è stato impugnato da Roberto Papini 8) sulla considerazione di un eccessivo – per il critico – splendore del colore (si parla di “neri durissimi”, di “grigi divenuti sgargianti”) che sarebbe dovuto ad una “ripulitura all’osso” operata dall’Istituto; ripulitura che avrebbe distrutto l’accordo tonale raggiunto da Piero. Ma se perfino il Longhi nel suo libro famoso su Piero 9) così si esprimeva a proposito del colore locale non tonale del dipinto: “la fulgidità minerale (sic) del quadro della ‘Flagellazione’, quel prezzo indicibile della materia che riveste la forma e, saggiata da un sole perlato, la sostanzia. Pilato, nel suo trono, si copre di vesti azzurre e purpuree che paion carpite al tesoro degli smalti limosini … “; e prima di lui Adolfo Venturi impiegava termini quali “smeraldina vivezza” e “turchese splendido”.

Quanto s’è detto vale anche, evidentemente, per la sprezzante qualifica di “deplorabilissimi” che successivamente il Longhi ha attribuito ai restauri dell’Istituto, 10) evidentemente fondandosi, poiché non ne aggiunge di propri, sui rilievi del Papini.

Il restauro della ‘Flagellazione’ è stato il più cauto, anzi il meno arrischiato possibile. In piena coerenza cioè con quanto è consuetudine costante dell’Istituto e con i principi di chi scrive, che è accanito propugnatore del rispetto della patina e sul rispetto della patina ha addirittura fondato un canone basilare della Teoria del Restauro. 11)

 

La Madonna a Santa Maria delle Grazie (fig. 18) presso Senigallia e ora alla Galleria di Urbino era già stata segnalata, nella letteratura relativa, per i cattivi restauri subiti. Il Cavalcaselle e il Morelli, nel 1861, che videro ancora il dipinto nella Chiesa (dove stette fino al 1917), annotarono “Quadro che ha molto sofferto dai restauri”; 12) successivamente il Cavalcaselle ripetè, press’a poco, l’appunto: 13) “Il dipinto ha sofferto e fu restaurato”. In una nota del 1892 14) si suggerisce: “sarebbe opportuno ad un tempo che si studiasse qualche rimedio al rifiorire di alcuna parte della tavoletta attribuita a Fra’ Carnevale (idest, la Madonna ora detta di Senigallia)”. Ma il Longhi tenne a precisare: 15) “parecchio alterata da cattivi restauri, soprattutto nel panno da capo e nel viso della Vergine”. Qualcosa di simile e insieme di diverso asserisce il Clark: 16) “sembra essere stata sottoposta ad un esteso ed estremamente abile (extremely skilful) restauro, specialmente nelle teste della Madonna e del Bambino”. Senonché, all’esame positivo dei fatti, tutti questi deprecati restauri si sono molto ridotti di proporzioni e il più subdolo si dimostrò quello nel perizoma del Bambino, che nessuno aveva avvertito.

 

Infatti le fotografie alla fluorescenza degli ultravioletti (fig. 19) hanno dato una pagina di perspicua, inconfondibile lettura;

 

mentre la radiografia (fig. 22), per quanto chiarissima, lasciava alcuni dubbi sulla consistenza effettiva della pittura autentica al disotto della larga chiazza nel perizoma del Bambino. Fatta di questa una sezione stratigrafica, si potè accertare l’esistenza, almeno parziale, della pittura originale, anche in quel punto, e perciò rimuovere la ridipintura.

 

 

Ma, più che per le limitatissime ridipinture, la tavola soffriva di due mali: di un’incurvatura (fig. 23) che tendeva ad accentuarsi sempre più, e per le chiazze e la fioritura della vernice aggiunta (fig. 20), per riprendere l’espressione con cui già questo danno veniva individuato nel 1892.

 

Perciò, in primo luogo, si doveva raddrizzare la tavola, operazione che in questo caso presentava maggiore difficoltà del solito, perché la tavola, per rarissima eccezione, risulta di legno di -noce, assai più duro e compatto dell’usuale legno di pioppo. Anche nell’uso del noce è chiaro l’influsso di tecnica fiamminga. Pertanto, una volta velato il dipinto al solito modo, si iniziò il raddrizzamento con tagli nella parte più curva, mentre le sverzature vennero applicate gradualmente a cominciare dal bordo interno, in modo da evitare il pericolo che “segnassero”. Il raddrizzamento fu ottenuto in modo perfetto.

