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Ringrazio il mio amico Jack Wasserman per avermi permesso di tradurre e pubblicare il suo articolo. (p.p.)

 

Fig. 1 Pietà, Michelangelo, marmo, 226 x 123 x 94 cm
(posto dietro l’Altare maggiore di Santa Maria del Fiore, Firenze)

La Pietà di Michelangelo è “ein Fremdling in diesem Duomo” (Fig. 1). Wolfgang Braunfels scrisse queste parole nel 1964,1 ricordando che la statua fu scolpita a Roma a metà del Cinquecento ed aveva fatto il suo ingresso nella Cattedrale quasi due secoli dopo, nel 1721.

Contrariamente a quanto potrebbe suggerire l’osservazione dello storico, cioè che la loro relazione non presentava problemi, i due soggetti (la scultura e la Cattedrale) hanno interagito in modo dinamico, anche se non sempre a reciproco vantaggio. Tuttavia, esaminerò solo un aspetto di questa complessa relazione: l’effetto che la Pietà ebbe sul Duomo.

 

Fig. 2 Vista dell’interno di Santa Maria del Fiore, particolare, incisione, XIX secolo
(C. Giglio, Veduta dell’interno di Santa Maria del Fiore).

Cosimo III ordinò che la Pietà fosse portata a Santa Maria del Fiore direttamente dalla chiesa medicea di San Lorenzo il 29 agosto 1721,2 dove si trovava dal suo arrivo a Firenze nel 1674. La statua di Michelangelo sostituì quella di Adamo ed Eva di Baccio Bandinelli, che aveva occupato un sito sul recinto del coro marmoreo a due piani che aveva costruito intorno all’Altar Maggiore a metà del XVI secolo (Fig. 2), mentre sull’altare stesso aveva sistemato un Cristo morto sostenuto da un angelo e un Dio Padre seduto su un piano rialzato sopra di loro (Fig. 3). Aveva posizionato Adamo ed Eva direttamente dietro l’altare, in piedi sul livello inferiore del recinto, che era più largo in quel punto per ospitarli.3 La Pietà fu installata al loro posto il 13 luglio 1722, in seguito alla rimozione del gruppo di Bandinelli, in risposta alle lamentele di “alcuni zelanti e scrupolosi” perché la loro nudità non era adatta alla natura spirituale della chiesa.4

La Pietà iniziò ad attirare una vasta gamma di reazioni subito dopo la sua installazione. L’opinione negativa di Giovanni Bottari, espressa nella sua edizione del 1759 delle Vite del Vasari, è la più importante da considerare . Egli sosteneva che la statua5 “spezzasse stranamente l’idea di Baccio, che, avendo rappresentato nella parte posteriore la colpa di Adamo ed Eva, nella parte anteriore rappresentava il rimedio a questa, che era la morte di Cristo e l’assoluzione che Dio concesse per questo all’umanità. Ora la morte di Cristo è rappresentata davanti e dietro l’altare. Così la Pietà crea una ridondanza con il suo Cristo senza vita, sconvolgendo quindi il progetto del Bandinelli.

Credo, invece, che la Pietà abbia creato un’iconografia diversificata e coerente con Cristo Morto e Dio Padre, indipendentemente da come vengono interpretati. Timothy Verdon, con un occhio ai decreti emanati dal Concilio di Trento, interpreta il complesso scultoreo originale di Bandinelli come una rappresentazione della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, con Dio Padre impegnato a offrire suo Figlio per la salvezza dell’umanità o a esprimere la sua ira per il peccato di Adamo ed Eva.6 A mio modo di vedere, la Pietà ha introdotto una componente temporale nel complesso spostando l’equilibrio dall’astrazione alla narrazione.

Per il significato del Cristo Morto, mi affido al Vangelo di Giovanni, capitolo 20. Secondo l’evangelista, Maria Maddalena guardò nel sepolcro e vide due angeli, uno seduto dalla parte della testa e l’altro dei piedi, “dove Cristo era stato deposto”. Il passaggio si riferisce alla Resurrezione di Cristo. Per diversi motivi, anche il Cristo Morto di Bandinelli viene rappresentato in questo momento biblico.7 In primo luogo, l’altare tradizionalmente simboleggia la tomba di Cristo.8 In secondo luogo, l’angelo che sostiene la testa e il busto di Cristo è un altro. Terzo, è un secondo angelo progettato da Bandinelli ma mai eseguito che, possiamo supporre, lo scultore intendeva porre ai piedi di Cristo.9 Alla fine, Cristo è rappresentato sia in movimento che immobile e quindi come durante un risveglio spirituale. Questa qualità di mortalità transitoria si riflette nella fisionomia con la bocca aperta e nell’espressione di estasi dell’angelo, con gli occhi rivolti verso il cielo, felice di essere testimone della mutazione soprannaturale.10

