La Scheda di Restauro della Pala d’Altare di Giovanni della Robbia,
Madonna col Bambino e santi, Firenze, Basilica di Santa Croce,
Cappella Pulci Berardi
di Mattia Mercante e Filippo Tattini, restauratori dell’Opera
La pala d’altare di Giovanni della Robbia, databile agli anni Venti del Cinquecento, è conservata nella Cappella Pulci Berardi, nel transetto sinistro della basilica francescana di Santa Croce. La scultura in terracotta invetriata era in origine nel convento domenicano di Santa Lucia di Camporeggi e fu trasferita in Santa Croce a seguito delle soppressioni del 1808. In Santa Croce inizialmente fu collocata negli sguanci della finestra della cappella, dove è rimasta fino ai primi anni del Novecento. Smontata e ricollocata sopra l’altare che venne avanzato, è stata lambita dall’acqua mista a fango nel corso dell’alluvione del 1966. I segni del livello dell’Arno sono ancora oggi visibili sul retro della predella.
La Madonna in trono è affiancata da angeli e santi: a sinistra Giovanni Evangelista, riconoscibile per l’aquila, stringe un calice da cui fuoriesce una serpe alata o drago, riferimento alla Legenda Aurea secondo la quale il santo bevve da una coppa avvelenata rimanendone illeso. A destra del trono Maria Maddalena regge il vasetto di unguenti con il quale si recò presso la tomba di Cristo la mattina di Pasqua e il Libro, simbolo di conoscenza. Gli angeli della parte superiore sostengono una corona sopra la testa di Maria, e superiormente appare la colomba simbolo dello Spirito Santo. I due piccoli angeli alle spalle di Giovanni e della Maddalena recano vasi in cui in origine probabilmente venivano inseriti fiori in stoffa o candele. Alla base del trono il testo riporta la prima parte dell’antifona mariana del Regina Caeli:
“REGÌNA CAELI LAETÀRE, ALLELÙIA. QUIA QUEM MERÙISTI PORTARE, ALLELÙIA. RESURRÉXIT, SICUT DIXIT, ALLELÙIA. ORA PRO NOBIS DEUM, ALLELÙIA”.
Al centro della predella un vaso di gigli unisce la Vergine annunciata e l’Angelo annunciante, mentre a sinistra sono raffigurati a tre quarti di figura i santi Domenico e Lucia, e a destra Tommaso d’Aquino e Caterina d’Alessandria.
Attualmente alta circa 250 cm e larga 182 cm, l’opera probabilmente aveva in origine dimensioni maggiori: da un confronto con modelli analoghi sembra mancante di un coronamento perimetrale a festoni, tanto che Giancarlo Gentilini ha ipotizzato la presenza di un elemento modellato di raccordo tra la scena del trono e la predella. Alcuni elementi sono inoltre collocati in posizioni diverse rispetto alla foto Alinari precedente lo smontaggio dalla parete di fondo della cappella. Le ali degli angeli dietro ai santi avrebbero dovuto essere complanari al fondo azzurro, mentre oggi sono montate in aggetto, sfalsate di alcuni centimetri. A riprova delle modifiche che nel corso del tempo l’opera ha subito, la decorazione corrente a ovuli bianchi sui lati verticali è quasi interamente ricostruita in cemento.
Come nella tradizione di famiglia, Giovanni della Robbia (Firenze 1469-1529) operò dei tagli lungo sottosquadri e pieghe del modellato al fine di celare le commessure e ottenere parti di dimensioni adeguate alla cottura in forno. La policromia della bottega di Giovanni ha una gamma più ampia di quella di Luca, di cui era pronipote. Smalti bianchi, azzurri, verdi, bruni e gialli stesi dopo la prima cottura dell’impasto ceramico (biscotto) e cotti in secondo fuoco. Inoltre l’uso della pittura a freddo permette di caratterizzare in modo più realistico gli incarnati.
La fase propedeutica al restauro ha analizzato lo stato di conservazione del manufatto e si è avvalsa anche dell’acquisizione digitale mediante scanner 3D. L’associazione con la documentazione fotografica ha fornito un’efficace base di studio del manufatto e consentito l’archiviazione del rilievo 3D misurabile dello stato di fatto pre-restauro.