Passando alla superficie pittorica, furono rimossi i vecchi restauri a vernice, e le stuccature che riempivano i solchi che aveva prodotto il colore restringendosi, sul risvolto azzurro del manto della Madonna (fig. 21).

È questa una caratteristica, che già compare nel giovanile ‘Polittico della Misericordia’ dello stesso Piero, e che fa legittimamente supporre l’uso dell’olio di lino nella mestica, anche se non impiegato come mestica esclusiva, secondo che appunto si suppone anche per la pittura del Van Eyck, e che scientificamente rimane ancora difficile ad accertarsi per le frazioni minime di materia su cui possono esperirsi le analisi. Comunque bisogna aggiungere anche un altro elemento tecnico che ravvicina questo dipinto alla prassi fiamminga: l’estrema sottigliezza, da passare inavvertita e non al microscopio, della preparazione. Rimosse le ridipinture, il resto della pulitura fu fatto a bisturi, asportando la vernice alterata, che ricopriva una patina più antica e questa fu conservata. I completamenti delle lacune si ridussero a ben poca cosa (fig. 24), non avendo, il dipinto, che poche escoriazioni, una volta rimosse le chiazze delle ridipinture. 17)

Il Polittico ora nella Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, fu già a S. Antonio delle Monache a Perugia, e raffigura la Madonna in Trono col Bambino, fra i Santi Antonio, Giovan Battista, Francesco ed Elisabetta d’Ungheria, nella cimasa l’Annunciazione, nella base S. Agata e S. Rosa (figg. 25, 30, 31),

 

                                                                           Fig. 30

 

e nella predella (figg. 32-38) le Stigmate, un Miracolo di S. Elisabetta e uno di S. Antonio. Fu trasferito nella Pinacoteca Civica di Perugia nel 1810.

         

Certamente subì nel tempo vari deterioramenti e restauri (l’ultimo nel 1920). Il Cavalcaselle 18) non particolareggiò lo stato della pittura altro che in relazione ai tre scomparti della predella: “tutte le dette tre tavolette sono molto mal ridotte, e in gran parte per modo ridipinte da sembrare a prima vista piuttosto copie che originali di Piero”. Generalmente l’involuzione gotica del Polittico, e l’aerea prospettiva della cimasa, la diversità quasi stridente tra questa, la parte mediana del polittico e le predelle, hanno fomentato una discreta diversità di opinioni nella critica, che danno elementi importanti per documentare nel tempo anche lo stato di conservazione delle varie parti.

Già il Cavalcaselle notava del Polittico: “Non è una delle migliori opere di Piero. Forse in essa si valse di qualche suo scolare o aiuto”. Il Witting 19) tradusse la differenza tra le varie parti in una audace ipotesi che l’Annunciazione della cimasa fosse più tarda del rimanente, ancorchè già ricordata dal Vasari insieme con le altre parti del Polittico. Ma soprattutto valse a dar credito all’ipotesi la differenza di luce e di colorazione della cimasa rispetto alle altre partii si insiste infatti per questa sul “Fülle von Helligkeit” e sull’intensità e la varietà dei timbri. L’ipotesi del Witting non fu accolta, ma anche di recente il Clark 20) insisteva sulla differenza fra il “Polittico” e la cimasa, ricalcando, tutto sommato, gli argomenti del Witting rispetto soprattutto all’uso della luce, e addirittura supponendo quasi il Polittico come un’esercitazione alla maniera antica, o come un’opera messa insieme da Piero stesso con pezzi disparati che si trovassero nella bottega.