Quindi, se si accetta che Bandinelli abbia rappresentato una incipiente Resurrezione, allora la Pietà si riferisce al Cristo Morto in una rappresentazione abbreviata delle conseguenze della Passione, che progredisce dalla discesa dalla croce fino sul grembo della Vergine, al sepolcro, all’inizio della Resurrezione. Dio Padre presiede a questi eventi, tenendo un libro nella mano sinistra, sicuramente il Nuovo Testamento, e calpestando un secondo libro con il piede sinistro, certamente l’Antico Testamento. Un altro studioso menziona i libri: ha definito quello sotto il piede di Dio come “un’idea piuttosto infelice , dal momento che ne regge già un altro nella mano sinistra.”11 Al contrario, i libri e il modo in cui sono rappresentati permettono di simboleggiare il primato della Grazia sulla Legge, che è il dono di Dio di clemenza verso l’umanità e che Egli attivamente conferisce con la mano destra benedicente. Pertanto, se il messaggio originale di Bandinelli era redenzione, o assoluzione come scrisse Bottari, sostituendo l’Adamo ed Eva con la Pietà non cambiò la dottrina ma i mezzi con cui essa viene comunicata. Ora dobbiamo capire, come assicurò Paolo ai Romani, che i peccati dell’umanità furono seppelliti con Cristo alla sua morte, ma che la salvezza, la vita eterna, arriverà con la fede nella Sua resurrezione: “perché se crederai […] nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato [dai morti], sarai salvato”.12

Mi chiedo se qualcuno all’epoca, clero o altri, avesse approvato il cambiamento che la Pietà aveva portato al significato della statuaria di Bandinelli. O se avessero notato il cambiamento che la sua presenza aveva recato all’architettura del recinto di marmo. Secondo Francesco Baldinucci, 13 fu fornita una nuova base dall’architetto di corte Giovanni Battista Foggini e, secondo Francesco Settimani, testimone oculare dell’evento, fu costruita con marmi variegati (marmi misti).14 L’attribuzione di Baldinucci non è documentata, ma sopravvive un inedito che Foggini presentò all’Opera del Duomo l’11 luglio, 1722 per una targa che aveva posto sulla base sotto la statua.15 La targa è ancora conservata e reca un’iscrizione composta dal senatore Filippo Buonarroti, un discendente di Michelangelo. D’altra parte, la base è andata perduta quando la statua è stata spostata dal sito negli ultimi tempi. Tuttavia, le prime fotografie mostrano parte del piedistallo, ciò che permette di indicare che la base era stata sovrapposta al parapetto e si estendeva sopra lo spazio vuoto che la separava dall’altare retrostante (Fig. 1). Insieme, la base e la Pietà hanno conferito al sito un aspetto più distintivo, con dimensioni maggiori e un’articolazione più precisa rispetto a quando Adamo ed Eva erano in situ. Di fronte alla tribuna orientale, formavano anche un collegamento assiale più decisivo tra i due principali presbiteri del Duomo (Fig. 4): l’Altar Maggiore, dalla metà del XV secolo custode del reliquiario della Santa Croce,16 e il centro della cappella absidale, dedicata a San Zanobi, primo santo patrono di Firenze, una volta rimosso e dal 1494 custodia del Santissimo Sacramento.17

Oltre a ciò, la convivenza tra la Pietà e il Duomo durante il XVIII e il XIX secolo proseguì senza avvenimenti di rilievo. Non così nel ventesimo secolo. La prima minaccia al rapporto simbiotico tra la chiesa e la statua avvenne il 9 febbraio 1918, quando l’arcivescovo di Firenze chiese l’autorizzazione all’Opera di Santa Maria del Fiore per sostituire la Pietà con un pulpito di legno permanente per il “maggior decoro” del tempio. 18 Già allora le statue di Bandinelli erano state inviate a Santa Croce e la maggior parte dell’architettura del coro era stata smantellata.19 L’autorizzazione fu concessa l’8 novembre 191920, ma nessuna azione fu intrapresa. L’inerzia potrebbe essere stata causata da un dibattito, descritto quattro anni dopo, nel verbale del 6 marzo 1923, sull’opportunità di trasferire la Pietà all’interno del Duomo stesso o di trasferirla a Santa Croce, dove sarebbe servita “come immagine espiatoria in una cappella votiva.” 21

