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Busto di Michelangelo il Giovane


Ringrazio la Direzione della Rivista “La Predella” per avermi permesso di pubblicare questo articolo.

(Paolo Pianigiani)


MICHELANGELO, LEONARDO, E LA CASA BUONARROTI

di Marcella Morongiu 

Da “La Predella”, n. 32, 1 gennaio 2013

Sarà bene chiarire subito che il Leonardo di cui si tratterà non è il genio di Vinci, ma Leonardo Buonarroti (1522 – 1599), nipote del grande artista: figura oscurata nei secoli dall’ombra dello zio e da quella del figlio, anch’egli chiamato Michelangelo, poeta e intellettuale della corte di Cosimo II e Ferdinando II, noto soprattutto per aver edificato a memoria del grande avo l’originale apparato celebrativo della Casa Buonarroti. Leonardo, invece, è ricordato soltanto quale erede dell’ingente patrimonio immobiliare e delle opere d’arte dello zio, e per le ragguardevoli donazioni fatte, alla morte di questi, a Cosimo I de’ Medici [2].

Nonostante Leonardo sia stato forzato a donare le opere più belle e monumentali, nelle sue mani rimasero la Battaglia dei centauri, alcuni bozzetti e un buon numero di disegni [3], oltre che i documenti privati – lettere, rime, appunti, contratti, libri di conti – che da quel momento diventarono nucleo fondamentale delle collezioni di famiglia.

Sul ruolo di Leonardo come custode delle invenzioni michelangiolesche, che poteva o meno concedere allo studio da parte di altri artisti, porta a riflettere – dopo le importanti considerazioni di Paul Joannides – il catalogo della recente mostra dedicata ad Andrea Commodi dalla Casa Buonarroti [4], che si apriva con il serrato confronto di Andrea con disegni e bozzetti di Michelangelo, con ogni probabilità conservati nella casa di famiglia al momento delle copie [5]. Se in passato Gianni Papi e Paul Joannides avevano datato questi studi agli anni giovanili del Commodi, o comunque prima del viaggio a Roma del 1592 [6], quando gli originali erano di proprietà di Leonardo, nel suo saggio in catalogo Annamaria Petrioli Tofani lascia la questione più aperta, ipotizzando più di una stagione di studio da parte di Andrea, prima e dopo il soggiorno romano [7], e, di conseguenza, durante la reggenza della Casa Buonarroti di Leonardo e poi del figlio Michelangelo il Giovane, i rapporti del quale col Commodi sono documentati, anche grazie ad alcune lettere e al bellissimo autoritratto a pastello di Andrea, donato a Michelangelo il Giovane e ancora parte delle collezioni buonarrotiane [8].

Al di fuori di questi due aspetti e momenti della sua vita, la figura di Leonardo Buonarroti, in particolare come committente di opere d’arte, come custode delle memorie familiari, e come amico di artisti, non è stata indagata [9].

Cristofano Allori, Ritratto di Michelangelo il Giovane

Nell’ultima stagione della sua vita Michelangelo aveva preferito la compagnia degli amici a quella dei parenti, limitando i rapporti con questi a formalità esteriori e all’invio di denaro. Non fece eccezione con Leonardo, l’erede designato, al quale voleva garantire rendite finanziarie e fondiarie e un matrimonio adeguato al rango della famiglia, eppure si dimostrava spesso infastidito dalle sue lettere e dalle sue visite. Per questo motivo le relazioni di Leonardo con lo zio erano ridotte al minimo, e frequentemente mediate dagli amici di questi: Luigi del Riccio [10] nei primi anni quaranta, e successivamente Giorgio Vasari, Sebastiano Malenotti, Tiberio Calcagni, Lorenzo Mariottini [11]. Anche quando la fine del grande artista era ormai imminente, furono i suoi amici a scrivere a Leonardo per raccomandargli di affrettarsi ma, nello stesso tempo, per rassicurarlo che con la loro presenza nulla sarebbe mancato a Michelangelo [12].

Mentre le proprietà e gli oggetti della sua attività artistica (studi, modelli e arnesi) – anche quelli conservati a Roma – erano destinati a Leonardo, Michelangelo aveva lasciato agli amici i suoi disegni più belli e finiti tra quanti rimasti in suo possesso. Si apprende dagli atti redatti alla sua morte che uno dei cartoni, raffigurante Cristo e la Vergine, fu consegnato a Tommaso de’ Cavalieri, che in seguito ne reclamò il possesso in quanto donatogli in vita da Michelangelo [13], mentre di quelli consegnati a Jacopo (del Duca o Rocchetti) si trova notizia in una lettera di Daniele da Volterra a Giorgio Vasari [14]. Come risulta da questa lettera, Leonardo si era impegnato a recuperarli per donarli al duca Cosimo, insieme alle opere rimaste a Firenze, come caldeggiava il Vasari in una lettera del 4 marzo 1564 [15].