La supposizione è meno audace di quel che si può credere, se si tiene conto di talune risultanze emerse nel restauro; in primo luogo la tavola della cimasa era più stretta del Polittico. Di qua e di là furono aggiunti, e originariamente, dei listelli. In secondo luogo, per quanto le foglie o gattoni gotici degli archi siano quasi interamente ridorati o rifatti, non c’è dubbio che ve ne furono in origine: ora, l’andamento dei bordi della pittura non segue esattamente il profilo degli archi. In genere, come nel sottostante Polittico, dove battevano le cornici la preparazione restava nuda. In questo caso, le aperture degli archi non sembravano previste o almeno non sembra che fossero previste al modo attuale. Rimane invece appurato l’andamento scalare della cimasa, dove, ancorché la cornice sia falsa, è chiaro che la pittura si arrestava al limite attuale. Pertanto, la possibilità che l’Annunciazione fosse stata pensata a parte, acquista una certa consistenza, rafforzata dalla radicale diversità della pittura. Tale diversità dovette particolarmente accusarsi all’epoca del penultimo restauro, tanto che si credé di poter equilibrare le varie parti dell’opera fra di loro, applicando una generale brunitura all’ Annunciazione, a mezzo di un beverone a tempera grigiastro che fu steso uniformemente sia sulla pittura antica che sulle stuccature e i restauri precedenti (figg. 26, 27); talchè non vi era dubbio dovesse essere rimosso. Ma, per la verità, neppure fu interamente rimosso, preferendosi assottigliarlo ed eguagliarlo come per una patina naturale del tempo. Nelle molte fotografie intermedie sia a colori che in nero, si rilevano facilmente e indubitabilmente le larghe campionature lasciate del temperone predetto e che attraversano vecchi restauri e stuccature, già tutte mimetizzate e uniformate  dall’impiastricciatura cinerea. Del resto anche nel quadrato di campione lasciato in basso è perfettamente riconoscibile la consistenza del temperone (fig. 27), al punto che un altro benevolo critico 21) insinuò che fosse stato tinto a bella posta per far apparire più evidenti i resultati della pulitura!

 

Questa finezza esegetica in compenso ripaga l’altra, di una eccessiva pulitura.

L’evidente diversità fra la cimasa, il polittico e la predella che, indipendentemente dal restauro e perfino dai precedenti restauri, ha dato origine alle ipotesi già accennate, è chiaro che non potesse riassorbirsi nel restauro attuale, per cui la differenza di timbri che sta fra la cimasa e il Polittico, neppure può riferirsi allo stato di conservazione, ma ad una collaborazione evidente, ancorché negata dal Longhi. Tale collaborazione, come noi già accennammo, 22) è documentata in uno stridente passaggio della veste della Madonna, in cui viene cambiata di colpo la tecnica di riproduzione del broccato d’oro.

 

E mentre nella parte vicino alla scollatura concorda con i broccati delle altre opere (fig. 28) più autografe di Piero, il trattamento meno fine, quasi confuso del resto del broccato accusa una mano ben diversa, tremolante.

Circa le altre operazioni di restauro, per quanto riguarda il supporto dei tre scomparti con la Madonna e i Santi, questo era libero di traverse fisse, ma rivelava un’incurvatura (convessa rispetto alla pittura), che da epoca imprecisata, ma almeno al 1920, esisteva già, né ora risultava aumentata. Ciò si desumeva in modo non equivoco per il fatto che, nella riapplicazione del basamento con i tondi delle Sante, basamento che è infisso alle tavole superiori, il precedente restauratore aveva compensato con due rinzaffi la curva degli scomparti così da poterci applicare “a tangente” le tavolette piane del basamento. Ciò dimostrava che, in un periodo valutabile circa ad una trentina d’anni, il legno degli scomparti non aveva fatto movimenti ulteriori, e pertanto, dovendosi ritenere stabilizzato, era prudente di non procedere a un raddrizzamento, che, resultando la curvatura assai ridotta, non si percepiva troppo alla visione globale dell’opera.

 

30

Viceversa per l’Annunciazione in cui già anticamente dovette scollarsi la quinta asse (colla figura della Madonna) ed era stata rincollata non esattamente (figg. 29, 30), anche a causa della diversa curvatura della quarta e quinta asse, fu operato il raddrizzamento e la nuova giuntura. Recuperi notevoli poterono farsi nelle tre tavolette della predella (figg. 32-38), già tanto guaste e ridipinte da parere, come aveva detto il Cavalcaselle, delle copie piuttosto che degli originali di Piero.