Quelli che sostenevano la conservazione in Duomo si basavano sul fatto che la Pietà è un’opera troppo grande per essere spostata, mentre i loro avversari sostenevano che la statua non aveva alcun legame intrinseco con la storia del Duomo e, per quanto riguarda la sua qualità artistica, non avrebbe sofferto se fosse stata esposta nella chiesa francescana. Il dibattito non fu risolto, ma rimase il pericolo per il rapporto tra la Pietà e il Duomo. In effetti, sei anni dopo, nel 1929, la scrittrice francese Camille Mallarmé riprese l’idea di donare la statua a Santa Croce.22 Tuttavia, il motivo non era più il pulpito di legno. La Mallarmé introdusse due nuovi motivi per sostenere il cambiamento di sede. Uno si basava sull’intenzione espressa da Michelangelo, riferita dal Condivi e dal Vasari, che la Pietà venisse utilizzata come suo monumento funebre.23 La Mallarmé arrivò fino a proporre lo smantellamento della struttura tombale che Vasari aveva progettato nel 1565 per Santa Croce. Incredibilmente, questa idea attirò un ampio consenso nei primi anni ‘30, compresa l’approvazione di Mussolini, che, secondo la scrittrice francese, “sogna di rimediare alla situazione” che trattiene la Pietà dalla sua giusta destinazione.

 

Fig. 4 Vista del Coro di Santa Maria del Fiore, come era all’incirca nel 1890.

 

L’argomento più convincente della Mallarmé, tuttavia, era che il sito dietro l’Altare maggiore non era adatto alla statua, perché era immerso in un’oscurità che la rendeva quasi invisibile25. Evidentemente, stava ripetendo una denuncia che era stata espressa nel 1877 da Susan e Joanne Horner in “Passeggiate a Firenze”, che la Pietà “era purtroppo in una posizione troppo oscura per essere vista, tranne in una giornata molto luminosa.” 26 Questa critica al sito divenne più intransigente man mano che si diffondeva nella letteratura successiva. Tuttavia, la fonte immediata della Mallarmé fu probabilmente Auguste Rodin, che nel 1910 scrisse:

“Ricordo di essere stato nel Duomo di Firenze e di aver reagito con profonda emozione alla Pietà di Michelangelo. Il capolavoro, che di solito è in ombra, in quel momento è stato illuminato da una candela di un candeliere d’argento, e un bel bambino, un corista, si è avvicinato al candeliere, che era alto come lui, lo ha tirato verso di sé e ha fatto esplodere la luce. Non riuscivo più a vedere la meravigliosa scultura.”27

Sospetto che Rodin stesse narrando in chiave romantica un’esperienza avuta decenni prima, e che la sua fonte fosse un’esperienza straordinariamente simile a quella che Vasari scrive di aver avuto quando, visitando lo studio di Michelangelo, l’aveva trovato al lavoro proprio su questa Pietà. Racconta che Michelangelo lasciò cadere la lanterna e gettò la statua nell’oscurità totale per impedire che si vedessero i cambiamenti che stava facendo a una delle gambe.28

Nel 1931, l’impulso di riposizionare la statua era diventato un desiderio condiviso e l’idea che l’oscurità compromettesse la visibilità della Pietà si radicò così profondamente nell’opinione pubblica (nonostante l’installazione di un impianto elettrico nel Duomo nel 1906 circa) che cominciò a diffondersi l’idea che alla statua sarebbe stata presto data una nuova collocazione.29 Ma,come tutti sappiamo, non doveva essere Santa Croce. Il deputato residente dell’Opera del Duomo, benché convinto dell’attuale “collocazione infelice” della statua, tuttavia mise a freno le speranze della Mallarmé il 26 ottobre 1931, autorizzando la ricerca di un luogo adatto per la statua all’interno del Duomo.30 La Curia fu d’accordo e propose la Cappella della Madonna della Neve come nuovo sito della statua, 31 perché era ben illuminata da una finestra senza vetrate. Il trasferimento avvenne nei primi giorni di settembre del 1933 (Fig. 5)32 e fu accolto da un coro di approvazione, espresso principalmente in termini di miglioramento delle condizioni di illuminazione.33 In effetti, Pavel Pavlinov nel 1965 riferisce di aver visto un epitaffio latino nella cappella, oggi mancante, che nella sua interpretazione italiana recita: “Per dargli, infine, una migliore illuminazione”. 34