L’opera, probabilmente non più toccata dal periodo dell’alluvione e mai restaurata, portava i segni di molteplici rimaneggiamenti e adeguamenti di gusto, oltre ai traumi dovuti ai numerosi smontaggi e rimontaggi succedutisi nei secoli. Le cromie originali erano in alcuni casi offuscate e celate da vernici dorate, talvolta coperte da ridipinture e ingrigite dall’accumulo di sporco e nerofumo delle candele. Gli incarnati presentavano le condizioni conservative peggiori. Nell’area della predella bagnata dall’acqua dell’Arno erano presenti concrezioni tenaci e un deposito di sporco consistente. La conservazione delle superfici non ha subito un destino migliore di quello del modellato: le attuali ricostruzioni in cemento ricreano quasi interamente le porzioni di fondo e della decorazione ai lati dei santi, mentre ampie stuccature in gesso, malta e cemento colmano i divari tra i vari pezzi di cottura.
L’intervento di restauro è iniziato con la verifica delle parti soggette a debolezza degli smalti e dell’impasto ceramico. Al fine di preservare ogni parte dell’opera sono stati fatti dei preconsolidamenti nelle aree ove lo strato di invetriatura e smalto erano più fragili.
Si è proceduto con una generale prima spolveratura e rimozione meccanica delle stuccature non originali e abbassamento del livello delle ricostruzioni.
Lo sporco più tenace è stato rimosso meccanicamente ammorbidendolo con impacchi di soluzione di carbonato di ammonio in acqua deionizzata. La medesima soluzione è stata utilizzata e applicata sia a pennello che a tampone di cotone per rimuovere lo sporco diffuso su tutta l’invetriatura. Le aree degli incarnati hanno previsto un differente approccio: dopo aver effettuato delle prove, in accordo con la direzione dei lavori, si è deciso di rimuovere le ridipinture dato il loro pessimo stato di conservazione. La rimozione è avvenuta gradualmente, ammorbidendo lo strato con solventi e con successiva azione meccanica. Al di sotto delle ridipinture si è trovato lo strato originale di terracotta con patinatura stabile e abbastanza omogenea, priva di smalto. Si è così riscoperto quel modellato robbiano che la pesante ridipintura aveva completamente nascosto per lungo tempo.
Alla fase di pulitura si è affiancata quella di consolidamento. Ove necessario sono state eseguite delle applicazioni di consolidante sia a livello profondo che superficiale. A completamento di queste fasi si è proceduto con l’intervento di risarcimento delle lacune materiche. Le stuccature tra giunti di cottura e delle parti ammalorate sono state eseguite con stucco a base acrilica, lisciato e rifinito per ottenere una superficie compatta in accordo al contesto. In un caso specifico si è sperimentata una soluzione alternativa, come verrà descritto in seguito. Si è mantenuto un livello leggermente più basso nei punti di raccordo tra i tagli del modellato e nelle fessurazioni dovute a rotture di cottura, mentre le stuccature sono stata portate a livello nelle parti deturpate da rotture più recenti. Tutti i difetti di cottura originali, considerati importanti per la conoscenza e comprensione dell’opera e della sua tecnica artistica, sono stati lasciati a vista.
Il restauro si è concluso con il ritocco pittorico delle integrazioni con colori ad acquerello. Un intervento riconoscibile e reversibile eseguito mediante la tecnica del puntinato.
Come nota conclusiva si specifica che, a fini conservativi, la fase di stuccatura ha visto anche l’implementazione di moderne tecnologie a supporto del restauro. Una porzione di modanatura sopra l’iscrizione, ai piedi del trono, era lacunosa di un’ampia parte di terracotta invetriata. Si è pertanto deciso di ripristinare l’unità formale utilizzando un approccio reversibile.
Dalla scansione tridimensionale del manufatto si è ottenuto un calco digitale fondamentale per la ricostruzione mediante software di modellazione 3D. La ricostruzione virtuale è stata realizzata in accordo alla forma e andamento del modellato esistente e perfettamente combaciante con la superficie originale. La copia fisica è stata stampata in un pezzo unico in resina stereolitografica mediante stampante 3D (stereolitografia di resine liquide fotosensibili).
Il pezzo stampato è stato ancorato alla robbiana con tre piccoli magneti in neodimio.
Questa soluzione tecnica consente il minimo contatto tra la ricostruzione e la materia originale e una piena reversibilità dell’intero intervento. Al fine di avere unità formale la ricostruzione è stata trattata e accordata cromaticamente come le altre.