Nel ‘Miracolo del Bambino caduto nel pozzo’  si è potuto recuperare la posizione esatta della mutila figura maschile a destra (figg. 32, 33, 34), a cui erano stati rifatti i piedi in posizione errata e di colore diverso da quello rosso originale. Le ampie lacune di queste scene furono campite con una stuccatura leggermente zigrinata, in modo da togliere il senso di ottusità greve che assumono le stuccature campi te a tinta così detta neutra. 23)

I precedenti restauri che già furono brevemente descritti nel catalogo 24) della Mostra che, con altri dipinti, restaurati, fu tenuta l’anno scorso a Palazzo Venezia, non vennero pubblicati nel Bollettino dell’Istituto Centrale del Restauro, sia perché richiedono un materiale illustrativo più che quadruplo anche di quello modestissimo attuale, sia perché un tal materiale, per essere davvero esplicito e persuasivo, va visto nell’originale.

Pertanto l’Istituto ha in programma di realizzare la pubblicazione delle cartelle con fotografie originali in nero e a colori, e corredate di tutte le più minute osservazioni tecniche. Tali cartelle comprenderanno i restauri più importanti eseguiti in questi ultimi anni: i dipinti dell’Angelico, questi di Piero della Francesca, gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti e di Simone Martini a Siena, il Bonifacio VIII di Giotto in S. Giovanni Laterano. 25)


 

Note

 

1) Fra questi il prof. Enzo Carli, Soprintendente alle Gallerie e ai Monumenti di Siena, e il dott. Pietro Zampetti, allora Soprintendente alle Gallerie di Urbino.

2) Non essendo stato possibile riprodurre neanche la decima parte della documentazione fotografica, si supplisca con i particolari a luce radente delle figg. 3, 13, 14. Tutta la superficie era in quello stato.

3) L’analisi fitopatologica fu eseguita all’Istituto Superiore di sanità a Roma.

4) PICHI, La Vita e le Opere di Piero della Francesca, Sansepolcro 1892, p. 86.

5) Al quale proposito non convince la nuova interpretazione offerta dal Clark (Piero della Francesca, London 1951, p. 19) che nel cortigiano barbuto vedrebbe un greco, ispirato al tipo del Paleologo. Dove che il Paleologo è chiaramente adombrato nella persona di Pilato, che riproduce copricapo e profilo di Giovanni VIII Paleologo, come risulta nella medaglia del Pisanello, e come appare nella testa di Costantino nell’affresco di Arezzo con la Vittoria contro Massenzio. Quel copricapo non è infatti casuale nella medaglia del Pisanello, ma risulta proprio la foggia “occidentalizzata” della tiara imperiale, cosi come si vede anche nell’affresco del 1445 alla Pantanassa a Mistrà, raffigurante Manuel Laxaris Chatzikes.

6) CAVALCASELLE e CROWE, The new History, London 1864, p. 546 e St. d. Pitt. in Italia, Firenze 1898, VIII, p. 222, n. 1.