Ci sono lettere finora inedite, a partire dal 11 gennaio 1932, fino al 5 settembre 1933, relative all’installazione della Pietà nella cappella della Madonna della Neve. 35 Una lettera include uno schizzo del lato anteriore e posteriore della statua sopra una nuova base progettata dall’architetto incaricato del trasferimento, Giuseppe Castellucci.36 La base è mostrata come aggiunta sul retro di un altare esistente ed era costruita in quel modo.37 Un’altra lettera include un riferimento a “un modello a grandezza naturale su carta” di un’iscrizione che doveva essere posta sotto la Pietà,38 ma non si trova nella corrispondenza e non è rimasta. Pertanto, non è chiaro se l’iscrizione sia quella registrata da Pavlinov o quella del discendente di Michelangelo composta nel 1722, che, di fatto, seguì la Pietà nella cappella della Madonna della Neve e fu collocata sul muro dietro la statua. L’installazione della Pietà rese necessarie alcune modifiche alla cappella: furono tolti due armadi lungo le pareti laterali, e forse anche una pala d’altare, per fare spazio alla statua.39

 

Fig. 5 Pietà, Michelangelo, marmo (Cappella della Madonna della Neve, Santa Maria del Fiore, Firenze).

 

Con la Pietà di Michelangelo ormai all’interno dei suoi confini, la cappella della Madonna della Neve divenne la più famosa del Duomo. D’altra parte, l’area dietro il coro, ora privata di questo potente monumento, apparve desolata, come rimane fino ai giorni nostri. Il legame assiale tra l’Altare Maggiore e la Cappella di San Zanobi fu sciolto e lo spazio intermedio si svuotò della presenza umana in generale, di aura spirituale e di vitalità.

La Pietà fu sistemata fra la soddisfazione di tutti nella cappella della Madonna della Neve per quasi tre decenni quando, nel 1960, fu fatto un altro tentativo di allontanarla dal Duomo.40 Questa volta si disse che interferiva con i servizi liturgici della chiesa. Il presidente dell’Opera del Duomo scrisse all’arcivescovo di Firenze il 23 dicembre richiamando l’attenzione sul fatto che la Pietà attirava molti visitatori nella Cattedrale, in particolare stranieri, a spese della “tranquillità del tempio”.41 Il disturbo rimane, affermò, nonostante i suoi sforzi continui per impedire il “chiacchierìo profano” dei visitatori e delle loro guide. La sua indicazione per eliminare il fastidio era eliminarne la causa, trasferendo la Pietà al Museo dell’Opera del Duomo, assicurando che la Pietà sarebbe stata esposta in una sala ampia e adatta, creata durante una recente ristrutturazione del museo. La grande opera di Michelangelo era diventata vittima della sua stessa fama.

La preoccupazione del presidente dell’Opera per la “tranquillità del tempio” trovò un alleato comprensivo nell’arcivescovo di Firenze,42 mentre la sua idea di trasferire la Pietà al museo si fece abbastanza strada tanto che il Soprintendente alle Gallerie, Filippo Rossi, il 9 gennaio 1961 scrisse che la statua doveva essere esposta al primo piano del museo piuttosto che a livello del suolo. 43 Ma il progresso dell’operazione che questo consenso ufficiale faceva presagire era, di fatto, ostacolato dall’opposizione della Commissione diocesana per l’arte sacra. L’8 aprile 1961 la Commissione affermò che l’allontanamento della statua, come era già avvenuto in passato con altri apolavori, avrebbe privato la Cattedrale di un illustre monumento.44 Inoltre, la Commissione dichiarò senza mezzi termini che “disapprova il ritiro di un tesoro d’arte dal Duomo al fine di arricchire il museo”, ammonendo che “In questo modo si susciterebbero commenti sfavorevoli sulla stampa”.