Se un rapporto tra Leonardo Buonarroti e Daniele da Volterra è documentato già dall’estate del 1563, quando Leonardo scriveva al Ricciarelli per avere notizie sulle condizioni di salute dello zio ed egli prontamente rispondeva per rassicurarlo [16], è probabile che in occasione del soggiorno romano della primavera 1564 Leonardo ebbe occasione di stringere amicizia anche con gli altri artisti che erano stati parte del mondo affettivo dello zio, come Jacopo del Duca e Jacopo Rocchetti, insieme a Diomede Leoni, con i quali iniziò un fitto rapporto epistolare e uno scambio di favori non appena tornato a Firenze.

È altresì probabile che, in quella occasione, giungessero presto a uno stato di criticità i suoi rapporti con Tommaso de’ Cavalieri. Tra le persone che assistettero Michelangelo fino agli ultimi istanti della vita, questi era certamente l’amico più caro e di lunga data; per il suo ruolo di primo piano nella vita politica e culturale di Roma, fu lui, insieme a Diomede Leoni, a far apporre il proprio sigillo alla cassa contente gli averi dell’artista, a conservarne la chiave e ad assistere alla sua apertura in presenza del Governatore [17]. Leonardo era a conoscenza dello stretto legame tra lo zio e il patrizio romano almeno fin dal 1561, quando Tiberio Calcagni lo informava delle difficoltà incontrate da lui e dagli altri amici (Tommaso de’ Cavalieri e Francesco Bandini) nel frequentare l’artista in balia dei suoi servi [18], che già qualche anno prima Sebastiano Malenotti aveva definito «dua ragazzacci» [19]. Nell’estate di quello stesso anno il Calcagni informava Leonardo di un malessere avuto da Michelangelo, che era stato assistito dal Cavalieri e dal Bandini [20].

La spia di un rapporto anche personale a Roma tra Tommaso de’ Cavalieri e Leonardo Buonarroti si può trovare in un passo della lettera scritta dal Vasari al giovane Buonarroti un mese esatto dopo la morte di Michelangelo, quando si trovava a Roma per sbrigare le incombenze burocratiche legate all’eredità. Per convincerlo a recuperare dai Bandini la Pietà iniziata da Michelangelo [21], Vasari lo invitava a verificare presso gli amici – «et lo sa anche Dani[e]llo et m. Tomao de’ Cavalieri» – la volontà dell’artista di collocare il gruppo marmoreo sulla propria sepoltura [22].

Rispetto agli altri amici, tuttavia, Tommaso non si dimostrò accondiscendente alle richieste di Leonardo: fu infatti l’unico a rifiutarsi di cedergli il cartone che gli aveva donato Michelangelo, e – dato lo zelo dimostrato dal giovane Buonarroti nell’accontentare Cosimo I – si può ipotizzare che proprio questa sia stata la causa del raffreddamento dei rapporti tra i due.

Mentre gli scambi epistolari tra Leonardo Buonarroti e Diomede Leoni, Daniele da Volterra, Jacopo del Duca e Jacopo Rocchetti si mantennero vivi e regolari per anni, non ci sono tracce di ulteriori contatti tra il Cavalieri e Leonardo dopo il rientro di questi a Firenze all’inizio di maggio 1564: appena tornato, il 13 e il 18 maggio Leonardo scrisse a Diomede Leoni, che rispose il 27 rassicurandolo di aver portato i suoi saluti a Daniele da Volterra, Jacopo del Duca e Jacopo Rocchetti, tacendo il nome di Tommaso de’ Cavalieri [23]. Anzi, quando nel mese di giugno il Buonarroti inviò a Daniele un carico di trebbiano da distribuire alle persone che avevano assistito Michelangelo negli ultimi momenti (lo stesso Daniele, il medico Federigo Donati, Diomede Leoni, Tommaso de’ Cavalieri, Jacopo del Duca e Jacopo Rocchetti), il Ricciarelli riferì «a ttutti è stato gratissimo presente, sì per venire onde e’ viene e sì per la rimenbranza di quella santa memoria, e sì per essere de la sorte che è: dico perfettissimo. Tutti ànnovi ringratiato assai, e credo lo faranno ancora con lettere» [24]: mentre sono pervenuti i ringraziamenti di Diomede Leoni, Jacopo del Duca e Jacopo Rocchetti, non vi è traccia di lettere da parte di Tommaso.