7) Ecco l’elenco specifico delle documentazioni fotografiche in nero e a colori: 7033 (Anderson) insieme; 7034 (Anderson) part. Cristo e fragellatori; 7036 (Anderson) partic. Duca d’Urbino e consigliere; 7035 (Anderson) partic. Duca d’Urbino e consiglieri; 17563 (Alinari) insieme; 17564 (Alinari) partic. Duca d’Urbino e consiglieri; Fotogr. eseguita ad Urbino prima del 1950 (prof. Zampetti); partic. Duca d’Urbino e consiglieri; Fotogr. eseguite ad Urbino per la Soprintendenza nel 1950; partic. Duca d’Urbino e consiglieri, come sopra; insieme del dipinto. Fotografie eseguite ali ‘Istituto Centrale del Restauro: 5362 dopo la prima stiratura; 5363 durante la pulitura; 5376 macrofot. della colonna centr. con la spaccatura in basso; 5378 macrofot. dello scomparto del soffitto; 5343 part. a grandezza naturale, prima del rest. ; 5344 id.; 5345 id.; 5346 id.; 5347, id. ; 5348 id.; 5349 id.; 5350 id. ; 5351 id.; 5352 id .; 5353 id.; 5354 id.; 5355 id.; 5356 id.; 5357 id.; 5358 insieme pro del rest.; 5359 insieme agli ultrav., prima del rest.; 5360 insieme a luce radente, pr. del rest.; 5361 partic. a luce radente, pr. del rest.; 5364 insieme durante la pulitura; 5365 partic. durante la pulitura; 5366 partic. durante la pulitura; 5367 insieme dopo la pulitura; 5368 retro, prima del rest.; 5369 bordo del supporto con la curvatura, prima del raddrizzamento; 5370 dopo la scollatura delle assi; 5371 macrof. della testata della tavola; 5372 Macrof. di una giuntura delle assi; 5373 retro dopo il rest. con la traverse lignee; 5373 bis id. Con le traverse metalliche; 5374 macrofot. della testa del Cristo, pr. del rest.; 5375 macrofot. della Testa di Pilato, pr. del rest.; 5376 macrofot. della colonna centrale; 5377 macrofot. della modanatura della parete, notare lo spostamento delle linee; 5378 Macrofot. del soffitto; 5379 macrofot. della mano di Tommaso Agnello da Rimini, prima della remoz. della stuccat.; 5380 macrofot. del braccio di Pilato, dopo la remoz. della stucc., not. una parte di pittura recuperata; 5381 macrof. della mano di Tommaso Agnello dopo la remozione della stucc.; 5382 macrofot. della mano di Oddantonio, durante la remoz. della stucc.; 5383 partic. a grandezza natur. dopo il rest.; 5384 id.; 5385 id.; 5386 id.; 5387 id.; 5388 id .; 5389 id.; 5390 id.; 5391 id.; 5392 id.; 5393 id.; 5394 id.; 5395 id.; 5396 id .; 5397 id.; 5398 insieme, dopo il rest. Positivi a colori in Ektacrome : insieme prima del restauro; 15 positivi a colori, a grandezza naturale dopo il restauro.

8) Nel Giornale La Nazione del 22 aprile 1954: a cui già risposi nel numero del 26 aprile 1954 nel seguente tenore : “Rigetto sdegnosamente l’accusa che nel restauro dei due dipinti predetti sia stata spinta la pulitura oltre quel limite di sicurezza che è rappresentato da un velo di patina, chiaramente visibile e la cui presenza è sperimentalmente dimostrabile. Comunque, trattandosi di argomento tecnico, intendo rispondere particolareggiatamente, sul Bollettino d’Arte della Pubblica Istruzione, sia a questi che agli altri apprezzamenti, i quali sotto l’egida di un presunto giudizio tecnico, si risolvono in una vera e propria diffamazione, e trasportano a carico di un Istituto Statale, la cui opera è sotto controllo non del solo sottoscritto ma di un Consiglio Tecnico di studiosi ed esperti, uno spiacevole attrito personale”.

A proposito della quale ultima riga si veda l’Immagine, 1951, II, pp. 16, 563.

9) R. LONGHI, Piero della Francesca, Milano 1927, pp. 42-43 e e 2° ed. 1946, pp. 42-43.

10) In Paragone, n. 53, Editoriale, p. 4.

11) Ecco dove si trovano i relativi testi: Bollettino Istitulo Centrale del Restauro, n. 1 “Il fondamento teorico del restauro”, pp. 5-12 – ib. n. 2. “Il ristabilimento dell’unità potenziale dell’opera d’arte”.. pp. 3-9 – ib. 11 . 3 -4 “Some factual observations about varnishes and glazes”, pp. 9-29 – ib. n. 11 -12 “Il restauro delle opere d’arte secondo l’istanza della storicità”, pp. 115-119 – ib. n. 13 “Il Restauro dell’opera d’arte secondo l’istanza estetica o dell’artisticità .. pp. 3- 8.

12) CAVALCASELLE e MORELLI in Le Gallerie Nazionali Italiane, 1896, II, p. 261.

13) CAVALCASELLE e CROWE, op. cit., Firenze 1898, VIII, p. 253.

14) Arch. St. dell’Arte, V, 1892 . p. 362. insieme dopo la stucc.; 5823 id. dopo il rest.; 5824 predella macrofot. panno dest. durante il rest.; 5825 polittico parto centr o durante e il rest.; 5826 polittico part o centro dopo il rest.; 5827 id. pann o sin. durant il rest.; 5828 id. dopo il rest.i 5829 panno destro durante il rest.; 5830 id. dopo i I resto Negativi Agfacolor: Polittico dopo il restauro; Cuspide prima e dopo il restauro.