Si potrebbe pensare che la questione fosse chiusa. Eppure, nell’aprile del 1981, la statua fu esposta nel Museo dell’Opera del Duomo,45 apparentemente senza opposizione. Così, alla fine, i funzionari dell’Opera l’hanno avuta vinta sentendosi anche gratificati per la lungimiranza mostrata nel preparare una sala speciale per la statua sei anni prima, nel 1974,46 la stessa sala in cui è esposta oggi. Ora i lavori in corso sulla cupola del Brunelleschi erano la ragione ufficiale del trasferimento,47 ma sembrano evocati per l’occasione, poiché non si ha notizia di altri spostamenti contemporanei della statuaria della Cattedrale. Inoltre, è difficile vedere come tale restauro avrebbe potuto danneggiare la Pietà nell’isolamento della cappella della Madonna della Neve . In effetti, un altro motivo per il trasferimento è accennato in un articolo de La Nazione del 5 giugno 1981: “è con questa opera d’arte [ la Pietà ], che ha attirato così tanto interesse, che vogliono rilanciare un museo che ha così tanto da offrire”.48 Detto in modo meno diplomatico, ci si aspettava che la fama della statua avrebbe stimolato l’interesse per il museo da parte di un pubblico distratto.

Lo stesso articolo su La Nazione descrive il desiderio dei funzionari dell’Opera di far rivivere un’antica tradizione di promozione artistico-culturale con l’obiettivo di accrescere il prestigio del museo. Fu deciso di organizzare una gara scultorea piuttosto bizzarra per una gamba in sostituzione di quella che mancava alla Pietà, che si ritiene generalmente fosse stata recisa da Michelangelo.49 Le opere dovevano essere esposte su un muro vicino alla statua. Ma la competizione si trasformò in una patata bollente, a giudicare dalla risposta di “nessun commento” del presidente dell’Opera ai giornalisti che lo intervistavano.50 L’obiettivo subì un’altra delusione, poiché il giorno di apertura fu piuttosto un flop, nonostante l’ampia pubblicità sulla stampa e la fama della statua. Il pubblico era troppo distratto dai bronzi di Riace, le antiche statue greche appena scoperte, ancora in mostra a Firenze, per prestare molta attenzione persino a una statua di Michelangelo. Almeno, questo è quanto riportato in La Nazione.51

La Pietà è nel Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore per rimanere, ma la sua memorabile associazione con il Duomo è ancora indelebilmente inscritta nella mente di alcuni (quelli ancora stupiti del fatto che la statua non sia più lì), e nei cuori degli altri (che vorrebbero che lo fosse ancora). A dire il vero, Antonio Paolucci, per dirne uno, appoggia il ritorno della statua in Duomo, poiché solo in un tale ambiente, afferma, può conservare il suo significato come testimonianza della religiosità di Michelangelo.52

Idealmente, le opere d’arte sono viste più favorevolmente nei siti per i quali sono state commissionate o in cui la loro natura essenziale è meglio ambientata . Ma è inutile sperare che questo possa essere il destino della Pietà, a meno che siano banditi turisti insensibili dalla Cattedrale e siano eliminati quei demoni fantastici e pervasivi che oggi affliggono il benessere dell’arte. Tuttavia, con gli occhi della fantasia, supponiamo l’impossibile, che la Pietà, come nel 1721-1722, sia di nuovo entrata nell’atmosfera oscura e mistica del Duomo e sia stata collocata su una base dietro l’Altar Maggiore. In questo modo possiamo ricreare, anche se solo nella nostra mente, l’effetto di trasformazione originale della statua all’interno della Cattedrale (Figg. 1 e 4), poiché lì ha vitalizzato esteticamente e spiritualmente l’area anestetizzata tra il coro e la cappella di San Zanobi; lì, insieme al Cristo Morto e al Dio Padre di Bandinelli, essi stessi miracolosamente riportati nei loro luoghi originali sull’Altare Maggiore, iniziò il cammino del Cristo post mortem alla Deposizione, alla Resurrezione imminente, al Giudice pienamente risorto in alto nell’affresco vasariano della cupola; e lì il Cristo immolato affondò nell’abbraccio della sua Madre addolorata, conseguenza necessaria dell’annuncio dell’angelo che portava il giglio e il messaggio del Bambino incarnato a Maria Santissima, l’evento biblico che, nel breve periodo dal 1412 al 1415, fu celebrato a Santa Maria del Fiore.53


Ringraziamenti:

Desidero ringraziare il professor Walter Kaiser per l’invito a leggere questo documento, e la professoressa Patricia Rubin e lo staff de I Tatti per l’assistenza prima e durante la conferenza. Questo documento fa parte di una monografia sulla Pietà Fiorentina che sarà pubblicata dalla Princeton University Press nel 2001, e sarà riprodotto in quel volume in forma modificata. Vorrei riconoscere con gratitudine il sostegno finanziario che ho ricevuto nella preparazione di questo studio dalla Samuel H. Kress Foundation, dalla Robert Lehman Foundation, dalla Norman e Rosita Winston Foundation, dalla Edgar e Elissa Cullman Foundation.