Che non ci fosse stata una spaccatura all’interno del gruppo degli amici romani di Michelangelo, ma che la rottura avesse riguardato soltanto il Cavalieri e Leonardo, lo dimostrano le commissioni a Jacopo Rocchetti e Michele Alberti, relative alla decorazione del Palazzo dei Conservatori, di cui Tommaso era responsabile insieme a Prospero Boccapaduli [25].

Al Rocchetti e a Jacopo del Duca [26], come assistenti di Daniele da Volterra, Leonardo aveva commissionato l’esecuzione della tomba di Michelangelo già dalla fine di febbraio, come lo stesso Daniele comunicava a Giorgio Vasari all’inizio di marzo. L’idea era quella di collocare sulla sepoltura il gruppo della Vittoria [27], accompagnato da qualche altra statua di Michelangelo rimasta a Firenze nello studio di via Mozza. Immediato fu il suggerimento del Vasari a Leonardo, di pensare anche a un progetto alternativo che non prevedesse la Vittoria [28]; una settimana più tardi Vasari comunicava a Leonardo la benevolenza dimostrata da Cosimo I nel concedergli di utilizzare quel gruppo nonostante il desiderio di entrarne in possesso, e tuttavia Giorgio suggeriva, ora esplicitamente, di donare le statue di via Mozza al duca e far progettare a Daniele una nuova versione della tomba [29], della cui esecuzione si sarebbero occupati gli artisti fiorentini dell’Accademia [30]. Questo progetto restò in vigore a lungo, se soltanto all’inizio di febbraio 1565 Leonardo scriveva a Daniele e a Diomede Leoni per comunicare la decisione di far realizzare la tomba ad artefici fiorentini: una decisione approvata da Daniele, Jacopo del Duca e Jacopo Rocchetti, e dal Leoni [31], che chiedeva però di essere consultato a proposito dell’epitaffio.

Quest’episodio non incrinò gli ottimi rapporti tra Leonardo Buonarroti e gli amici romani dello zio: poco prima di lasciare Roma, Leonardo aveva dato in affitto a Daniele la casa di Michelangelo in Macel de’ Corvi [32], nella quale andarono ad abitare anche Jacopo del Duca e la sua famiglia [33]. L’accordo doveva prevedere la possibilità da parte di Leonardo di lasciare nella casa oggetti di sua proprietà, come dimostra la vicenda del blocco di marmo abbozzato da Michelangelo con una figura di San Pietro in abito di papa, che Jacopo del Duca chiese a Leonardo di far stimare per poterlo inserire nel monumento funebre a Paolo IV, dal momento che «quando si partì da Roma ci lasciò detto che, trovandosene spaccio di detta bozzia di detto Papa, dovessimo procurare di trovare qualche prezzo il quale dovessi andare in utilità o di V. S. o di la fabrica di sua casa, o come a lei piacerà» [34].

Lo stesso Jacopo del Duca scriveva a Leonardo nel marzo del 1565 di aver dato inizio a un tabernacolo bronzeo, basato su un disegno di Michelangelo che lui stesso aveva avuto modo di vedere a Roma [35], anche se non è chiaro se il disegno si trovasse nella casa dell’artista o se questi in vita ne avesse fatto dono all’amico.

È possibile che altri oggetti appartenuti a Michelangelo fossero rimasti nella casa romana: sebbene non sussistano certezze, è suggestivo pensare che – almeno una parte – dei libri e manoscritti inventariati alla morte di Daniele fossero appartenuti a Michelangelo, in particolare quelli riguardanti l’architettura [36], alla quale il Ricciarelli non si era mai dedicato, o un’edizione dell’amatissimo Dante [37].

Oltre al progetto, poi abbandonato, per la tomba di Michelangelo in Santa Croce a Firenze, Leonardo commissionò a Daniele l’esecuzione di due ritratti bronzei dello zio: se già l’11 giugno 1564 il Ricciarelli informava Leonardo di aver realizzato le forme in cera [38], l’11 febbraio dell’anno successivo si giustificava per non aver ancora eseguito il getto a causa di problemi relativi al monumento funebre di Enrico II, che ritardavano la fusione del bronzo [39]. L’esito positivo della fusione e l’imminente rinettatura delle teste vennero comunicati a Leonardo soltanto nel mese di settembre [40], ma alla morte di Daniele il 4 aprile 1566 la rinettatura non era ancora stata eseguita, e soltanto alla fine del 1574 Michele Alberti si incaricò di spedirle a Firenze [Fig. 1] [41].