15) LONGHI, op. cit., l a ed ., 179 e 28. ed., p . 182.

16) K . CLARK , op. cit., p. 47.

17) Elenco delle documentazioni fotografiche: 5597 pr. del rest; 5598 retro pro del rest.; 5599 partic. Angelo pro del rest.; 5600 partic. panneggio Bambino pr. del rest., 560r partic. delle teste pr. del rest.; 5602 a luce radente dall’alto pr. del rest.; 5603 curvatura della tav.; 5604 ai raggi ultra V. pr. del rest.; 5605 a luce radente dopo il raddrizzamento della tav.; 5605 riprod. della radiogr. in negativa; 5607 partic. manto del Bambino con le ossidazioni; 5608 partic. panneggio del Bambino con tassello d’ossidaz.; 5609 macro – fot. id.; 5610 partic. del manto azzurro della Madonna con stuccature di precedenti restauri per colmare il restringimento del colore; 5611 durante il rest.; 5612 dopo la pulitura; 5613 dopo la stuccatura; 5614 tasselli con le varie fasi di pulitura; 5615 dopo il rest.; 2 radiografo stampate per contatto.

Negativi Agfacolor: insieme prima e dopo il restauro.

18) op. cit. pp. 237-8.

19) WITTING, Piero dei Franceschi, Strassburg, 1898, p . 120.

20) Op. cit., pp. 45-46. Si veda inoltre il Catalogo della Mostra di Quattro Maestri del Primo Rinascimento, Firenze 1954, pp. 112-114.

21) Il sospetto, gratuitamente maligno, fu avanzato da un letterato, M . Berne-Joffroy, nostalgico di Violet-Le Duc e nemico delle documentazioni, nella Nouvelle Revue Française dell’agosto ]953, a cui già rispondemmo, anche a proposito della ‘Flagellazione’ nel numero del nov. 1953 della stessa rivista (pp. 933-34). Nel breve commento, M . Berne-Joffroy ritornava sui precedente argomento, a cui si risponde con quanto precede .

22) Nel Catalogo della M ostra dei dipinti restaurati tenuta a Palazzo Venezia nel 1953. FIG. 38 – Il miracolo di S. Antonio (dopo il restauro).

23) Di tutto il Polittico furono nel complesso eseguite le seguenti documentazioni: 5781 insieme pro del rest. ; 5782 prede lla pro del rest.; 5783 cuspide pr. del rest.; 5784 cuspide part. testa della M adonna, pro del rest.; 5784 bis id.; 5785 id.; 5786 cuspide parto testa Ange lo pr. del rest.; 5787 M adonna col Bambino, pr. del rest.; 5788 testa Madonna pro del rest.; 5789 id.; 5790 partic. Bambino e manto a luce radente pro del rest.; 5791 id. pro del rest. i 5792 manto a luce radente ; 5793 panno sinis. Santi, pro del rest.; 5794 idem parti c. teste; 5795 id. parto vesti; 5796 pannello dest. Santi pro del rest.; 5797 id. partic. teste; 5798 panno sinistro rosone; 5799 panno desto rosone; 5800 cuspide agli ultrav. pr o del rest.i 5801 Madonna e panno sinist. agli ultravioletti; 5802 pann o destro id.; 5803 panno sinis. agli infrarossi 5804 predella panno sinis. pro del rest.; 5805 id.; 5806 panno centro id.; 5807 panno dest.; 5808 id . a lu ce radente; 5809 id. 5810 panno si n. durante il rest.; 58II predella panno centro durante la pulit.; 5812 id. durante la stuccat.; 5813 panno dest. durante la stuccat.; 5814 id .; 5815 id . durante il rest.; 5816 panno sin. dopo il rest.; 5817 id.; 5818 panno centro dopo il rest.; 5819 panno dest, id.; 5820 cuspide, partic. archi te t. durante il rest.; 5821 id. parto angelo dopo il rest.; 5822 id.

24) Cfr. n. 22.

25) Per altri restauri, su cui si veda il prossimo numero (17) il Longhi ha fatto generiche osservazioni, del Boll. Ist. Centrale del Restauro.


 

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