Sono anche molto riconoscente verso coloro che facilitano lo studio della Pietà : Dr. Patrizio Osticresi, Geom. Paolo Bianchini e il Dr. Lorenzo Fabbri, tutti e tre dell’Opera di Santa Maria del Fiore, e Don Timothy Verdon. La loro cooperazione e pazienza continuano ad essere preziose e illimitate. Ma devo il più profondo debito di gratitudine all’avv. David Lenefsky, senza il cui incoraggiamento e aiuto nel trovare un così importante finanziamento, questo progetto non avrebbe mai potuto andare oltre la sua formulazione iniziale.


Note

1 W. BRAUNFELS, Der Dom von Florenz, Losanna-Friburgo in Brisgovia, 1964, p. 64.

2 C. MALLARMÉ, L’ultima tragedia di Michelangelo, Roma, 1929, p. 84. Vedi anche l’edizione francese del libro della Mallarmé, Un Drame ignoré de Michel-Ange, Parigi, 1930, p. 83. La Mallarmé cita un manoscritto inedito del XVIII secolo di Francesco Settimani, “Memorie fiorentine”, nell’Archivio di Stato, Firenze, Manoscritti 142, 29 agosto 1721, fol. 426v (29 agosto), d’ora in poi ASF-Settimani.

3 Per la storia del recinto del coro di Bandinelli, iniziato nel 1547, vedi D. HEIKAMP, “Baccio Bandinelli nel Duomo di Firenze”, Paragone, XV, n. 175, 1964, pagg. 32-42. Vedi anche i numerosi articoli sul recinto in Sotto il cielo della cupola, T. VERDON ed., Milano, 1997.

4 ASF-Settimani, fol. 84. Adamo ed Eva erano già stati condannati come “sporche figure di marmo” al momento della loro installazione nel 1551, per la quale vedi A. COLASANTI, “Il memoriale di Baccio Bandinelli”, Repertorium für Kunstwissenschaft, XXVIII, Berlino, 1905, p. 25. Vasari era anche critico nei confronti di Adamo e Eva, affermando che le due figure dovevano essere scacciate dalla chiesa, perché “a causa della loro disobbedienza furono cacciati dal Paradiso”. Per questo, vedi G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori , scultori ed architettori, G. MILANESI ed., Milano, 1878-1885, VI, p. 180 (d’ora in poi VASARI-MILANESI). Per la rimozione di Adamo ed Eva il 10 settembre 1721, vedi A. LENSI, Palazzo Vecchio, Milano, 1929, p. 281.

5 G. VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti , G.G. BOTTARI ed., Roma, 1759-1760, II, p. 603, nota 1 (di seguito VASARI-BOTTARI). Desidero ringraziare Louis Waldman per aver portato questo riferimento alla mia attenzione.

6 T. VERDON, Il “Giudizio” ritrovato. Il restauro degli affreschi della cupola di Santa Maria del Fiore , Firenze, 1995, pp. 27-32. Idee simili riguardo al Cristo Morto sono espresse da F. PETRUCCI, “Le sculture esterne”, nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze , II, C. ACIDINI LUCHINAT ed., Firenze , 1995, pp. 188ff, e E. VOSSILLA, “Dal coro alla cupola. Linee del mecenatismo di Cosimo I a Santa Maria del Fiore nell’epoca del Concilio di Trento”, in L’uomo in cielo , Atti del simposio interdisciplinare promosso dallo Studio Teologico Fiorentino, T. VERDON ed., Vivens homo, 7, 1996, pagg. 41-56.

7 Per un’illustrazione del marmo Cristo Morto, vedi Vivens homo (vedi nota 6), fig. 14.

8 Esiste una lunga bibliografia sull’altare come la tomba di Cristo, ma è sufficiente ai nostri scopi citare J. SHEARMAN, L’Altare di Pontormo a S. Felicita, Università di Newcastle Upon Tyne, 1971, p. 22.

9 Vedi HEIKAMP, loc. cit. (vedi nota 3), pagg. 33 e 37.

10 Per un’illustrazione della testa di Cristo, vedi Vivens homo (vedi nota 6), fig. 21.

11 J. POESCHKE, Die Skulptur der Renaissance in Italien, Michelangelo und seine Zeit , Monaco,

II, 1992, p. 176. Vedi anche l’edizione inglese del volume POESCHKE, Michelangelo e il suo mondo , trad. R. STOCKMAN, New York , 1996, p. 176.