Fig. 1. Daniele da Volterra e Giambologna, Busto di Michelangelo, 1564-1566 (la testa), 1570 circa (il petto), Firenze, Casa Buonarroti, inv. 61

Pur rimanendo negli anni in rapporto con il compare Jacopo del Duca, e con gli eredi della bottega di Daniele da Volterra, Jacopo Rocchetti e Michele Alberti, Leonardo non si servì di loro per commissionare opere d’arte, verso le quali non dimostrò mai particolare interesse: lo testimoniano le donazioni a Cosimo I delle opere più importanti dell’eredità michelangiolesca e la sostanziale passività con la quale subìla volontà del duca e degli accademici nelle vicende legate ai funerali e alla sepoltura di Michelangelo.

Le uniche commissioni di cui rimane traccia attraverso il carteggio attestano il suo interesse per la ceramica e per l’araldica (o quanto meno per la celebrazione della propria famiglia): per la nascita del primogenito commissionò a Cafaggiolo alcune stoviglie da parto [42], cui forse appartenne il piatto ancora conservato in Casa Buonarroti con lo stemma di Buonarroto Buonarroti, padre di Leonardo, che diede il suo nome al primo figlio [Fig. 2] [43].

Fig. 2. Manifattura di Cafaggiolo, Piatto con lo stemma di Buonarroto Buonarroti, 1554
Firenze, Casa Buonarroti, inv. 79

Durante il soggiorno romano della primavera 1564, Leonardo commissionò dei vasi con stemma ad Antonio del Francese, già servo di Michelangelo, che alla morte del maestro lasciava Roma per tornare a Casteldurante; l’interesse di Leonardo per questa commissione, è testimoniato dai solleciti per la ritardata consegna [44].

La passione di Leonardo per oggetti di arredo e non per opere di maggiore impegno artistico è testimoniata dalla richiesta di restituzione di uno specchio appartenuto allo zio, avanzata ad Antonio del Francese [45]: richiesta che appare ai nostri occhi davvero singolare, se si considera che Leonardo lasciò nella casa romana le sculture iniziate da Michelangelo [46].

Da un’attenta lettura del carteggio di Leonardo, si può escludere la commissione da parte sua della copia bronzea della Madonna della scala [47]: [Fig. 3] piuttosto che un ricordo dell’opera originale di Michelangelo donata al duca Cosimo, si dovrà considerare un’opera commissionata da Daniele da Volterra di cui Leonardo si era incaricato, e rimasta nelle sue mani dopo la morte del Ricciarelli. Il primo cenno all’opera è in una lettera dell’11 giugno 1564, nella quale Daniele chiedeva a Leonardo di farne realizzare la forma in gesso, promettendo di restituirgli i denari spesi [48]; sull’argomento Daniele tornava otto mesi più tardi, sollecitando Leonardo a far realizzare il calco in gesso, e dichiarando il proprio personale interesse: «Circha al far formare la Madonna di bassorilievo, poiché adesso l’è in mano de m. Giorgio [Vasari], se ben non v’è il Marignolle sarebbe forse bene, anzi che la renda, farla formare a qualchuno altro, che non può essere che m. Giorgio non abbia conoscenzia di qualche persona atta a fare tale effetto, che invero il formare non vuol altro che diligenzia. Se voi vedete di potere far che la si facci, a me sarà molto charo» [49]. Con tutta probabilità, alla morte di Daniele da Volterra la copia bronzea doveva essere in corso di realizzazione o appena conclusa, e per questa ragione fu collocata nelle stanze della casa di via Ghibellina [50].

Doveva concentrarsi su questa, sebbene in età avanzata, il mecenatismo di Leonardo. Dopo aver ristrutturato e parzialmente modificato le abitazioni donategli da Michelangelo in occasione delle nozze con Cassandra Ridolfi, celebrate nell’aprile 1553 [51], nel 1583 comprava un’altra casa nell’area tra via Ghibellina e via Santa Maria (attuale via Michelangelo Buonarroti) e nel 1590 iniziava un’impegnativa ristrutturazione dei diversi immobili di sua proprietà, finalmente conglobati in un palazzo signorile [52]. I successivi e più radicali interventi promossi dal figlio Michelangelo il Giovane hanno cancellato l’impronta voluta da Leonardo per la dimora di famiglia, ma è forse possibile riconoscerne una traccia nella corte interna, secondo una recente ipotesi di Pietro Ruschi, che ritiene il decoro geometrico e i mensoloni in pietra di gusto tardo-manierista e compatibili con la ristrutturazione promossa da Leonardo [53].

