Una tavola misteriosa a Santa Maria a Ripa
di Odoardo Hillyer Giglioli
da “Empoli Artistica”,
Francesco Lumachi Editore, Firenze 1906
Tra le pitture voglio cominciare con una tavola non ricordata nell’inventario della chiesa, appesa ad una parete presso la sacrestia. Sembra che il tempo e l’ignoranza degli uomini abbiano escogitato tutti i mezzi per offendere questa pittura sudicia, tarlata, solcata da due grossi spacchi longitudinali, con il colore che sta per cadere a pezzi in più punti. Malgrado, lo stato di rovina che lascia uno sconforto nell’animo, il quadro mi parve subito così interessante, che lo feci trasportare nel vicino chiostro per fotografarlo ed esaminarlo a mio agio. Mi accorsi d’essere davanti ad un artista fiorentino, che dipingendo sul declinare del XV secolo, derivava dalla scuola di Domenico Ghirlandaio, essendo ancora ligio alla tradizione Castagnesca. Se il colorito della sua tempera è monotono, se il disegno, secco, incisivo, non è sempre corretto, vi è una testa, quella della Madonna, che nella nobiltà del suo dolore s’impone su tutta quanta la scena, come opera d’arte di prim’ordine. È descritta più che dipinta questa sofferenza materna negli occhi lacrimosi contemplanti il corpo esanime del Cristo che la Madonna sorregge sulle ginocchia.
Qui non assistiamo più alla Pietà come la imaginarono altri artisti del quattrocento, con il Cristo ancora nel sepolcro pianto dalla Vergine e da san Giovanni; ma già abbiamo quella che Michelangiolo evocherà nel gruppo marmoreo di san Pietro a Roma, unendo con più umana significazione la madre al figlio, accentrando su lei tutta la drammaticità del supremo momento. E come è riuscito l’artista con pochi mezzi tecnici a ottenere questo pathos, facendo aggrottare le sopraciglia, corrugare la fronte, socchiudendo gli occhi, abbassando gli angoli della bocca. Alle carni brune, modellate con delicati passaggi di mezze tinte, dà un risalto maggiore il bianco velo che traspare sotto il nero, orlato di un ricamo, mentre la tunica fiammeggia in un bellissimo tono trasparente e luminoso di rubino. Molto meno espressiva è la santa Maria Maddalena, presso la Madonna, che l’artista ha trascurato, assorto com’era nel maggiore rilievo psicologico del suo personaggio principale. Veramente aspetto cadaverico ha il Cristo con le palpebre sigillate dalla morte e le labbra violacee. Con violenza e durezza sono segnate sul magro corpo le clavicole sporgenti, stecchito il braccio cadente e malamente disegnate le mani ; queste sono una difficoltà insormontabile per il nostro anonimo pittore, come si può giudicare anche da quelle della Vergine e di santa Maria Maddalena che sorreggono Gesù. Il san Francesco ha caratteristiche così personali da crederlo copiato da un frate francescano, che l’artista abbia preso come modello.
Un realismo rude, ma sincero si afferma su quella figura nel taglio degli occhi grifagni, nella bocca serrata dalle labbra sottili, nella forma dell’orecchio e del cranio. Probabilmente aggiunta dopo da un ritoccatore la croce dorata, che non impugnata bene sfugge dalla mano. Se lo stato di conservazione del san Francesco permette di studiarlo anche nei particolari, non possiamo dire lo stesso del secondo santo, pure inginocchiato, forse san Giovanni Evangelista, con una mano sul petto e l’altra che tiene un libro. Lo strato originale dove era la faccia essendosi staccato, essa è stata dipinta e rifatta in tempi più recenti.
A destra della roccia che fa da cupo fondo alle figure, vediamo sorgere strani monti a cono, mentre dalla parte opposta, un ridente paesaggio si contrappone all’aspra nudità alpestre con la distesa di una città chiusa da mura tra il verde dei cespugli e degli alberi, ed in cui una torre, che grossolanamente ricorda quella di Palazzo Vecchio, ed un edificio a forma di Battistero, farebbero pensare a Firenze.
Pur troppo le pessime condizioni della tavola non lasciano speranza sulla sua stabilità, ma in ogni modo si potrebbe collocarla in chiesa in un posto più degno e luminoso di quello attuale. Sarò lieto, se la buona riproduzione che presento agli studiosi, farà loro scoprire il nome di questo modesto pittore della fine del quattrocento.
N.B. In tempi a noi vicini la tavola è stata restaurata e attualmente è attribuita a Francesco Botticini da Firenze.