12 Paolo 10: 9.

13 E. BALDINUCCI, Vita di G.B. Foggini citato in K. LANKHEIT, Florentinische Barockplastik , Monaco, 1962, p. 237. Desidero ringraziare Louis Waldman per aver richiamato la mia attenzione sul commento di Baldinucci.

14 ASF-Settimani, fol. 492v.

15 Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Firenze (di seguito AOSMF), IV-2-93, fasc. 84.

16 G. POGGI, Il Duomo di Firenze, Berlino, 1909, p. CXXI; e l’edizione rivista a cura di M. HAINES, Firenze, 1988, p. CXXI.

17 HAINES, op. cit. (vedi nota 16), pag. CXVIII.

16 AOSMF, XI-1-4, fols. 97v-98r e lOOv.

19 L’architettura del coro fu in gran parte smantellata nel 1842. Per questo, vedi W. ed E. PAATZ,

Die Kirchen von Florenz , Francoforte sul Meno, 1952, III, p. 368.

20 AOSMF, XI-1-4, fol. 107 V.

21 AOSMF, XI-1-4, fol. 117.

22 MALLARMÉ, L’ultima tragedia (vedi nota 2), pagg. 7f., e Drame ignoré (vedi nota 3), p. 2.

23 MALLARMÉ, L’ultima tragedia (vedi nota 2). A. CONDIVI, La vita di Michelangelo, H. WOHL ed., Oxford, 1976, p. 90; e VASARI-MILANESI (vedi nota 4), VII, p. 218.

24 MALLARMÉ, Drame ignoré (vedi nota 2), pag. 2. L’idea della Mallarmé fu sostenuta, tra gli altri, da A. ERRICHELLI, Michelangelo, Città di Castello, 1930, p. 75 e A.M. BÉSSONE AURELI, “Per il cambiamento della tomba di Michelangelo”, Illustrazione Vaticana, 1933, PV, n. 14, p. 545, che ha concluso che la sostituzione della tomba del Vasari con la Pietà “renderebbe onore a quel genio insuperabile, e anche a Dio, perché tutto viene dal Creatore, che avrebbe concesso all’Italia, come disse lo stesso Michelangelo, “il perfetto delle cose”.

23 MALLARMÉ, Drame ignoré (vedi nota 2), pag. 2.

26 S. e J. HORNER, Passeggiate a Firenze, Londra, 1877, I, pagg. 75 e 78.

27 G. VASARI, La vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568, P. BAROCCHI ed., Milano-Napoli, 1962, III, p. 1442 (citando l’articolo di Auguste Rodin su La Revue, 86, 1910, p.14). Rodin fece un viaggio in Italia nell’inverno del 1875-1876, secondo R. ROSENBLUM e H.W. JANSON, Arte del XIX secolo, Pittura e scultura, Londra, 1984, p. 476.

28 VASARI-MILANESI (vedi nota 4), VII, pagg. 28 e seguenti.

29 AOSMF, XI-1-4, fols. 21 e 38. Il sito è stato criticato per la sua oscurità da, tra gli altri, R.

SUTHERLAND GOWER, Michael Angelo Buonarroti , Londra, 1911, p. 56; F. KNAPP, Michelangelo , Stoccarda, 1916, p. 169; L.V. BERTARELLI, Firenze e dintorni , Milano, 1937, pagg. 92f.

30 AOSMF, XI-1-4, fol. 141.

31 Il deputato residente fece registrare presso la Deputazione Secolare dell’Opera la sua opposizione “con tutta la sua energia” al trasferimento della Pietà a Santa Croce.

32 AOSMF, XI-2-93,1933-1934, fase. 8. La data precisa dell’installazione non è prevista. Per una pianta del Duomo in cui sono indicati il vecchio e il nuovo sito della Pietà, vedi P. PAVLINOV, “La sistemazione della Pietà di S. Maria del Fiore e il metodo creativo di Michelangelo”, Arte Lombarda , X, 1965, p. 117, fig. 4.

33 Tra loro c’erano; M. RIVOSECCHI, Michelangelo e Roma , Bologna, 1935, p. 125; BERTARELLI, op. cit. (vedi nota 29), pagg. 92f; V. MARIANI, Michelangelo , Torino, 1945, p. 231. D’altra parte, N. BACCETT1, Spiriti e figure , Milano, 1934, p. 127, assunse la posizione paradossale che l’illuminazione non era molto meglio nella cappella che dietro l’Altar Maggiore. Tuttavia, appoggiò il trasferimento perché la statua poteva ora essere vista da tutti i lati.