Nei lavori decisi per la propria casa, dunque, Leonardo si presentava alla sua città perfettamente aggiornato sul gusto dominante. E questo dato non stupisce se si considera l’amicizia che lo legò per lunghi anni a Giorgio Vasari. Documentata nel carteggio a partire da una lettera che l’aretino inviava da Roma nel settembre 1551, con la quale si faceva portavoce del desiderio di Michelangelo di veder concluse le pratiche per il matrimonio del nipote [54], l’amicizia tra i due doveva essere di molto precedente, a giudicare dal tono amichevole dei discorsi, e può forse risalire ai primi anni quaranta, quando Vasari frequentava l’entourage di Ottaviano de’ Medici, di cui doveva essere parte anche Leonardo, se nel gennaio 1546 si rivolgeva a lui per essere raccomandato a Lorenzo Ridolfi, in occasione di un viaggio a Roma provocato da una grave malattia di Michelangelo [55].

Lo scambio epistolare tra Vasari e Leonardo subisce un’interruzione a partire dalla metà degli anni cinquanta, quando Giorgio tornò stabilmente a Firenze al servizio di Cosimo I, ma i rapporti tra i due proseguirono, come attesta una lettera di Sebastiano Malenotti a Leonardo del 16 gennaio 1557, nella quale affrontava il problema del ritorno di Michelangelo a Firenze, e suggeriva a Leonardo di far intervenire Giorgio Vasari o Bartolomeo Ammannati [56], che si prestarono nell’inutile tentativo di convincere il vecchio artista [57].

La corrispondenza riprese, e fittissima, quando Leonardo si recò a Roma per la morte dello zio nel febbraio 1564. Arrivato a Roma il 24, Leonardo scrisse subito una lettera alla moglie, al prete Giovanni di Simone e a Giorgio Vasari [58]; questi rispondeva il 4 marzo, dando inizio al carteggio relativo alle esequie solenni che il duca Cosimo voleva tributare a Michelangelo e alla sepoltura del maestro [59]. In queste lettere il Vasari, pur assolvendo gli obblighi connessi al suo ruolo di curatore degli interessi collezionistici del duca, non manca di confermare il suo affetto per Leonardo e per la memoria del grande zio, e il giovane Buonarroti ricambiava l’amicizia e la fiducia affidando a Giorgio l’incarico di ricevere a Firenze la salma di Michelangelo e di occuparsi delle pratiche doganali e del trasferimento in Santa Croce [60].

Anche dopo la conclusione delle celebrazioni e l’avvio della realizzazione del monumento funebre, le ottime relazioni tra Vasari e Leonardo proseguirono, tant’è che l’aretino poté approfittare di un viaggio a Roma di quest’ultimo per avere da Federico Zuccari del materiale necessario al testo dell’edizione giuntina delle Vite e per recapitare una lettera al pittore Giulio Piacentino [61]. Ancora tra il 1571 e il 1572 Leonardo si rivolgeva al Vasari per avere una stima del marmo abbozzato da Michelangelo con San Pietro in abito di papa [62], e viceversa, alla fine del 1573, Giorgio poteva contare sulla sua collaborazione per l’acquisto, da parte dell’Opera di Santa Maria del Fiore, di due blocchi di marmo conservati in via Mozza [63].

Il carteggio del periodo del soggiorno romano di Leonardo (febbraio-maggio 1564), dimostra i buoni rapporti di quest’ultimo con il duca Cosimo, che già nei due anni precedenti la morte dello zio si era fatto garante dei suoi diritti ereditari attraverso l’ambasciatore a Roma Averardo Serristori: nelle istruzioni fornite puntualmente dal Vasari sui passi da compiere nella delicata fase dell’acquisizione dell’eredità michelangiolesca, e del tributo da offrire al duca di Firenze – puntualmente seguite da Leonardo – appare chiaro come quest’ultimo fosse ammesso a frequentare la corte, poiché gli viene suggerito di non scrivere lettere al duca ma di riferirgli di persona [64]. La fedeltà alla casata medicea venne ricompensata con la nomina a membro del Consiglio dei Dugento, avvenuta il 14 luglio 1564, il giorno delle esequie di Michelangelo in San Lorenzo [65].

Ottimi rapporti Leonardo dovette intrattenere anche con Francesco I, e soprattutto con Bianca Cappello: in diverse occasioni, tra il 1574 e il 1578, Diomede Leoni si rivolse a lui per recapitare delle lettere [66] alla granduchessa e per sollecitarne la risposta [67].

Se quanto finora esposto non è certo sufficiente a elevare Leonardo Buonarroti al livello del grande zio e del figlio terzogenito, servirà a riscattarlo almeno un poco dal ritratto di «personaggio scialbo», «dotato di modeste qualità e dedito soprattutto alle sue faccende personali» che «non dovette avere grande inclinazione per la vita pubblica» [68] che la bibliografia ci ha finora tramandato.



NOTE

[1] Per i suggerimenti, gli spunti di riflessione e l’aiuto ricevuto, ringrazio Barbara Agosti, Elisabetta Archi, Gerardo de Simone, Elena Lombardi, Giuliana Marongiu, Matteo Marongiu, Marino Marini, Pina Ragionieri, Pietro Ruschi.

[2] Leonardo, ascoltando i consigli dell’amico Giorgio Vasari, donò al duca i quattro Prigioni e la Vittoria, scolpiti per la tomba di Giulio II e rimasti nella bottega dell’artista in via Mozza, la giovanile Madonna della scala, poi rientrata nelle collezioni di famiglia per la liberalità di Cosimo II,e un cospicuo numero di disegni (cfr. Il Carteggio indiretto di Michelangelo, a cura di P. Barocchi, K. Loach Bramanti, R. Ristori, 2 voll., Firenze 1988-1995, vol. I, p. LVII).

[3] Tenendo conto del fatto che a più riprese durante la sua vita Michelangelo bruciò i propri disegni, e che spesso ne faceva dono agli amici.

[4] Andrea Commodi dall’attrazione per Michelangelo all’ansia del nuovo, catalogo della mostra, Firenze 2012, a cura di G. Papi e A. Petrioli Tofani, Firenze 2012.

[5] Si veda, a questo proposito, il circostanziato ragionamento di Paul Joannides (The drawings of Michelangelo and his followers in the Ashmolean Museum, Cambridge 2007, pp. 18-21, 41-42 nota 123), che mi sembra assolutamente convincente.

[6] G. Papi, Andrea Commodi, Firenze 1994, pp. 150-153.

[7] A. Petrioli Tofani, Andrea Commodi e il disegno, in Andrea Commodi, cit., pp. 49-69, in part. p. 57.

[8] Cfr. G. Papi, in Andrea Commodi, cit., pp. 88-89, n. 2. Per i rapporti tra Andrea Commodi e Michelangelo Buonarroti il Giovane, si veda S. Bruno, Intorno ad Andrea Commodi, artista libero e passionale, in «Arte Cristiana», 838, 2007, pp. 31-48, in part. pp. 36-38, 47 nota 115).

[9] Su di lui si veda il profilo biografico in Il Carteggio indiretto, cit., vol. I, pp. L-LIX.

[10] Si veda E. Steinmann, Michelangelo e Luigi del Riccio, Firenze 1932.

[11] Il Carteggio indiretto, cit., vol. I,   vol. II, passim.

[12] Il 14 febbraio 1564 Michelangelo dettava a Daniele da Volterra una lettera per Leonardo, mentre Diomede Leoni si rivolgeva direttamente a quest’ultimo affermando: «[…] potete esser certo che m. Tomaso del Cavaliere, m. Daniello et io non siamo per mancare in assentia vostra di ogni offitio possibile per honore et utile vostro […]» (ibidem, vol. II, pp. 172-173, n. 358). Il giorno della morte, 18 febbraio, lo stesso Leoni scriveva a Leonardo: «Magnifico Messer Lionardo. Vi ho scritto alli 15 di questo la grave infermità di messer Michelagnolo vostro zio, il quale è morto senza far testamento ma da perfetto cristiano questa sera su l’avemaria. Vi si è trovato meser Tomaso del cavaliere, messer Daniello da Volterra et io. Et si è ordinato ogni cosa in modo che potete stare con lo animo riposato» (G. Daelli, Carte Michelangiolesche inedite, Milano 1865, p. 43, n. 28; F. Tuena, La passione dell’error mio. Il carteggio di Michelangelo. Lettere scelte 1532-1564, Roma 2002, pp. 194-195, n. 102).

[13] «Un altro cartone grando, dove sono designati et schizzata la figura di Nostro Signore Jesu Cristo et quella della gloriosa Vergine Maria sua madre. / Fuit consignatum domino Thomeo de Cavaleriis romano, 7 aprilis 64, ut infra»: A. Gotti, Vita di Michelangelo Buonarroti, 2 voll., Firenze 1876, vol. II, p. 151; K. e H. W. Frey, Il carteggio di Giorgio Vasari dal 1563 al 1565, a cura di A. del Vita, Arezzo 1941, pp. 68-73, nota 9e.

[14] Lettera del 17 marzo 1564: «Certi disegni piccoli di quelle Nuntiate, et del Christo che ora nell’orto, egli li haveva donati a Jacopo suo, e compagno di Michele se vene[sic] ricorda. Ma il Nipote per donare qualche cosa al Duca gl[i]eli leverà»: Il carteggio di Giorgio Vasari, cit., pp. 99-109, n. CDXXXV.