34 PAVLINOV, loc. cit. (vedi nota 32), pag. 116. Il testo latino, come Pavlinov ha registrato, recita: “Clariore in loco locatum voluere”; la sua traduzione italiana recita: “Per darle, infine, una illuminazione migliore.”

35 AOSMF, XI-2-93, 1932-1933, fasc. 8.

36 Ibid. La lettera fu scritta da Giuseppe Castellucci al Deputato Residente dell’Opera di Santa Maria del Fiore in data 25 agosto 1932. Il disegno fu approvato dal Deputato in una lettera del 31 agosto 1932 e dalla R. Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna della Toscana in una lettera del 23 settembre 1932.

37 Prima dell’installazione della Pietà, per giudicare l’effetto fu utilizzato un calco in gesso della statua. Il calco è ora nella Gipsoteca di Firenze. Vedi AOSMF, XI-1-4, fol. I44r, lettera del 27 gennaio 1932.

38 AOSMF, XI-2-93, 1933-1934, fase. 8. Questa lettera del 14 giugno 1933. L’iscrizione fu approvata dalla R. Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna della Toscana in una lettera del 17 giugno 1933, che è inclusa nella stessa cartella.

39 Per la rimozione degli armadi, vedi AOSMF, XI-2-93, 1993-1934, fasc. 8. Questa lettera è datata 5 settembre 1933. Nel 1840 una pala d’altare quattrocentesca raffigurante una Madonna con Bambino tra San Giovanni e San Biagio fu rimossa dall’Altare di questa cappella e collocata nel Museo dell’Opera del Duomo, dove è ancora visibile. Per questo, vedi E. SETTESOLDI, Il Museo dell’Opera del Duomo di Firenze , Firenze, 1982, p. 85.

40 La statua fu rimossa dalla cappella due volte prima del 1960. Fu portata nel sotterraneo durante la seconda guerra mondiale per proteggerla dai bombardamenti alleati. Il 22 maggio 1946, fu trasportato trasportata all’Accademia delle Belle Arti per una pulizia generale, secondo i resoconti dei giornali, e tornò al nel Duomo verso il 1948. Per questo, e per una fotografia dell’effettiva rimozione della statua dal Duomo nel 1946, vedi PAVLINOV loc. cit. (vedi nota 32), pagg. 119 e 118, fig. 5.

41 AOSMF, Carteggio miscellaneo, 1960-1961. Il documento riguarda il trasferimento della Pietà a una in data non specificata. La lettera era indirizzata all’arcivescovo di Firenze e datata 23 dicembre 1960.

42 Ibid., Lettera del 31 dicembre 1960.

43 Ibid.

44 Ibid. L’obiezione della Commissione appare in un “Estratto del verbale della adunanza del giorno 8 aprile 1961.”

45 SETTESOLDI, op. cit. (vedi nota 40), pag. 44. La statua fu prima pulita e inclusa in una mostra tenutasi nel 1980 a Santo Stefano al Ponte. Per informazioni sulla mostra, vedi A. PAOLUCCI, “Le opere d’arte”, a Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del cinquecento. La comunità cristiana fiorentina e toscana nella dialettica religiosa del cinquecento, Firenze, 1980, in particolare pp. 200-201.

46 SETTESOLDI, op. cit. (vedi nota 40), pag. 48. Non ho trovato il documento su cui Settesoldi ha basato la sua datazione sulla costruzione della nuova sala.

47 Ibid. Vedi anche La Nazione , 5 giugno 1981, pag. 13.

48 Ibid.

49 Il concorso è menzionato da L. STEINBERG, “Animadversions”, Art Bulletin, 71, 1989, p. 485. Vedi anche A. PARRONCHI, “Toh, le manca una gamba”, La Nazione , 21 luglio 1998, p. 3.

50 La Nazione , 5 giugno 1981, pag. 13.

51 Ibid.

52 A. PAOLUCCI, “Tesori d’arte dentro Santa Maria del Fiore”, Alla riscoperta di Piazza del Duomo a Firenze, 2 : La Cattedrale di Santa Maria del Fiore , T. VERDON ed., Firenze, 1993, pp. 100-101.

53 Per la celebrazione dell’Annunciazione al Duomo, vedi C. GUASTI, Santa Maria del Fiore, Firenze, 1889, pagg. CXIIIf, documenti 464 e 465; e V. CRISPOLTI, Santa Maria del Fiore alla luce dei documenti, Firenze, 1937, p. 314.

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