[15] «ne mi parrìa fuor dj proposito, Messer Ljonardomjo, sello indugio del ritorno vostro sarà lunghetto, che la S.V. scrivessi una lettera a S.E.I., dolendovj della perdita che ha fatto la città et S.E.I. in questa morte, et che non avendo lassato ne disegni ne cartonj ne modegli, come o vjsto che scrivete, vj dogliate, perché avevj disegniato fargniene parte. Ma poi che sene ito, et non avendo lassato se non voj, che in fede et in servitù sarete il medesimo che vostro zjo, et che poi che dj qua non è se non le cose di via Mozza, che quelle saranno, se gli piaceranno, sue, pregandolo, che e non manchj aver la medesima protezione a voj vivo, che aveva a Michelagniolo inanzi che fussi passato a laltra vita»: ibidem, pp. 54-90, n. CDXXXI.

[16] Lettera dell’11 luglio 1563, in Carte Michelangiolesche inedite, cit., pp. 36-37, n. 24.

[17] A. Gotti, Vita di Michelangelo Buonarroti,cit., vol. II, pp. 151-154.

[18] Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 108-109, n. 311.

[19] Lettera a Leonardo Buonarroti del 16 gennaio 1557: ibidem, vol. II, pp. 90-91, n. 298

[20] Carte Michelangiolesche inedite,cit., pp. 34-35, n. 23; F. Tuena, La passione, cit., pp. 160-161, n. 81.

[21] Ora Firenze, Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore.

[22] Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 179-183, n. 362.

[23] Ibidem, vol. II, pp. 194-195, n. 368.

[24] Ibidem, vol. II, p. 203, n. 372.

[25] A. Bedon, Il Campidoglio. Storia di un monumento civile nella Roma papale, Milano 2008, pp. 357, 384, 386, 387.

[26] Al quale nacque un figlio all’inizio di maggio 1564, chiamato Michelangelo e battezzato da Leonardo Buonarroti prima del suo ritorno a Firenze: cfr. lettera di Jacopo del Duca a Leonardo del 24 ottobre (Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 216-217, n. 378).

[27] Ora Firenze, Palazzo Vecchio.

[28] Lettera del 10 marzo 1564: Il carteggio di Giorgio Vasari, cit., pp. 91-95, n. CDXXXII.

[29] Possibilmente con la Pietà recuperata dagli eredi di Francesco Bandini, secondo le originarie volontà di Michelangelo.

[30] Lettera del 18 marzo 1564: Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 179-183, n. 362. Per le vicende legate alla tomba di Michelangelo in Santa Croce a Firenze, si veda A. Cecchi, L’estremo omaggio al «padre e maestro di tutte le arti». Il monumento funebre di Michelangelo, in Il Pantheon di Santa Croce a Firenze, a cura di Luciano Berti, Firenze 1993, pp. 57-82.

[31] Lettera a Leonardo Buonarroti del 9 febbraio 1565: Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 220-221, n. 380

[32] Testimoni al contratto Jacopo Rocchetti e Jacopo del Duca: A. Del Vita, in Il carteggio di Giorgio Vasari, cit., pp. 71-72, nota 9e.

[33] Lettera di Daniele da Volterra a Leonardo Buonarroti dell’11 giugno 1564: Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 198-200, n. 370.

[34] Lettera del 14 febbraio 1566: ibidem, vol. II, pp. 239-240, n. 388.

[35] Ibidem, vol. II, pp. 229-231, n. 384.

[36] «Un libro di varianti fogli d’architettura […] Un Vitruvio coperto di raso rosso in stampa […] Un Vitruvio legato in carta pecora […] Un libro d’architettura scritto a mano»: M.L. Mez, Daniele da Volterra. Saggio storico-artistico, Volterra 1935, pp. 52-53.

[37] «Un Dante in stampa in quarto legato in carta pecora»: ibidem.

[38] Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 198-200, n. 370.

[39] Ibidem, vol. II, pp. 222-223, n. 381.

[40] Lettera di Diomede Leoni: ibidem, vol. II, pp. 232-234, n. 385.

[41] Lettera di Carlo Gherardi a Leonardo Buonarroti del 10 dicembre 1574: ibidem, vol. II, pp. 292-293, n. 423.

[42] Lettera di Michele Guicciardini a Leonardo Buonarroti dell’11 aprile 1554: ibidem, vol. II, pp. 44-45, n. 267.

[43] Inv. 79. Sulla datazione del piatto alla metà degli anni cinquanta concorda Marino Marini, che ringrazio per aver voluto discutere con me della plausibilità di questa ipotesi.

[44] «In quanto, puoi, li vasi li quali promise farve fare, non vi maravigliati se io non li ho mandato, perché questo è stata causa la mallatia de mio zio in Folignio – et mi bisognò starci più giorni, et hora son tornato e faccili fuornire e subito ve·llimandarrò. E se non vi havesse auto bisognio di farli fare tutti di nuovo, subito ve·lliavria mandato. E questo è per rispetto de l’armo che vi va suzo»: lettera di Antonio del Francese a Leonardo Buonarroti del giugno 1564 (Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 201-202, n. 371).

[45] Ibidem, vol. II, pp. 201-202, n. 371.

[46] Ibidem, vol. I, p. LV.

[47] Inv. 531. Michelangelo. Public and Private. Drawings for the Sistine Chapel and Other Treasures from the Casa Buonarroti, catalogo della mostra, a cura di P. Ragionieri, Seattle 2009, pp. 46-47, n. 6.

[48] «Circha alla Madonna, e’ basterà che lo commetta al Marignolle: e quanto alla spesa che ci anderrà di gesso, sarete contento farla voi, che ci pereggiremo al far de’ nostri conti. E facciasi a comodità del detto Marignolle»: Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 198-200, n. 370.

[49] Lettera dell’11 febbraio 1565: ibidem, vol. II, pp. 222-223, n. 381.

[50] Nella descrizione degli ambienti monumentali della Casa, databile verso il 1684, quest’opera risulta collocata nella terza stanza, denominata Camera degli Angioli, a confronto con l’originale marmoreo: «un quadro entrovi la Madonna tanto nominata di Michelagnolo a bassorilievo in marmo, che già, con altre robe, donata ai Principi, e poi dal Gran Duca Cosimo II ridonata alla casa l’anno 1617. All’ultima parte […] è una Madonna in bronzo, getto di quella di sopra di Michelagnolo, che fu fatta quando uscì di casa»: La Casa Buonarroti a Firenze, a cura di Ugo Procacci, Milano 1967, p. 228. Su Daniele da Volterra si veda R.P. Ciardi, B. Moreschini, Daniele Ricciarelli: da Volterra a Roma, Roma 2004.

[51] Il Carteggio indiretto, cit., vol. I, pp. LIII-LIV.

[52] La Casa Buonarroti, cit., p. 8.

[53] Ringrazio Pietro Ruschi per aver gentilmente condiviso con me queste sue ipotesi ancora inedite.

[54] Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 33-34, n. 261. Verteranno su questo argomento anche le successive lettere del Vasari a Leonardo Buonarroti del 23 ottobre e 30 novembre, e una lettera di Leonardo Buonarroti a Giorgio Vasari del 26 ottobre (ibidem, vol. II, pp. 35-39, n. 262-264).

[55] Nella lettera a Lorenzo Ridolfi del 12 gennaio 1546, Ottaviano de’ Medici chiedeva la sua protezione per «detto Lionardo, quale per le sua buone qualità molto amo»: E. Steinmann, Michelangelo e Luigi del Riccio,cit., pp. 47-48.

[56] Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 90-91, n. 298.

[57] Lettera di Sebastiano Malenotti a Leonardo Buonarroti del 6 febbraio 1557: ibidem, vol. II, p. 94, n. 300.

[58] Si veda il testo della lettera di Zanobi Gini a Leonardo Buonarroti del 4 marzo 1564: ibidem, vol. II, pp. 175-177, n. 360.
[59] Si veda A. Cecchi, L’estremo omaggio, cit., pp. 57-82.

[60] Il carteggio di Giorgio Vasari, cit., pp. 74-75, nota 9f.

[61] Lettere di Giorgio Vasari a Leonardo Buonarroti del 30 novembre e 7 dicembre 1566: Il Carteggio indiretto, cit., vol. II, pp. 251-252, nn. 395-396.

[62] Cfr. lettera di Giorgio Vasari a Leonardo Buonarroti del 18 gennaio 1572: ibidem, II, pp. 270-272, n. 409.

[63] Lettera di Giorgio Vasari a Leonardo Buonarroti del 10 dicembre 1573: ibidem, II, pp. 280-281, n. 416.

[64] Lettera di Giorgio Vasari a Leonardo Buonarroti del 18 marzo 1564: ibidem, vol. II, pp. 179-183, n. 362.

[65] Ibidem, vol. I, pp. LI, LVIII nota 237.

[66] Una del cardinale Luigi Cornaro: cfr. lettere di Diomede Leoni del 2 e 16 dicembre 1575 (ibidem, vol. II, pp. 298-299, nn. 427-428).

[67] Ibidem, vol. II, pp. 283-285, nn. 418-419; pp. 296-299, nn. 425-428; p. 304, n. 432; pp. 306-307, n. 434.

[68] Ibidem, vol. I, p. LI.

Fig. 3. Madonna della scala (da Michelangelo), 1565-1566, Firenze, Casa Buonarroti, inv. 531

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